La pandemia è alle spalle, ma per accedere a visite ed esami dobbiamo (ancora) aspettare mesi. Mancano all’appello oltre 22 milioni di test diagnostici. E’ carente l’organizzazione e manca personale. Così si paga il privato, oppure si rinuncia…
Ci sono i soldi, ci sono norme stringenti e anche le alternative, se le cose non dovessero funzionare secondo i tempi stabiliti. Eppure il meccanismo è inceppato. Il Covid è alle spalle, da tempo in tutti i settori è tornata la normalità, ma la sanità non riesce a superare l’emergenza. Il problema? Le liste d’attesa. Mancano all’appello oltre 22 milioni di visite ed esami per tornare ai livelli precedenti alla pandemia. La specialistica ambulatoriale è in affanno. Siamo lontani dalle performance del 2019 quando furono erogati 228 milioni di visite ed test diagnostici. L’anno successivo la diffusione del virus paralizzò il sistema e le prestazioni crollarono a 163 milioni. Nel 2021, un lieve recupero a 194 milioni ma lo scorso anno ci si è fermati a 205, cioè oltre 22 milioni in meno rispetto al pre-Covid. È un gap del 10 per cento, contro il -19 del confronto tra il 2021 e il 2019 e il -26,8 per cento del 2020 rispetto all’anno precedente.
L’Agenas, l’Agenzia per i servizi sanitari regionali, ha disegnato questo scenario aggiornando, a fine 2022, i dati del suo portale statistico inaugurato alcuni mesi fa per monitorare l’andamento delle prestazioni sanitarie all’interno del Servizio sanitario nazionale con parti-colare attenzione alla specialistica ambulatoriale, alla mobilità dei pa-zienti tra le Regioni e alle liste d’attesa. È risultato che solo la Toscana, a fine 2022, era tornata con un leggero aumento (+0,78 per cento) al livello del 2019. Per tutte le altre Regioni la situazione è drammatica. Considerando che la media nazionale è di circa il 10 per cento in meno di visite ed esami (-9,83) rispetto al 2019, alcune Regioni sono molto lontane dal recupero degli standard ante Covid, che pure non brillavano per efficienza.
I dati più negativi si registrano per la provincia di Bolzano (-45 per cento), Valle d’Aosta (-32), Sardegna (-21), Calabria (-20), Molise (-18), Marche (-18), Friuli (-17), Sicilia, Umbria e Calabria (tutte e tre a -16 per cento) e infine Piemonte (-14) e Veneto (-12). Quelle che hanno recuperato meglio, anche se devono ancora lavorare per arrivare ai target di tre anni fa, sono Lombardia, Lazio e Campania, tutte e tre intorno al -5 per cento. Salutequità, associazione che si occupa dell’analisi dell’andamento delle politiche sanitarie e sociali, è andata a vedere nel dettaglio le diverse tipologie di visite. Complessivamente ne mancano 9 milioni rispetto al pre- Covid di cui quasi 3,4 sono prime visite (-15,5 per cento), che sappiamo quanto siano importanti per scoprire eventuali patologie, e oltre 5,5 milioni di sedute di controllo (-17 per cento).
Eppure tra il 2020 e il 2022 è stato stanziato un miliardo proprio per recuperare le prestazioni accumulate durante la pandemia. Il problema però è sempre lo stesso: le Regioni non riescono a impiegare le risorse. «Mancanza di personale e scarsa capacità organizzativa fanno sì che i fondi rimangano inutilizzati» afferma Tonino Aceti, presidente di Salutequità. «Ad agosto 2020 erano stati stanziati circa 500 milioni per smaltire l’accumulo di richieste di screening ma sono rimasti lì, come aveva sottolineto anche la Corte dei conti. Circa il 67 per cento non era stato speso, con punte di oltre il 90 al Sud e 40-50 per cento al Centro e al Nord. I soldi avanzati furono dislocati sul 2021. A fine 2021 sono arrivati altri 500 milioni per il 2022 ma ora restano inutilizzati ancora 200-300 milioni. Tant’è che sono stati riallocati sul 2023».
Secondo Aceti, il meccanismo di spesa non funziona perché mancano i controlli. «I soldi andrebbero sbloccati al raggiungimento degli obiettivi. Inoltre il recupero delle liste di attesa attraverso l’utilizzo delle risorse pubbliche stanziate, anche con l’ultima legge di bilancio, deve diventare un elemento centrale di misurazione e valutazione ai fini Lea (Livelli essenziali di assistenza, ndr) dell’operato delle Regioni. Invece non si fa e gli enti sono deresponsabilizzati». Una ricerca del 2022 relativa all’anno precedente effettuata dall’Hi-Health-care Insights, l’Osservatorio indipendente sull’accesso alle cure di Fondazione The Bridge, riporta che per una visita oculistica in Umbria si è passati da 15 a 33 giorni medi di attesa e in Sardegna da 23 a 56 giorni. Per un elettrocardiogramma migliora la Valle d’Aosta, con 31 giorni di attesa, mentre erano 57 nel 2020, mentre peggiora nettamente la Sardegna, che passa da soli 15 giorni medi a 52.
Il Piano nazionale di governo delle liste d’attesa (Pngla) stabilisce che il Servizio sanitario nazionale debba garantire una prestazione in 72 ore se urgente, entro 10 giorni se c’è il codice «breve», entro 30 per una visita e 60 per un esame se è differibile, e ancora entro 120 giorni se sono programmati.
E dispone anche che il medico al momento della prescrizione debba indicare il codice di priorità sulla ricetta. Tutti target che in realtà vengono disattesi. «Per evitare di mettersi in fila con il rischio di peggiorare il proprio stato di salute, chi può mette mano al portafoglio e preferisce andare nelle strutture private. L’Istat certifica che è in crescita la quota di persone che afferma di aver pagato interamente a sue spese sia le visite specialistiche (dal 37 per cento del 2019 al 41,8 nel 2022) sia gli accertamenti diagnostici (dal 23 per cento al 27,6 nel 2022)» commenta Aceti. L’Istituto di statistica registra che sono in aumento anche le spese sanitarie garantite da copertura assicurativa. Le Regioni in cui è più diffuso questo meccanismo sono il Lazio (nel 2022 il 10,8 per cento delle persone ha dichiarato di averne fatto ricorso in caso di visite specialistiche), la Lombardia (9,7), la Provincia autonoma di Bolzano (9,1) e il Piemonte (8,1).
Si attesta intorno al 5 per cento in Liguria, Emilia-Romagna e Toscana, mentre nelle Regioni del Mezzogiorno si fa ricorso alle polizze solo per l’1,3 per cento delle visite specialistiche. Se i tempi massimi per essere visitati o per fare accertamenti superano quelli stabiliti, ci sono alternative stabilite per legge, ma che pochi conoscono. Si può chiedere che la prestazione venga fornita in «intramoenia» senza dover pagare il medico come «privato», ma corrispondendo solo il ticket. Un diritto che può essere esercitato per tante tipologie di esami e visite specialistiche. La differenza di costo è a carico dell’Azienda sanitaria locale, e se il cittadino ha l’esenzione dal ticket, non paga nulla. La «malpractice» medica in genere porta al moltiplicarsi di ricorsi per ottenere un risarcimento economico. Antonio Oliva, professore ordinario di medicina legale all’Università Cattolica di Milano, afferma che «l’allungamento dei tempi di attesa accumulati in epoca Covid potrebbe accrescere il rischio di di richieste risarcitorie per interventi chirurgici rinviati, visite di controllo annullate e cure ritardate». Un ulteriore danno per il sistema sanitario.
