Tra contenitori tupperware che ricorrono con insistenza bizzarra e battute e scene dalla plausibilità tirata per i capelli, Dead Man Down – Il sapore della vendetta (dal 14 marzo nelle sale italiane) è il film che non ti aspetti. Scorri il cast e ne resti immediatamente avvinta: Colin Farrell, Noomi Rapace , Dominic Cooper, Terrence Howard, Isabelle Huppert. Corri al cinema e ne resti – non subito ma presto – delusa.
Non manca tensione nel thriller del danese Niels Arden Oplev, già regista della versione europea di Uomini che odiano le donne , primo capitolo tratto dalla trilogia Millennium tratta dai romanzi di Stieg Larsson. In questo suo debutto hollywoodiano, girato in inglese, ne mette anzi a mani piene, e come l’America insegna inserisce scene ad effetto (come l’inizio col cadavere nel congelatore o gli sguardi da una finestra all’altra di due edifici diversi), location attraenti (palazzi in costruzione e scantinati putridi d’acqua e topi) e un puzzle da ricomporre. Da Hollywood però prende anche i difetti, come la sequenza finale con l’auto che sfonda il muro di una villa aprendo una voragine: dicesi “americanata”.
Quello che più sorprende, negativamente, di questo film che avrebbe tante potenzialità e buoni spunti, è lo svolgimento della sceneggiatura, scritta da J.H. Wyman, che ha spesso delle cadute – non volute – nel grottesco e disegna male alcuni personaggi, quelli della Rapace e della Huppert per primi. C’è da sperare che alcune mancanze siano frutto del doppiaggio. Quello che ne esce meno con le ossa rotte è Farrell, che nonostante tutto è quasi sempre intenso e statuario.
È lui Victor, il protagonista di origini ungheresi membro di una banda criminale di New York. Il suo boss Alphonse (Howard) è minacciato da giorni: qualcuno gli sta disseminando qua e là i suoi scagnozzi morti e indizi su un cerchio che vuole chiudersi attorno a lui, con la sua uccisione. Alphonse è terrorizzato e Darcy (Cooper), uno dei suoi uomini, vuole far luce su questo intrigo al fine di far carriera nella gerarchia mafiosa. Così facendo, però, metterà in serio pericolo Victor, uomo taciturno e ferito. Come lui, è sola e ferita Beatrice (Rapace), una ragazza di origini francesi che dalla finestra del palazzo davanti al suo gli lancia sguardi insicuri. Sarà lei a fare il primo passo. Victor scoprirà che anche lei ha un passato doloroso da dimenticare. Sul volto di lei ce ne sono i segni: cicatrici e sfregi, che sua madre (Huppert) cerca di nascondere muovendole le ciocche di capelli e che lei invece non vuole celare.
Il materiale per le mani non sarebbe male e anche la suspense è ben calibrata. Ma poi ecco ogni tanto delle uscite goffe che fanno perdere concentrazione e pathos. Victor ha abilità da Marine con le armi da fuoco e nelle sparatorie, ha un arsenale che farebbe invidia a Rambo, è superbo nell’ordire piani senza lasciare tracce o nel posizionare cimici e bombe. A Beatrice che gli chiede conto di queste sue strabilianti capacità lui replica: “Ho fatto il servizio militare nel mio Paese”. In sala si son sentiti risolini.
Un altro esempio? Beatrice, personaggio alquanto orticante, dai ragazzi del quartiere è tacciata come mostro per il suo viso sfregiato, ma la sua menomazione non è mica così evidente. Per uscire con Victor sceglie con cura, insieme alla madre, vestiti che possano essere intriganti: peccato però che quella che forse vorrebbe passare come ricercatezza francese porti a scelte di vestiario di dubbio gusto.
L’incontro di Victor e Beatrice, due anime che hanno bisogno di vendetta, ha frequenti scivoloni di credibilità. In bilico tra gangster movie e storia d’amore, Oplev si muove con incertezza e spreca quella che sarebbe potuta essere un’occasione.
