Hamas dice no alla maratona in rosa. Fiona May: "E' una vergogna"
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Hamas dice no alla maratona in rosa. Fiona May: "E' una vergogna"

Cancellata la terza maratona di Gaza. Hamas non dava il permesso di gareggiare alle atlete sopra i 16 anni

Niente donne, tutto fermo. L'Onu ha deciso di cancellare la terza maratona internazionale di Gaza, che si sarebbe dovuta tenere il 10 aprile nella striscia di terra più contesa del pianeta. La ragione è presto detta. Hamas avrebbe "insistito affinché nessuna donna partecipasse all'evento". Per la serie, così è se vi pare. Secondo i responsabili dell'Unrwa, l'agenzia delle Nazioni Unite che segue da vicino le sorti dei rifugiati palestinesi, avevano aderito all'iniziativa 807 partecipanti, di cui circa la metà erano donne. Di queste, ben 266 le atlete palestinesi.  

Sulla notizia che ha già fatto il giro del mondo ha deciso di intervenire anche Fiona May, due volte medaglia d'argento alle Olimpiadi nel salto in lungo e da qualche giorno componente della Giunta nazionale del Coni, che a panorama.it spiega le ragioni "una vergogna che fa fare due passi indietro a tutto il movimento sportivo internazionale".

Dalla decisione di Hamas l'ennesimo schiaffo ai diritti delle donne islamiche che intendono praticare sport...

Sì, proprio così. Si tratta di uno schiaffo davvero molto pesante e non soltanto per i diritti delle donne, ma più in generale per tutti quanti. Si dice da sempre che lo sport non debba essere mescolato con la politica e poi dobbiamo assistere a fatti come questi. Una vergogna.

"Perché vietare alle ragazze di correre alla maratona? Sanno benissimo che le ragazze nuotano in mare accanto ai maschi", avrebbe detto una giovane atleta di 13 anni che era pronta a prendere parte alla maratona di Gaza. Le regole di Hamas sono difficili da comprendere anche per chi vive da quelle parti...

Non capisco. Tutti sanno cos'è una maratona. Perché hanno deciso di impedire l'accesso alle donne dopo aver dato l'ok all'organizzazione dell'evento? Qualcosa non torna, ci sarà senz'altro qualche altro motivo che nessuno ci spiegherà mai. Quando l'Ansa mi ha chiamato ieri sera per chiedermi un commento su quanto è successo, sono rimasta a bocca aperta, non riuscivo a darmi una ragione valida.

Eppure, sembrava che le cose stessero cambiando. Alle Olimpiadi 2012 - lo ha ricordato anche Mario Pescante, 'ministro degli Esteri' del Cio - tutti i Paesi arabi avevano almeno una donna in squadra...

Certo, sembrava che avessimo fatto un decisivo passo in avanti. E' stato bellissimo vedere gareggiare a Londra anche le donne islamiche, pareva che qualcosa fosse cambiato davvero. Con la notizia che arriva da Gaza, facciamo invece due passi indietro. E' gravissimo, è una scelta che ha fatto male a tutto il mondo dello sport, che si impegna da tempo nella lotta per combattere le discriminazioni e favorire l'integrazione.

Non ci voleva, proprio no. Potevo accettare qualsiasi cosa, pure vedere le atlete coperte quasi completamente per non offendere le regole della propria tradizione. Ma questo non lo capisco. Stiamo parlando di sport, di un'attività che dovrebbe essere accessibile a tutti senza alcuna distinzione di sesso e razza. Perché una donna non può partecipare a un evento sportivo? Chi può impedire una cosa simile?

Secondo uno studio comparativo commissionato dall'Unione europea nel 2006 e condotto in Austria, Italia, Lituania, Norvegia e Islanda, la responsabilità della continua discriminazione nei confronti delle donne che praticano sport sarebbe anche e soprattutto della stampa sportiva, che darebbe molta più importanza alle storie 'maschili'...

Sono d'accordissimo. L'attenzione della stampa è focalizzata più sugli atleti che sulle atlete, a meno che queste ultime non siano molto belle, perché in quel caso lo spazio riescono a ottenerlo, anche se più per il lato estetico che per quello sportivo. Piano piano le cose stanno migliorando, ma la strada è ancora molto lunga.

Insomma, i problemi ci sono anche a casa nostra...

E' questione di educazione e di tradizione. Le cose vanno così da tempo, difficile cambiarle in pochi anni. Le donne dovrebbero cominciare a far sentire la loro voce e imparare a fare fronte comune. L'idea delle quote rosa non deve rimanere sulla carta.

Crede che il nuovo presidente del Coni Giovanni Malagò lavorerà in questa direzione? Nel marzo 2012 ha pubblicato il libro "Storie di sport, storie di donne", nel quale ha presentato la storia di tante azzurre che hanno fatto grande l'Italia negli ultimi 20 anni. Le premesse sembrano essere incoraggianti...

Malagò ha sempre dimostrato di essere vicino a questi temi. E il libro che ha scritto lo dimostra. Sono convinta che farà bene, diamogli tempo.

Dalle parole ai fatti a meno di 48 ore dalla festa della donna. Quali le possibili soluzioni per invertire la rotta una volta per tutte e spalancare le porte dello sport agonistico alle donne con pari diritti e dignità?

Domanda difficilissima. A mio parere il primo passaggio, quello fondamentale, sarebbe trovare il modo di unire le donne in un'unica voce, magari partendo da quelle che praticano sport e che possono avere un'eco maggiore in tutto il mondo. Cambiare si può, ma bisogna volerlo davvero. E insieme tutto diventa più facile.

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Dario Pelizzari