Bradford, la tragedia che imbarazza l'Inghilterra: non fu fatalità
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Bradford, la tragedia che imbarazza l'Inghilterra: non fu fatalità

L'11 maggio 1985 il rogo nel piccolo stadio di legno provocò la morte di 56 persone. Ora alcuni documenti smentiscono le tesi di allora

C'è un fantasma che si aggira per il calcio inglese, viene dal passato e tormenta sonni e coscienze dei tanti che allora, trent'anni fa il prossimo 11 maggio, archiviarono come fatalità una delle più grandi tragedie vissute in uno stadio d'Oltremanica, ancora nota come 'il rogo di Bradford'. Successe tutto nel piccolo stadio di legno della cittadina inglese: le fiamme divorarono la tribuna centrale in un istante non lasciando scampo alla folla che affollava l'impianto: 56 morti il bilancio definitivo di un episodio che, insieme alla strage dell'Heysel e poco più avanti ai morti di Hillsborough, convinse le autorità di Londra che era arrivato il momento di cambiare tutto per garantire sicurezza e stadi di nuova generazione.

La versione ufficiale del 1985 - fatalità dovuta alla combustione di spazzatura sotto i sedili in legno causata dalla caduta di un fiammifero acceso - viene ora messa in forte dubbio. A ribaltare le verità di allora sono il libro di un sopravvissuto, che ha condotto un'inchiesta privata puntando il dito sul proprietario del Bradford dell'epoca, e i documenti emersi dall'Archivio nazionale di Kew che contengono alcuni rapporti dei vigili del fuoco e i risultati di test scientifici e simulazioni sulla dinamica del rogo. Atti che smontano la teoria della fatalità richiamando a ben altre responsabilità. Non si tratta di riaprire processi chiusi da tempo, ma di accertare una verità storica sui fatti di quell'11 maggio 1985, le cui immagini sono ancora vive nella mente di milioni di inglesi.

Il documento più sconvolgente è un test effettuato già all'epoca secondo il quale solo nel 27% dei casi un fiammifero fatto cadere inavvertitamente su spazzatura poteva causare un incendio, dato che scendeva ulteriormente considerate le condizioni necessarie perché si sviluppasse il rogo allo stadio e cioé che si infilasse in un piccolo spazio sotto i seggiolini senza spegnersi da solo prima di appiccare il fuoco. Una possibilità considerata marginale già allora e, invece, presa per buona dalle autorità che diedero solo quattro settimane di tempo per la raccolta delle prove senza prestare troppa attenzione alle evidenze scientifiche emerse dal lavoro dei vigili del fuoco.

Perché? Oggi si pensa che ci fosse la necessità di chiudere in fretta il caso senza indicare un colpevole. Oppure, come nel libro di Martin Fletcher, sopravvissuto dodicenne che nella tragedia ha perso fratello, padre, zio e nonno ('Fifty-six, the story of Bradford fire'), per coprire le responsabilità di Stafford Heginbotham allora presidente del club. Ben otto volte nei precedenti 18 anni, sostiene il libro, si erano verificati incendi devastanti in edifici di proprietà o collegati a Heginbotham; una circostanza troppo incredibile per essere considerata fortuita.

I test oggi scovati nell'archivio lanciano anche un'altra inquietante domanda: se anche fosse stato un accendino, come mai nulla era successo dal 1908 in poi e cioé nel corso della storia dello stadio di Bradford? Il calcolo è che circa 1,25 milioni di persone lo abbiamo frequentato senza alcuna limitazione di fumo o smaltimento della cenere e dei fiammiferi. Perché? Mai nessuno aveva fatto riferimento al rischio potenziale, malgrado la presenza di spazzatura sotto i sedili della tribuna in legno fosse già stata tema di discussione negli anni precedenti il rogo. Domande al momento senza risposta, ma che riaprono la ferita di una vicenda ancora fresca nel cuore degli inglesi. Libro e rivelazioni dagli archivi sono finiti sulle prime pagine dei giornali con grande clamore. L'Inghilterra attende risposte anche se sono passati trent'anni da quel pomeriggio.

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Giovanni Capuano