Peter Gabriel: la recensione del concerto di Bologna
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Musica

Peter Gabriel: la recensione del concerto di Bologna

Unipol Arena sold out per la seconda tappa italiana del "Back to front tour", con la riproposizione integrale di "So"

Si contano sulle dita di una mano gli artisti che vantano una carriera solista allo stesso livello di quella del gruppo nel quale hanno militato nel periodo d'oro del rock.

Uno di questi è Peter Gabriel, mente e cuore del periodo migliore dei Genesis, che da due anni porta con successo in giro per il mondo lo show Back to Front per celebrare il venticinquesimo anniversario dello storico tour di So, il suo album più conosciuto e amato.


Per l’occasione Gabriel è accompagnato sul palco dalla stessa, straordinaria formazione originale del 1987: il bassista Tony Levin, il chitarrista David Rhodes, il tastierista David Sancious e il batterista Manu Katché.


Uniche new entry le cantanti e polistrumentiste svedesi Jennie Abrahamson e Linnea Olson, la cui bravura è pari alla loro bellezza. A loro è affidato il compito di scaldare gli oltre diecimila spettatori che affollavano ieri sera l’Unipol Arena di Bologna prima dell’ingresso di Peter Gabriel.


E qui arriva la prima sorpresa della serata, quando alle 20.30 sale sul palco l’ex frontman dei Genesis per introdurre le due artiste, come un qualsiasi presentatore.

Bisogna aspettare poco dopo le 21 per l’inizio del concerto, quando Gabriel spiega in italiano la struttura dello show: "Questa sera abbiamo pensato di dividere lo spettacolo in tre parti, proprio come un pasto completo. L’antipasto sarà la sezione acustica, seguita da una parte elettronica. Se sopravvivrete, il piatto forte sarà la riproposizione integrale di “So”. Adesso vi presento un amico speciale”.

Entra così, accolto da un’autentica ovazione, Tony Levin, uno dei migliori bassisti al mondo, oltre che uno dei pochi specialisti del Chapman Stick.


La partenza è morbida, con l'inedito What lies ahead nel quale Gabriel è accompagnato solo dal basso e dal violoncello.


In Come talk to me fa il suo ingresso la band al completo, e la memoria non può che tornare indietro al leggendario tour del 1987, con la stessa, identica formazione.

I ritmi aumentano vertiginosamente in Shock the Monkey, caratterizzata da un riff ipnotico e dal contagioso basso di Levin, che viene accompagnata dal battito delle mani dell’Unipol Arena.


Family Snapshot regala grandi emozioni, con l’introduzione solo voce e piano ascoltata in religioso silenzio dagli spettatori, che si scatenano più avanti quando il brano cambia tempo e accelera improvvisamente.


Peter corre verso il piano elettrico e attacca la travolgente Digging in the dirt, mentre quattro imponenti bracci meccanici si muovono nervosamente sul palco, creando un gioco di luci mozzafiato.


In Secret World, caratterizzata da un emozionante crescendo, la band si diverte a eseguire una giocosa coreografia, mentre la seguente The Family and the Fishing Net affascina per le sue atmosfere dark e oniriche, per i ritmi sincopati e per l’intenso primo piano del cantante proiettato sui maxischermi grazie a una telecamera posta su un altro braccio meccanico.


Grande intensità anche in No self control, nella quale Gabriel rivela, in alcuni passi di danza, un’agilità invidiabile nonostante il fisico appesantito. Solsbury Hill entusiasma la platea e Peter si carica correndo da una parte all’altra del palco, fino a ballare in circolo con Levin e Rhodes, mandando così in visibilio l’Unipol Arena.


Si rallentano di nuovo i ritmi in Why don’t you show yourself, con un andamento quasi da chiesa, scritta, spiega il cantante, “come colonna sonora di un film messicano che racconta di religione, sesso e droga. Temi che ricorrono in quasi tutti i film”.


Quasi un espediente scenico per rendere ancora più esaltante il momento clou della serata, ovvero il rifacimento integrale di So, anno 1986, uno dei migliori album pop-rock di sempre che, nonostante i quasi trent’anni, non ha perso un briciolo della sua freschezza.


Una pioggia di luci rosse introduce la vibrante Red rain, dove la voce di Peter si fa ancora più scura e piena.


Bastano le prime battute dell’irresistibile Sledgehammer per togliere gli ultimi freni inibitori del pubblico, trasformando il concerto in una grande festa. I teatrali passi di danza dei musicisti riproducono fedelmente la stessa coreografia del 1987, che viene imitata dalla maggior parte degli spettatori in un momento di puro divertimento.


Smartphone in alto per la commovente Don't give up, un invito a non mollare anche quando la vita ti colpisce duro, nella quale Peter duetta con Jennie Abrahamson che, pur non dotata della prodigiosa estensione vocale di Kate Bush, raccoglie grandi applausi per la sua interpretazione dolce e misurata.


In That voice again la voce dell’artista risulta un po’ affaticata, ma è solo un leggero calo perché nella suggestiva Mercy Street il cantante si riscatta alla grande.Sdraiato a terra, con i bracci meccanici che lo riprendono dall’alto verso il basso, Gabriel dà vita a un interpretazione di straordinario pathos che andrebbe mostrata nelle scuole di musica.

Si ritorna a ballare con il tiratissimo funky di Big Time, nel quale le percussioni di Katché, la chitarra di Rhodes e il basso di Levin si uniscono in un flusso sonoro irresistibile, esaltato da luci e scritte colorate sui maxischermi.
Peter si diverte visibilmente e gioca con le parole del testo, cantando “la mia pancia diventa più grande”.


Spazio poi all’evocativa We do what we’re told (Milgram’s 37), dove un esercito di tecnici con il volto coperto muove i bracci meccanici in una coreografia di grande suggestione, seguita da This Is the Picture (Excellent Birds), una sorta di mantra circolare, incredibilmente moderno, che improvvisamente prende quota, mentre Jennie Abrahamson e Linnea Olson si divertono a farsi inseguire dalle telecamere.


Bastano poche note di In you eyes, magnifica preghiera laica tra Africa e Europa, per provocare brividi, in un tripudio di luci,colori,cori e mani al cielo.


Al termine della canzone scatta spontaneo il coro da stadio"Peter Peter",per ringraziare il cantante della straordinaria esibizione.


Immancabile il bis, con The tower that ate people, scandito da un beat pulsante e da sonorità elettroniche distorte.


Peter prende il microfono: “La libertà di cui godiamo oggi è il frutto delle lotte di uomini e di donne coraggiosi. Abbiamo tutti sentito la notizia dei 43 studenti messicani uccisi perche si erano ribellati all’arroganza del potere. Questa è dedicata ai giovani che hanno avuto il coraggio di affrontare i soprusi, sono giganti sulle cui spalle poggiare la nostra civiltà. Questa canzone é per Stephen Biko".


Il concerto si chiude con il coro assordante di Biko da parte dell’Unipol Arena e Gabriel che ringrazia, visibilmente emozionato per il calore del pubblico: “Come sempre,vi adoro".
I musicisti escono uno ad uno, resta solo il beat ipnotico di Manu Katché.


Un battito sincopato, come quello dei cuori degli spettatori,che non dimenticheranno facilmente questa serata magica.



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Gabriele Antonucci