Oltre la notte, una "giustiziera" – La recensione
Il nuovo film di Fatih Akin. Con Diane Kruger a caccia degli assassini impuniti di suo marito e suo figlio, uccisi in un attentato a sfondo razziale
Gli attentati neonazisti in Germania. Chi muore e chi resta. E i sentimenti di chi non trova giustizia. Oltre la notte (in sala dal 15 marzo, durata 106’) di Fatih Akin, è un film che strappa qualche forte emozione, veloce, ansiogeno e spesso terribile specie nelle prime due parti di tre delle quali si compone. È il racconto di un lutto e di una frustrazione che la macchina da presa, prevalentemente in spalla, rappresenta nel suo moto convulsivo in termini quasi di cronaca: pietrificata e confusa. Il dramma è intenso e violento, la protagonista Diane Kruger ne è efficacissimo simbolo.
Akin, cineasta, attore e produttore amburghese di genitori turchi e fama oramai consolidata nel cinema tedesco (se ne ricordano almeno tre titoli importanti: La sposa turca, 2004, Soul Kitchen, 2009, Il padre 2014) sempre vigile e sensibile rispetto ai contenuti sociali spesso affrontati con piglio crudo e personale.
Quelle vite ricostruite e distrutte da una bomba
Il film si divide in tre capitoli e subito arriva al centro del dolore nella rapida ed ellittica successione degli eventi. Al suono di My Girl dei Temptation ecco il matrimonio di Katjia (Diane Kruger) e Nuri (Numan Akar), in carcere dove lui sta scontando una condanna per spaccio. Nasce Rocco (Rafael Santana), il loro figlio. E Nuri, scontata la pena ricostruisce la sua vita nel quartiere turco di Amburgo aprendo un ufficetto di contabilità fiscale, traduzioni e biglietti di viaggio. È là che Katja lascia marito e figlio un pomeriggio, ritrovandoli morti, anzi “non” ritrovandoli dopo che una bomba ha sconvolto e incenerito il locale.
Cavilli e falsità nell’aula del tribunale tedesco
La polizia non tarda scovare i due responsabili, Jürgen e Edda Möller (Ulrich Tukur e Hanna Hilsdorf), attivisti del NSU (Nationalsozialistischer Untergrund o Clandestinità Nazionalsocialista) e ad arrestarli, aprendo la strada alla seconda parte della storia che si svolge nell’aula del tribunale dove i due imputati, al termine di un dibattimento cavilloso, falsato e per certi versi grottesco, vengono assolti nonostante l’impegno legale di Danilo Fava (Denis Moschitto), avvocato di Katjia la quale, incredula e sconvolta, assiste allo sfacelo.
Alla ricerca dei neonazisti assolti e dei loro complici
È il sentimento di vendetta della donna a dominare il terzo capitolo del film. Alla sua disperazione e a un tentativo di suicido subentrano prima la furia poi la gelida determinazione a ricercare i due responsabili e i loro complici politici per infliggergli, da “giustiziera”, la definitiva condanna, magari attraverso lo stesso sistema esplosivo che ha tolto la vita ai propri cari e distrutto la sua.
Il racconto a tre facce e i suoi interrogativi morali
Se il disegno si compirà sarà il finale a svelarlo, non mancando peraltro di riservare un’ulteriore rivelazione. In capo ad un racconto a tre facce, una per ciascun capitolo, separate da altrettante variazioni di genere cinematografico, perfino di scenario meteorologico (la pioggia ossessiva dei due segmenti iniziali cede il passo alla solarità abbacinante dell’ultimo). Così all’impostazione tragica della prima segue, nella seconda, il taglio più classico di narrazione processuale lasciando alla terza – forse la meno compiuta - tonalità, movimenti e forme di thriller. Con l’interrogativo morale (e non solo) su quanto sia plausibile, nelle condizioni della protagonista, considerare l’ipotesi di farsi giustizia da sé.
Un'incredibile maschera di dolore e di gelo
Mica un interrogativo da poco. Che, d’altra parte, il film non risolve fino in fondo, se non nel modo un po’ tranchant col quale si conclude. Lasciando che sia Diane Kruger, con l’incredibile maschera di dolore e di gelo che assume (per questo premiata l’anno scorso al Festival di Cannes) a stabilire le migliori connessioni fra le differenti zone del racconto e, in definitiva, a formularne le proposizioni più valide. Al di là, si capisce, dell’evidente impegno civile e dell’indignazione che muovono il costrutto della regìa, cui si ribadisce il supporto spesso determinante della fotografia elettrica e urticante di Rainer Klausmann, già in passato al fianco di Akin e suo “occhio” elettivo.