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Il Vaticano apra davvero le segrete stanze

Panorama un anno fa ha raccontato decine di casi di abusi e pedofilia nella Chiesa, che pare oggi aver cambiato atteggiamento. Ma serve una rivoluzione vera

Il Papa ha tolto il segreto di Stato (Vaticano) sui preti pedofili. D’ora in poi la magistratura italiana potrà chiedere di ottenere dalle diocesi i documenti riservati sulle denunce ricevute nei casi di molestia sessuale. Giornali e televisioni, di fronte all’annuncio della Santa sede, hanno parlato di una svolta epocale, perché fino a ieri gli abusi erano coperti da una spessa cappa di piombo. Anche molte delle associazioni di molestati hanno applaudito, sebbene con minor entusiasmo di certa stampa.
Di fronte alle denunce, finora vescovi e alti prelati preferivano opporre il silenzio, qualche volta rimuovendo il sacerdote accusato di comportamenti inappropriati, altre semplicemente insabbiando i casi, come se non parlandone questi non fossero mai esistiti. Il risultato è che quasi sempre i pedofili in tonaca hanno potuto continuare indisturbati a comportarsi da predatori sessuali.
Quando divenni direttore di Panorama, all’incirca un anno fa, scandalizzando qualche lettore, affidai ad Antonio Rossitto un’inchiesta sulla pedofilia nella Chiesa, raccontando spesso casi già passati in giudicato o comunque già oggetto di sentenza della magistratura. L’elenco era lungo e non di rado mi è capitato di leggere di sacerdoti ormai condannati che pure continuavano a esercitare nelle parrocchie d’Italia. Per la legge italiana erano colpevoli, ma per le diocesi no e infatti non erano stati ridotti allo stato laicale, ma potevano continuare a dire regolarmente messa come un normale parroco.
Mi viene in mente il nome di «Don Lu», così lo chiamavano i parrocchiani. Primo grado, appello e Cassazione: per tre volte gli atti processuali furono concordi nel ritenere il prete ligure responsabile di violenza sessuale su una chierichetta, tanto da condannare il sacerdote a una pena di sette anni e otto mesi di carcere, oltre a 200 mila euro di risarcimento nei confronti della ragazzina, che all’epoca dei fatti aveva solo 11 anni. Tuttavia, quella sentenza inappellabile non fu ritenuta sufficiente dalla Chiesa, tanto che il tribunale ecclesiastico riabilitò «Don Lu», con l’incredibile decisione che «non consta che abbia commesso i delitti a lui ascritti».
Un caso limite? Non proprio. Basti ricordare la vicenda che ebbe per protagonista don Giorgio Carli, un prete bolzanino. Nel 2003 una giovane parrocchiana lo accusò di molestie per un periodo di almeno cinque anni. La vicenda finì in tribunale e in primo grado il sacerdote fu assolto, poi in appello fu condannato a sette anni e mezzo, mentre quando si arrivò in Cassazione il procedimento fu dichiarato estinto per intervenuta prescrizione. Il caso avrebbe potuto avere strascichi civili, ma prima che arrivassero, don Giorgio trovò un accordo extragiudiziale con la vittima e, a spese anche della diocesi, pagò una cifra che secondo alcuni giornali fu di 760 mila euro, a causa anche dei danni biologici provocati alla giovane parrocchiana. Fin qui la cronaca di una faccenda scabrosa. Ma poi un inviato de La Stampa scoprì che il prete, lungi dall’essere stato allontanato dalla diocesi, era stato semplicemente spostato in un’altra parrocchia, ossia non più a Bolzano, ma a Vipiteno.
Se racconto questi due casi non è per riesumare vicende che hanno provocato dolore e orrore, ma per dire che non basta aprire gli archivi vaticani e delle diocesi, serve un’opera di denuncia alla quale nei sacri palazzi non sembrano essere abituati.
Certo, è giusto consegnare alla magistratura i fascicoli sul tal sacerdote se il pm li richiede: la trasparenza innanzitutto. Ma forse, prima della collaborazione con le Procure, servirebbe un lavoro di pulizia che comporti anche la prevenzione. Per troppo tempo le lettere e le testimonianze di denuncia sono rimaste ferme nelle segrete stanze vescovili, consentendo dunque al pedofilo non solo di farla franca, ma di continuare la sua opera di corruzione dei giovani.
Lo testimonia proprio il caso di «Don Lu». Una suora andò dal parrocco a segnalare gli abusi sulla chierichetta, ma questi, dopo aver promesso di parlare al vescovo del comportamento del curato, la obbligò al silenzio. Un’omertà che ha consentito a «Don Lu» di celebrare messa come se gli abusi non ci fossero mai stati.
Condannato dalla giustizia terrena, benedetto da quella vescovile.
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Maurizio Belpietro