Uno Stato Palestinese nel Sinai?
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Uno Stato Palestinese nel Sinai?

Fuga di notizie sulla mediazione del presidente egiziano Al Sisi con i vertici dell’Autorità Nazionale Palestinese, rivelano un piano originale per una soluzione al conflitto israelo-palestinese. Tel Aviv non sarebbe contraria

“Ormai hai ottant’anni, se non accetti questa proposta sarà il tuo successore a farlo al posto tuo”. Pare che al summit della Lega Araba ospitato pochi giorni fa al Cairo il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi si sia rivolto con questo tono molto confidenziale, al leader dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, mentre gli proponeva di ospitare lo Stato Palestinese nella penisola del Sinai.

Nonostante il retroscena sia stato negato a più riprese nelle ultime 24 ore, la notizia ormai è trapelata e si sta diffondendo velocemente. A diffonderla sono stati principalmente i media israeliani, secondo i quali un’offerta da parte di Al Sisi sarebbe realmente stata messa sul tavolo. Toccherebbe adesso ad Abbas cogliere al volo la possibilità di dare concretezza al sogno di uno Stato per la Palestina, accettando così il trasferimento nel Sinai di parte della popolazione e dell’Autorità.

Il pacchetto egiziano prevedrebbe la messa a disposizione da parte del Cairo di un territorio della grandezza di 1.600 chilometri, cinque volte le dimensioni della Striscia di Gaza. Secondo quanto comunicato dall’emittente radio dell’IDF (Israel Defense Forces), per accettare l’offerta Abbas in cambio dovrebbe però rinunciare a chiedere allo Stato di Israele di ripiegare entro i confini del 1967, vale a dire quelli stabiliti dalla risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, votata il 22 novembre 1967 dopo la guerra dei Sei Giorni, elemento sinora considerato imprescindibile dai palestinesi per arrivare a un accordo di pace.

Nelle intenzioni del presidente Al Sisi, lo Stato Palestinese diverrebbe un territorio totalmente demilitarizzato, dove troverebbero accoglienza (e verosimilmente anche abitazioni e lavoro) tutti i rifugiati scappati dalle loro città dopo la creazione dello Stato di Israele. Nella proposta, sarebbe specificata anche la situazione delle città palestinesi nella West Bank (Cisgiordania): ad esse verrebbe garantita autonomia e continuerebbero a rimanere sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Le reazioni alla proposta egiziana

Il governo di Ramallah per ora ha smentito la notizia, anche se in realtà fonti vicine ai vertici dell’ANP dicono che Abbas avrebbe rifiutato l’offerta, declinando inoltre l’invito a incontrare nuovamente Al Sisi di persona. Nabil Abu Rudaineh, portavoce della presidenza dell’ANP, ha ribadito il concetto sottolineando che l’idea di ampliare la Striscia di Gaza verso il Sinai è del tutto inaccettabile tanto per i palestinesi quanto per gli egiziani e il mondo arabo.

Altri esponenti palestinesi hanno usato toni più duri, accusando i media israeliani di pubblicare notizie false per distogliere l’attenzione rispetto alle reali posizioni di Palestina ed Egitto nei confronti di Tel Aviv, mentre un portavoce del ministero degli Esteri egiziano ha provato a gettare acqua sul fuoco parlando di una ricostruzione dei fatti “del tutto priva di fondamento e falsa”.

Reazioni diametralmente opposte rispetto a quella degli Stati Uniti, che avrebbero espresso subito parere favorevole a questo tipo di soluzione. Anche dal governo israeliano i pareri sarebbero stati positivi. Yaakov Peri, ministro israeliano della Scienza con un passato alla guida dello Shin Bet (l’agenzia d’intelligence per gli affari interni dello Stato di Israele), ha affermato che vale la pena discutere seriamente la proposta di Al Sisi, perché “potrebbe risolvere i problemi cui sinora non è stata data risposta nei colloqui svolti tra Israele ei palestinesi”. Il che permetterebbe anche all’Egitto di affrontare in maniera più organica le varie minacce terroristiche che si annidano nel Sinai.

Altri politici della coalizione del governo israeliano hanno accolto positivamente l’iniziativa affermando che andrebbe nella giusta direzione, vale a dire quella di far sì che la questione palestinese venga affrontata una volta per tutte a livello regionale e non solo da Israele. E c’è chi ha chiesto al primo ministro Benjamin Netanyahu di convocare Al Sisi per un incontro, in modo da approfondire direttamente con lui la questione.

Israele-Palestina, la trattativa impossibile

Non è la prima volta che si presenta questo tipo di proposta al tavolo delle trattative per la pace in Medio Oriente. Anni fa fu introdotta da un gruppo di accademici israeliani e sostenuta dall’ex consigliere per la sicurezza nazionale israeliana, Giora Eiland, ma venne subito respinta dall’Egitto. Erano tempi diversi quelli, e il potere era saldamente nelle mani di Hosni Mubarak.

Oggi le cose sono cambiate. Alla guida del Paese c’è Al Sisi e, da quando nel luglio del 2013 ha spodestato il governo dei Fratelli Musulmani, l’ex generale si è impegnato a ricostruire l’immagine di un Egitto forte e decisionista nelle questioni estere, ottenendo prima la benedizione della Russia e, in seguito, il “perdono” degli Stati Uniti. Poche settimane fa la sua mediazione è stata decisiva per porre fine ai 50 giorni di conflitto che a Gaza hanno provocato più di 2.100 palestinesi uccisi e oltre settanta morti per Israele. E adesso il presidente egiziano potrebbe prendersi definitivamente la scena passando alla storia come l’uomo che ha finalmente portato la pace in Medio Oriente.

La strada da lui indicata potrebbe d’altronde essere l’unica realmente percorribile per Abbas. La possibilità di far convivere nello stesso governo Fatah e Hamas è praticamente irrealizzabile dopo che, pochi giorni fa, è stato lui stesso a minacciare di rompere l’accordo di unità nazionale se il movimento islamista non cambierà il suo comportamento consentendo all’esecutivo di operare adeguatamente nella Striscia di Gaza. Abbas ha puntato il dito contro il governo-ombra imposto da Hamas nella Striscia e sui suoi 27 viceministri che presidiano il territorio nonostante l’accordo di riconciliazione preveda che a operare sia esclusivamente l’ANP.

Alla luce di queste difficoltà, e con un territorio da ricostruire dopo le distruzioni causate dalla guerra, per Abbas la soluzione avanzata da Al Sisi non sarebbe da scartare in partenza. E forse potrebbe stare bene anche a Israele. Sul fatto che poi il Sinai possa realmente essere la “terra promessa” dei palestinesi, i dubbi restano. Inoltre, le operazioni militari avviate dal governo egiziano per stanare i gruppi terroristici operativi nella penisola, sinora non hanno prodotto risultati concreti.

Infine, negli ultimi giorni ha trovato conferma anche la presenza di cellule di miliziani dello Stato Islamico, che qui avrebbero stretto alleanza con i filo-qaedisti di Ansar beit al Maqdis. Insomma, un mix potenzialmente esplosivo che poco avrebbe a che fare con il proposito di demilitarizzare il futuro Stato Palestinese avanzato da Al Sisi per convincere Abbas. 

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Rocco Bellantone