Ma sui manager la Svizzera ha dato un segnale forte
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Ma sui manager la Svizzera ha dato un segnale forte

Secondo Christian Marazzi, economista e docente presso la SUPSI, il referendum sul tetto ai super stipendi dei dirigenti è stato bocciato a causa di una campagna raffazzonata

64 a 36. Con queste percentuali inappellabili tutti e ventisei i cantoni Svizzeri hanno bocciato il referendum per ridimensionare i compensi dei top manager, imponendo un limite legale ai loro salari affinché non possano superare di 12 volte lo stipendio più basso nella stessa azienda. Promossa dai Giovani socialisti, la chiamata alle urne contro i profitti dei manager ha ricevuto un sonoro schiaffone, con solo il 40% degli aventi diritto che si è recato alle urne.

Eppure in precedenza, nel mese di marzo, l'iniziativa analoga di Thomas Minder "contro le retribuzioni abusive", aveva raccolto un successo plebiscitario, con il 70% dei sì.  Va detto che in quel caso la campagna era stata condotta dagli azionisti, che hanno votato per rafforzare la loro posizione ed evitare che i manager continuassero ad attribuirsi paghe stratosferiche.

Questa volta era il popolo semplice, quello non aziendalista e vessato dalla crisi economica globale, a essere chiamato alle urne, eppure hanno vinto i manager. Le urne hanno voluto premiare il principio meritocratico o c'è un'altra ragione per la sonora bocciatura del referendum svizzero sul tetto ai salari dei manager? Panorama.it lo ha chiesto a Christian Marazzi, economista e docente presso la Supsi  (Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana).

Professor Marazzi, perché gli svizzeri hanno bocciato un referendum così populista, che, in tempi di crisi, aveva enormi possibilità di passare?

La Svizzera non è certo diversa da Milano o Berlino. La crisi economico-finanziaria si è fatta sentire anche qui e ha creato un vero e proprio terremoto, che a sua volta ha inevitabilmente provocato un cortocircuito sulla questione dei super stipendi dei manager. Va detto che i dirigenti non hanno fatto nulla per nascondere il loro trattamento d'oro, e per questo i Giovani socialisti hanno lanciato il referendum per mettere un tetto ai loro salari. Ancora nel 2011 il 55% degli svizzeri sosteneva l'iniziativa dei socialisti, che va a toccare circa 1.500 imprese e più di 4.400 persone. La Svizzera è un Paese piccolo e questi sono numeri grandi. Proporre un simile referendum ha un alto valore simbolico.

Sì, ma alla fine hanno vinto i manager. Significa che gli svizzeri hanno scelto il principio meritocratico, tanto sei bravo e produci tanto ti pago?

No, le cose non stanno proprio così. A partire dal 2012 è partita una forte campagna, largamente finanziata, per bocciare il referendum. Dall'altra parte la campagna dei Giovani socialisti è stata raffazzonata e confezionata un po' male. A cominciare dal quesito. E' evidente che il rapporto 1 a 12 per gli stipendi dei manager non regge, perché si parla di cifre lorde, mentre al netto sarebbe di 1 a 6.5. Inoltre, quando parliamo di salari dei dirigenti è sempre bene tener presente che questi salari rappresentano non più del 20% del reddito complessivo dei top manager, che include ovviamente bonus, buone uscite dorate, attivi non dichiarati e così via. Tutte voci non incluse nella domanda referendaria".

E i manager come la pensano?

A sostegno degli stipendi d'oro esiste tutta una serie di giustificazioni, a cominciare dal principio meritocratico, che motiva i super salari con il lavoro fatto in termini di produttività aziendale, ma questo argomento non è convincente.

Perché?

Perché non sono solo i manager a determinare il successo di un'azienda, ma sono tutti i lavoratori di quella azienda. Tra l'altro, se andiamo a scorrere i dati degli ultimi anni di crisi, proprio le strategie scelte dai super dirigenti hanno portato a un chiaro taglio dell'occupazione, con ripercussioni drammatiche su tanti lavoratori. Quindi, non giustificherei i salari dorati con il principio meritocratico, altrimenti dovremmo fare lo stesso discorso per tutti i dipendenti di una singola azienda e aumentare i loro stipendi a seconda della produttività. Tra l'altro, proprio qualche giorno prima del referendum parlavo con un manager che aveva già pronto un piano B nel caso avessero vinto i "sì". Sua figlia studia a Hog Kong e mi ha detto che se le cose si fossero messe male si sarebbe trasferito anche lui lì, evitando così di pagare tasse e contributi. Insomma, se fosse passato il referendum molti manager sarebbero scappati dal Paese.

Con la bocciatura di questo referendum secondo lei la Svizzera ha dato un forte segnale in favore dei super ricchi?

No, non credo. Credo, invece, che in generale la Svizzera abbia dato un forte segnale contro gli stipendi d'oro, perché prima di questo referendum, fallito a causa di una campagna elettorale di scarso livello, l'iniziativa Minder aveva raccolto un enorme successo. E' vero che in quel caso sono stati gli azionisti a chiedere un tetto ai salari regali dei top-manager, ma è anche vero che non tutti gli svizzeri sono azionisti. Tutto sta nel modo in cui si confeziona la domanda referendaria e in come si gestisce la campagna elettorale. 

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Anna Mazzone