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ZEIN AL-RIFAI/AFP/Getty Images
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Siria, un impossibile accordo di pace

Le ipotesi d’intese per la fine delle ostilità attraverso l’ONU hanno un senso. Ma la realtà sul campo indica come questo sia, nel breve periodo, decisamente improbabile. Ecco perché

Un accordo di pace tra USA, Russia, Iran e Arabia Saudita.

Questa l’unica via possibile per la pace in Siria. Almeno secondo una serie di analisti internazionali, che da mesi discutono della questione ai margini degli alti comandi NATO e del Consiglio di Sicurezza ONU.

A rilanciare la tesi è l’emittente qatariota Al Jazeera, ma agli occhi dei più questo sembra più un esercizio di stile che altro. Vero è che in singole località, come a Zabadani, dove si fronteggiano governativi e ribelli, accordi di cessate-il-fuoco sono stati sperimentati, senza però sortire un grande effetto.

Ma oggi, con l’accordo iraniano in pugno e con il timore di Mosca che l’amico Assad possa effettivamente cadere (un esempio negativo che rischierebbe di riaccendere anche l’orgoglio ceceno), è forse opportuno pensare a un accordo, anche al ribasso.

Nelle mani dei jihadisti
La priorità è evitare che la Siria cada definitivamente in mano alle milizie jihadiste salafite, rappresentate da Jabhat Al Nusra e Stato Islamico, che al momento sono le due armate che detengono de facto le sorti del Paese, avendo incontrato una serie di successi militari che hanno spaventato gli alti comandi, a oriente come a occidente.

Inoltre, tra la popolazione siriana rimasta nel Paese serpeggiano malumori e fioccano proteste per le condizioni di vita inumane e per quelle migliaia di soldati inutilmente strappati ai loro affetti e mandati a morire senza la benché minima strategia.

I morti civili per mano dell'esercito
Secondo il Syrian Network for Human Rights, inoltre, nei primi sei mesi del 2015 i civili uccisi dalle truppe di Assad sarebbero 7.894, mentre i civili uccisi dallo Stato Islamico 1.131. Né tra le truppe del regime il morale si può dire alto.

Insomma, anche se tutti hanno capito che questa guerra non ha più senso, si sa altrettanto bene che la vincerà nessuno. Di certo non Assad, non più.
Perciò, occorre un piano B.

La soluzione ONU
Dal momento che nessuna coalizione internazionale scenderà in campo per salvare il regime di Damasco e il suo presidente, e dato che la Turchia sul terreno di battaglia insegue ben altri obiettivi, si cerca allora una soluzione diplomatica orientata a "salvare il salvabile", almeno secondo quanto circola tra i corridoi di New York, nelle meeting room del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite presso il Palazzo di Vetro.

Ma è più una suggestione e una speranza questa, che non una solida base dalla quale far partire reali colloqui di pace.

Cosa verrebbe infatti proposto alle parti? Immaginare qualcosa di più che un Paese diviso tra i territori alawiti (la parte sciita del clan di Assad) - ovvero Damasco, Latakia e il resto della costa siriana - e i territori sunniti - ovvero pressoché le aree dove oggi torreggiano Al Nusra e Stato Islamico, magari con Aleppo in mano ai ribelli - non è una soluzione.
È solo fotografare lo status quo e arrendervisi.

Certo, da parte della comunità internazionale eliminare Bashar Al Assad manu militari tempo fa sarebbe stato forse coerente con la caduta di Saddam Hussein in Iraq e Muammar Gheddafi in Libia, ma ormai, per come si è evoluta la guerra, sarebbe illogico. Così come detronizzarlo alla maniera di Ben Ali in Tunisia o Mubarak in Egitto avrebbe avuto un senso sino a che i ribelli “moderati” avevano sufficiente spinta e sostegno occidentale.

Ma cos’è successo dopo? Basta osservare meglio la Siria per capire come da questa guerra non usciranno né un buon accordo né una pace armata, almeno non a breve termine. Il vaso di Pandora è stato aperto molto tempo fa e difficilmente sarà l’ONU a richiuderlo. Vedere il lavoro di Berardino Leon, inviato delle Nazioni Unite in Libia, per credere.

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Luciano Tirinnanzi