Sindrome caverna
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Salute

Come uscire dalla «sindrome della caverna»

Il ritorno alla vita normale non sarà semplice per tutti, soprattutto giovani, abituati a vivere da un anno chiusi nelle loro stanze, come in una grotta

Gli psicologi la chiamano "cave syndrome", la sindrome della caverna. È quella che stanno provando milioni di persone nel mondo dopo essere state chiuse in casa per oltre un anno a causa dell'epidemia. L'American Psychological Association ha appena pubblicato un report che contiene statistiche e fornisce consigli su chi ha difficoltà a ritornare alla vita di prima.

La stima è che al momento circa il 48 percento dei vaccinati sentono disagio e inquietudine al pensiero di dover ritornare ai vecchi rapporti di persona nel lavoro e nelle altre situazioni della vita quotidiana. I fattori di rischio che provocano la "sindrome della caverna" sono l'abitudine a stare in casa, la sensazione che vi sia un rischio e la quasi assenza di rapporti sociali di persona. Coprirsi il volto con una mascherina, mantenere la distanza sociale, non invitare amici a casa procurano un'abitudine che è difficile rompere.

Alla fine di un'epidemia le persone sono ancora concentrate sul rischio di infezione piuttosto che sui possibili danni alla salute dovuti all'assenza di stimoli e di interazioni con il mondo esterno, tutti fattori cruciali per il benessere psichico. A ciò si aggiunge il fatto che i periodi di isolamento forzato hanno determinato particolari cambiamenti nelle persone tali da procurare loro imbarazzo. Per esempio, sulla base di interviste condotte negli Stati Uniti, si calcola che il 61 per cento degli adulti sono aumentati di peso. A peggiorare la situazione il fatto che il 67 per cento degli adulti ha dormito o di più o di meno di quanto avrebbe voluto e il 47 per cento ha rinunciato a controlli sulla salute nel periodo dell'epidemia. Infine, il 48 per cento dei genitori ha tuttora un accresciuto livello di stress dovuto alla presenza dei bambini in casa.

Il report della American Psychological Association consiglia prima di tutto di identificare le cattive abitudini: "ciò significa capire esattamente quando uno sta mangiando cibi dannosi, quando sta avvenendo qualcosa di stressante durante la giornata, quando uno è annoiato. Ma significa anche prestare attenzione a come ci si sente dopo una certa attività". A questo punto, secondo il report uno dovrebbe cercare di sostituire quel comportamento con un'altra attività che non procura disagio interiore dopo: "bisogna darsi degli obiettivi raggiungibili e trovare qualcuno con i quali condividerli, magari un amico, ciò aiuta a tenere traccia dei progressi fatti. Per mantenere il peso forma occorre stabilire una routine che ci faccia mangiare solo tre volte al giorno, magari impostando una sveglia. E se uno non può uscire allora la cosa migliore è indentificare uno spazio in casa contando un certo numero di passi così da camminare durante le pause di lavoro o mentre si telefona o si fa una riunione on line".

La situazione sarebbe più problematica per le persone che hanno apprezzato molti aspetti della vita pandemica, per esempio quegli studenti che hanno risparmiato il costo dell'affitto di una stanza in una città universitaria e non hanno apparentemente risentito di un lungo periodo di studio a casa. Secondo il report, queste persone sono più a rischio di sviluppare quello che i giapponesi chiamano hikikomori, il fenomeno sociale che vede i giovani starsene chiusi nella propria stanzetta per fuggire la pressione di una società che mette al primo posto il successo personale e l'autorealizzazione. Il consiglio della American Psychological Association è quello di escogitare strategie come la meditazione o la preghiera che facciano percepire la presenza di uno scopo nella vita.

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Luca Sciortino