«Teniamo aperto il ristorante per salvare anche la dignità del lavoro»
Lorenzo Bertamè
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«Teniamo aperto il ristorante per salvare anche la dignità del lavoro»

Lorenzo Bertamè: «Non bastano i bonus, i piccoli imprenditori devono trovare soluzioni al cambiamento. Ma dal governo chiarezza»

«Il susseguirsi di decreti ci ha fatto venire l'idea di crearne uno tutto nostro». Si chiama Decreto Bertamè e come l'ultimo Dpcm è attivo dal 28 ottobre. La trattoria in via Lomonaco a Milano decide così di restare aperta, nonostante il periodo di crisi e l'obbligo di chiusura alle 18, dando vita a una serie di nuove proposte come la colazione fatta in casa, pane caldo e pasta fresca take away e soprattuto lo smart working «Casa Bertamè» per «portare l'ufficio al ristorante». Abbiamo parlato con Lorenzo, proprietario della trattoria e di questo suo decreto che sta facendo molto parlare, anche fuori dal suo quartiere.

Come è nata l'idea di pubblicare un vostro decreto?

«La mia compagna ha pensato, visti tutti i decreti annunciati quest'anno, di farne uno tutto nostro per indicare al quartieri i cambiamenti nella nostra attività e la nostra voglia di perseverare. Se i cittadini si trovano in un momento di totale confusione per la mancanza di direttive chiare, il nostro decreto ha voluto portare un po' di organizzazioni. Idee semplici, utili e conformi alle direttive».

A partire dalla colazione.

«La trattoria Bertamè è sempre stata aperta per pranzo e per cena, con una buona affluenza. Dopo il lockdown, vista l'alta percentuale di smart working in città, abbiamo deciso di restare aperti soltanto per cena. Ma ora, con le nuove normative, ci siamo trovati a dover cambiare tutto di nuovo. Abbiamo iniziato a preparare brioche e abbiamo reinserito anche il “business lunch", a un prezzo economico per andare incontro alla spesa quotidiana. Quello che però rimane invariato il nostro ambiente conviviale, dove un muratore e un direttore di banca possono essere vicini di tavolo».

Ed è proprio questo ambiente familiare che sta alla base della vostra proposta Casa Bertamè»?

«Assolutamente. Il nostro vuole essere un co-working al ristorante, con uno stile un po' americano. Chiunque lo desideri può lavorare, incontrare colleghi e clienti da Bertamè. Abbiamo anche un bel giardino per qualche momento di relax. È la proposta ideale per tutti coloro che cercano uno spazio tranquillo dove lavorare senza i bambini, oppure non vogliono stare soli tutto il giorno. Stando da noi ci si sente a casa e speriamo in questo modo di regalare un po' di normalità anche in questo periodo».

Cosa vi ha spinto a restare aperti nonostante tutti i problemi?

«Non possiamo certo dire che dopo il discorso di Conte non si sia stata rabbia. Ci è stato chiesto di spendere tanti soldi per sanificare gli ambienti per poi farci chiudere comunque. Alla fine però ognuno di noi deve rimboccarsi le maniche e andare avanti. Abbiamo preso la nostra rabbia, l'abbiamo cucinata e abbiamo dato vita a qualcosa di positivo che ispirasse il nostro quartiere».

Queste nuove iniziative vi permetteranno di mantenere stabili gli incassi?

«Purtroppo no. Quello che guadagnano ci basta solo a sopravvivere, ma la nostra non è una scelta economica quando sociale. Restare aperti significa tenere accesso un piccolo lume di speranza. Non è bello camminare e vedere le saracinesche abbassate, e allo stesso modo non volevamo che i nostri dipendenti si trovassero ad aspettare una cassa integrazione che non arriva mai».

Quale messaggio si sentirebbe di dare agli altri ristoratori?

«In un periodo come questo non possiamo far vincere la paura. Ci sono tante persone che per i loro interessi la fomentano e tanti più deboli che la subiscono, ma la risposta dei nostri clienti ci sta dimostrando che la gente ha voglia di positività».

C'è qualcosa che chiederebbe al governo?

«Chiarezza. Quello di cui abbiamo bisogno è una linea guida da padre di famiglia. Stiamo spendendo milioni di euro per i tamponi, ma non riusciamo comunque a tenere traccia dell'andamento del virus. Ci sono troppi pensieri e opinioni contrastanti. Quello che vogliamo oggi più che mai è sapere cosa ci aspetta. E lo dico da pessimista. Fino alla Pasqua prossima non mi aspetto torneremo alla normalità, ma continuiamo a lottare».

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Mariella Baroli