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Quasi quasi mi clono il cane

Sono 1000 nel mondo i "pets" clonati; bastano una manciata di cellule e 80mila euro. Un fenomeno in piena espansione

Chi ha il privilegio (perché di quello si tratta) di avere un cane, sa che con il proprio animale si instaura, semplicemente, il rapporto perfetto: «Uno sguardo e ci siamo capiti». E quando alla fine se ne va, ciò che si piange non è un cane, ma è l’amico del cuore. Per cui, siamo onesti. A qualsiasi padrone la tentazione viene: avere non un altro esemplare, ma esattamente quello che si è perso, con un futuro nuovo di zecca. Sfidare la tirannia del tempo, rimettere indietro le lancette biologiche. Meraviglioso.

E chi l’ha detto che non si può fare? Basta tirare fuori 60-80 mila euro, il prezzo di un’auto di lusso, e voilà. La scienza è in grado di restituire a padroni dolenti, ma soprattutto abbienti, la copia identica del loro animale. La parola magica è «clonazione». Fenomeno all’inizio di nicchia, qualche scienziato spregiudicato, qualche cliente accanito, oggi sempre più diffuso. Finora (dal primo cucciolo così ottenuto, un maestoso levriero afgano di nome Snuppy, nel 2005) sono stati clonati in tutto il mondo quasi mille fra cani e gatti.

La prima a lanciarsi nel business è stata una società della Corea del Sud, la Sooam Biotech, che manipola ogni anno le cellule di 150 cani defunti e, a oggi, ha sfornato oltre 700 cloni; negli ultimi anni si sono aggiunte l’americana ViaGen, in Texas, e la cinese Sinogene Biotechnology. La promessa è che da una manciata di cellule del proprio benianimo si otterrà, nel giro di alcuni mesi, la sua replica precisa. Una sorta di resurrezione. A dir la verità, la personalità non la garantiscono «tale e quale», ma lasciano intendere che così sarà. Abbastanza da convincere inconsolabili proprietari a provarci.

E non solo padroni di pets. A fine estate è entrato in servizio, a Pechino, il primo cane poliziotto, un pastore tedesco di nome Kunxun. La motivazione non è affettiva ma pragmatica: l’originale, sette anni, è un esemplare eccezionale, che ha aiutato a risolvere 12 casi di omicidio. Anziché farlo riprodurre, gli agenti hanno deciso di affidarsi ai servizi della Sinogene Biotech così da avere subito un clone predisposto al mestiere, riducendo tempi e costi dell’addestramento.

Del resto, se volete un po’ di aneddottica, basta farsi un giro su internet. Il caso più celebre resta quello di Barbra Streisand, che un anno fa ha fatto clonare la sua Samantha, morta a 14 anni, a partire da cellule prelevate dalla bocca, ottenendo miss Violet e miss Scarlet: due spumosi ammassi di pelo Coton du Tuléar. Ma già nel 2008 Joyce Bernann McKinney, un’americana di 58 anni, aveva ottenuto in Corea cinque repliche dal suo pitbull Booger, dovendo però vendere la casa per pagarseli (150 mila dollari, prezzo scontato).

Sul prato dell’imprenditore californiano 50enne Peter Onruang, scorazzano felici quattro «fotocopie» dei suoi due cani (defunti). Gli allegri cloni si chiamano Wolfie Bear, Wolfie Girl, Bubble Face e Bubble Rubble. Sulla pagina facebook.com/myfriendagain di Dog cloning services ci sono tutti i dettagli dell’impresa, oltre a incoraggiamenti a fare altrettanto. E lo stesso Snuppy, il levriero afghano che 14 anni fa aprì la strada alla valanga di esperimenti successivi, è stato riclonato nel 2017: dalle sue cellule gli scienziati hanno impiantato 94 embrioni in madri surrogate, facendo nascere quattro cuccioli.

Sul mercato della «resurrezione animale» scriveva, già nel 2010, il giornalista americano e premio Pulitzer John Woestendick nel libro The Uncanny Inside Story of Cloning Man’s Best Friend: «Più investiamo emozionalmente negli animali domestici, più diventa difficile sopportarne la morte. L’amore per i cani e le tecnologie della clonazione erano due traiettorie destinate a incrociarsi». Woestendick, benché padrone amorevole di vari cani, è assai critico nei confronti di questo tipo di clonazione. Per una serie di ragioni.

Intanto, clonare un cane o un gatto (il primo è più complesso e costa il doppio) non è un processo che fila liscio come l’olio. La Sooam Biotech texana consiglia di pensarci per tempo, ossia quando il cane è ancora vivo e vegeto. In questo caso il prelievo dei tessuti viene effettuato da un veterinario per circa 1.600 dollari. Se invece la decisione avviene post-mortem, l’indicazione (un po’ sinistra) è: «NON mettetelo nel congelatore bensì avvolgetelo in coperte bagnate e tenetelo in frigo. Ci sono cinque giorni di tempo per estrarne le cellule. Contattate il nostro specialista compilando il modulo a www.notyoubutyou.com». Segue telefono.

Una volta spedite le cellule, gli scienziati inseriranno il loro nucleo, che contiene il Dna, nell’ovocita di una cagna in calore (svuotato del suo nucleo originario per far posto al Dna da clonare). Infine, occorrerà trovare un’altra femmina che farà da madre surrogata del futuro replicante. «Dal momento che le cagne vanno in calore due volte l’anno, e le loro ovaie producono circa otto ovociti, occorre averne a disposizione centinaia per scegliere quelle “giuste”» spiega Woestendick. Scelto l’esemplare su cui effettuare l’esperimento, per prelevarne gli ovuli bisognerà «aprirlo» in anestesia generale.

Cesare Galli, che nel suo laboratorio di tecnologie avanzate per la riproduzione animale a Cremona clona suini (per la ricerca medica) e cavalli (i campioni da competizione), sulla clonazione «domestica» è freddo: «A parte che di report scientifici ne circolano pochi e le scarse informazioni vengono rilasciate da compagnie private, nei cani è un processo complicato. Si devono prelevare gli ovuli di una cagna in calore con un intervento chirurgico, fare il lavaggio delle tube e raccogliere gli ovociti che serviranno alla clonazione». Individuato l’ovocita adatto, dentro cui si inserisce il nucleo dell’animale da clonare, occorre metterlo nell’utero di un’altra cagna, la madre surrogata. Con un’altra operazione. «Nei bovini o nei suini, invece, l’impianto degli embrioni clonati avviene come un’inseminazione artificiale, deponendo l’embrione nell’utero» precisa Galli.

Quando il cucciolo è nato e svezzato, la madre surrogata chi se la prende? Non il miliardario che, con il suo beniamino tra le mani, si commuove, paga e se ne va. In Texas, la cagna che ha partorito il clone viene inserita in programmi di adozione, in Cina e in Corea del sud... Mah.

Dettagli inifluenti per chi clona il proprio animale, e non perché sia un infame, ma perché nemmeno ci pensa. Negli Usa, diverse associazioni per il welfare animale avversano la clonazione. Ma le loro argomentazioni, «nei canili e gattili ci sono tanti animali che cercano padrone» eccetera eccetera, hanno scarsa presa su padroni addolorati e clonatori interessati.

Nel processo di clonazione, poi, errori e imprevisti sono frequenti. Più del 90 per cento dei tentativi fallisce. Ci sono voluti 319 donatrici di ovociti e 214 madri surrogate per ottenere i primi 5 cani e 11 gatti clonati: 16 esemplari provenienti da un totale di 3.656 embrioni. E un articolo su onezero.medium.com, Dogs are dying to make the perfect pet clones, ricorda che spesso ci sono aborti e complicazioni neonatali, molti cloni nati con difetti genetici sono scartati.

Più indulgente e possibilista è Paolo Vezzoni, ricercatore del Cnr e dell’Istituto Humanitas (autore del libro Si può clonare un essere umano?): «D’accordo, è un capriccio da ricchi, ma con le attenuanti. In una società dove ognuno può fare quello che vuole, se un padrone clona il proprio cane, che fastidio dà? La società deve bloccare le scelte dell’individuo solo quando sono pericolose. In genere poi, superato il primo mese, l’aspettativa di vita dei cloni è nella media. Certo, clonare un animale per la ricerca è qualcosa di più valido».

Il centro di biotecnologie avanzate di Galli, per esempio, clona suini per xenotrapianti: «L’obiettivo» spiega «è avere polmoni, cuore, fegato provenienti da maiali “ingegnerizzati” in modo da non dare reazioni immunitarie. In Belgio, un nostro collaboratore fa crescere maiali clonati per ottenere isole pancreatiche da utilizzare in pazienti con diabete. Abbiamo poi cloni di maiali che riproducono modelli di malattie umane, come la Sla o l’arresto cardiaco nei bambini, utili per trovare marcatori per la diagnosi precoce».

Ma da noi, tecnologicamente avanzati nella clonazione a fini di ricerca, quella dei pets avrà mai un futuro? Secondo Vezzoni, «difficile che avvenga in Italia, dove è forte il mito del “naturale”, o in Germania, la cui “cattiva coscienza” eugenetica fa da freno. Semmai in Inghilterra, dove non si fanno questi problemi, o in Svizzera, molto più permissivi».

Al laboratorio di Galli, che è anche una bio-banca di stoccaggio, vengono mantenute in azoto liquido, per 12 euro al mese, cellule canine consegnate da clienti che «un domani, chissà...». Però, «se vogliono procedere con la clonazione, gli diciamo che devono andare in Corea o Stati Uniti. Di cellule, fra quelle di cavalli e cani, ne abbiamo circa 120. Finora, però, nessun padrone è andato oltre».

Se un clone scodinzolante è, per chi può permetterselo, il massimo della consolazione, il mercato offre altri modi, meno esosi, per riavere sotto gli occhi ciò che la morte ha sottratto. Perpetual Pet, con sede in Virginia e Florida, riceve per posta cadaveri congelati e sigillati di cani e gatti e, con un procedimento che unisce tassidermia e crioessiccazione, restituisce al proprietario il suo beniamino immortalato mentre dorme, o guarda fisso nel vuoto. Il costo: 825 dollari fra i tre e i dieci chilogrammi, con un sovrapprezzo di 70 euro ogni mezzo chilo in più. Un giro nella gallery di perpetualpet.net rende l’idea.

Pensate sia lugubre? Anche noi. Ma i commenti sono entusiasti: «È meraviglioso riavere la nostra amata Naomi con noi!». «Se non fosse per voi, non avrei più rivisto Fox! Grazie!». «Consiglio di cuore i servizi di Perpetual, la mia Sandy Cat sarà sempre con me».

C’è infine, lo accenniamo brevemente, una terza alternativa: seppellire il proprio amico, accettare in pieno il dolore e accoglierne un altro, magari senza spendere un euro. All’inizio ci sembrerà più scemo, più disubbidiente, più ostinato. E poi, succederà di nuovo: diventerà il nostro cane perfetto.

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Daniela Mattalia