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Gianni De Michelis, scomparso l'11 maggio 2019 (Ansa).
Politica

Cosa potrebbe imparare Draghi da Gianni De Michelis

A due anni dalla scomparsa del ministro socialista, riflessione sul suo operato. Che rilanciò la politica industriale e contribuì allo sviluppo dell'Italia negli anni Ottanta.

Siamo ormai proiettati in una stagione in cui la politica industriale è richiamata come strumento determinante per la ripresa del Paese. L'Unione Europea ha recentemente aggiornato la sua strategia con un poderoso documento di analisi e proposte, su cui andrebbe condotta una valutazione approfondita. Il messaggio che l'industria deve diventare «verde», «ecologicamente friendly» rappresenta la frontiera più conosciuta del nuovo approccio ma certo non risolve i problemi dell'assetto produttivo.

In Italia, dopo un'opaca stagione di politiche industriali, il governo Draghi ha dato una direzione di marcia chiara sulla transizione ecologica (con l'istituzione di un nuovo Ministero) e sulla necessità di un ridisegno delle politiche industriali, partendo dall'assunto che non occorre tenere in vita «imprese zombie». Ciò che si richiede oggi è tradurre queste indicazioni in una visione. E allora non si può non andare con il ricordo a chi ebbe una chiara visione della politica industriale: Gianni De Michelis, di cui oggi ricorre il secondo anniversario della scomparsa.

La sua esperienza quale ministro delle Partecipazioni statali può essere di grande aiuto a chi oggi siede al Ministero di via Veneto, poco distante dalla storica sede di allora di via Sallustiana. Certamente il panorama di oggi è molto diverso, ma alcune delle sfide - purtroppo - sono rimaste le stesse (basta confrontare le pagine dei giornali) e rileggere quella esperienza può tornare utile. Limitiamo le nostre considerazioni all'industria italiana. La pandemia ha reso il sistema produttivo italiano più fragile, ha innestato elementi di crisi congiunturale su problemi strutturali, rende necessarie scelte radicali per dare nuovo vigore alla seconda manifattura europea.

La sfida principale è recuperare produttività, alzare il livello tecnologico e di innovazione, riorganizzare le competenze. Non può e non deve essere solo la politica dei tavoli di crisi. Oggi come allora deve essere adottata una politica di ristrutturazione dell'industria italiana, ispirata a rigorosi criteri di economicità e al rispetto degli obiettivi di redditività, il che significa anche - dolorosa - chiusura di impianti, smobilizzando le imprese in perdita mediante un loro ritorno sul mercato, favorendo la creazione di alleanze tra pubblico e privato. De Michelis la adottò, anche con il rischio della impopolarità politica e della incolumità personale, ma con la piena consapevolezza che quelle scelte garantivano lavoro e lavoratori.

Oggi come allora occorre razionalizzare il sistema, evitando da un lato che vi sia un improprio ritorno al pubblico (caricando quindi il bilancio pubblico di ulteriori oneri impropri), dall'altro che le «nuove» partecipazioni pubbliche siano aggregate in maniera confusa e non strategica. De Michelis insegnò che la politica doveva avere la primazia sul sistema ma, al tempo stesso, che ogni scelta doveva essere fondata su una chiara indicazione strategica.

Oggi come allora occorre riavviare la politica industriale mediante una scelta dei settori prioritari, combinando politica dei settori con politica dei fattori. De Michelis disegnò all'epoca i settori prioritari e rileggendo l'innovativo e dettagliato Rapporto sulle Partecipazioni Statali, si vede che non molto è cambiato rispetto alle sfide che attendono l'attuale ministro: siderurgia, telecomunicazioni, chimica, sviluppo del Mezzogiorno, riorganizzazione del sistema finanziario, rapporto tra politica industriale e politica finanziaria.

Gianni De Michelis allora fu protagonista (e non solo come ministro delle Partecipazioni statali) di un aspro confronto con la Commissione europea a tutela degli interessi italiani (allora la siderurgia), dimostrando che si può essere europei ed europeisti anche tutelando le specificità nazionali, una situazione non molto diversa da quella odierna su molti dossier (Alitalia in primis). De Michelis con la sua curiosità intellettuale guardava al mondo anglosassone, allora si era all'alba delle ere Thatcher e Reagan, capace di fornire nuove suggestioni alla politica industriale, con modelli fondati su regole d'impresa semplici (sia alla nascita che nel fallimento), protezione dei lavoratori (ma non delle imprese), reindustrializzazione con attrazione di capitali dall'estero, nuove frontiere tecnologiche.

Idee di cui avremmo molto bisogno per una diversa strategia delle crisi di impresa e che appaiono prefigurarsi nelle scelte adottate in materia dalla nuova amministrazione. L'Italia senza la sua manifattura non può essere la settima potenza mondiale. I prossimi mesi saranno determinanti per porre nuovamente l'impresa al centro delle politiche economiche e la politica industriale quale crocevia delle scelte produttive. De Michelis rilanciò la politica industriale in Italia facendo del ministro non un notaio ma un regista e contribuendo allo sviluppo del Paese degli anni Ottanta. Ci auguriamo che la sua esperienza sia presente e ispiri il governo Draghi nelle scelte che dovranno indirizzare l'utilizzo delle significative risorse finanziarie europee.

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Paolo Reboani