Parla Silvana Saguto: "Non ci sto a pagare per tutti"
©Gerbasi/Contrasto Palermo 1 Marzo 2018 Silvana Saguto ex presidente della Sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo è accusata di avere gestito in modo spregiudicato i patrimoni sottratti alla mafia. Avrebbe favorito familiari e collaboratori, creando una "rete" basata su favori e regalìe.
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Parla Silvana Saguto: "Non ci sto a pagare per tutti"

A tre anni di distanza dallo scandalo beni sequestati che ha terremotato l'antimafia, il giudice, al centro dell'inchiesta, si difende e attacca

da Palermo

Sono di fronte a un magistrato a processo per 33 capi d’imputazione, sotto procedimento disciplinare dal Csm che ne ha chiesto l’espulsione e che per gli avvocati dello Stato avrebbe «messo in atto un’attività delinquenziale e predatoria sui beni sequestrati alla mafia».

Silvana Saguto, è una “delinquente”?

Sono entrata in magistratura nel 1981. Ho lavorato prima a Trapani e dopo a Palermo. Sono la sola donna che ha avuto il coraggio di zittire Totò Riina e che gli ha inflitto, insieme alla Corte d’Assise, 13 ergastoli. Ho organizzato i confronti tra quest’ultimo e collaboratori di giustizia come Buscetta, Mutolo e Marchese. Mi sono formata e cresciuta accanto a uomini come Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che, tengo a ricordare, mi voleva un bene incredibile.

Dei figli di Borsellino, nelle intercettazioni, ha detto: «Lucia è una cretina» e Manfredi «uno squilibrato».

È una frase estrapolata dal contesto. Tagliando e cucendo brandelli di intercettazioni si può fare dire a un uomo quello che si vuole. Se sono riusciti a ricostruirli ad arte come nel mio caso, non oso immaginare cosa siano stati capaci di fare in altri.

È una frase che racconta i suoi valori.

Dei figli di Borsellino parlavo sia con il padre che con la madre cui sono rimasta vicina dopo la morte del marito. Semplicemente non ho apprezzato l’atteggiamento dei figli. A volte credo che se la mafia mi avesse uccisa avrebbe fatto una cortesia alla mia famiglia. Sarei passata per eroina. La verità è che hanno provato a farmi saltare in aria con questa inchiesta.

Ma chi? Perché? Che dice?

Massimo Ciancimino, come risulta dalle intercettazioni, ha detto: «Dobbiamo toglierla dalle misure di prevenzione». Per la mia attività ho ricevuto i complimenti dal Csm. Venivo consultata periodicamente dal presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi. Per anni la mia sezione è stata ritenuta un modello.

Perché ha deciso di parlare?

Perché sono certa di potermi discolpare. Sono stata indicata come il giudice più corrotto d’Italia e ho subito un processo mediatico su fatti che sono stati solo asseriti e mai dimostrati.

Leggo le parole del Procuratore Generale per chiedere la sua rimozione dall’ordine giudiziario: «Nell’arco temporale del suo incarico non vi è stato un giorno in cui la Saguto non abbia compiuto un illecito disciplinare».

Il Procuratore Generale non si rende conto della nullità delle accuse. Ha anche detto che faccio parte di un’associazione paramassonica che sarebbero i “Moschettieri d’Armagnac”, un’associazione di appassionati dell’Armagnac. Nulla più che un pregevole distillato.

Di nessun magistrato si è mai potuto dire tanto. A nessun magistrato è stato permesso di arrivare a tanto.

Per la prima volta, un procedimento disciplinare arriva prima che un processo penale acclari la verità. Se ho commesso gli atti di cui mi si accusa deve essere un tribunale a stabilirlo e non può essere il Csm. Mi chiedo cosa ne sia del concetto di garantismo, concetto caro a questo governo.

Se le accuse si dimostreranno vere rischia di passare come il magistrato che ha insozzato la toga. Se si dimostreranno false come il magistrato che ha screditato per sempre l’antimafia.

Io non mi ritengo un giudice antimafia. Io sono un giudice che ha fatto misure di prevenzione. Non amo il termine antimafia. L’antimafia è una parola. Un movimento, un pensiero. È un atteggiamento.

Un atteggiamento?

Esiste la filomafia? No. Un giudice è per definizione antimafia.

Esiste l’antimafia. L’ha distrutta pure come pensiero.

Per molti è stato un titolo da esibire. Che non ci siano più uomini che si fregiano del titolo dell’antimafia può solo farmi piacere.

Nelle intercettazioni diceva: «Sono Dio Onnipotente».

È stato sicuramente omesso un “non”. Sono oltretutto una donna cattolica. Praticante. Ho frequentato i salesiani. Ho svolto del volontariato. Non mi paragonerei mai a Dio. Se proprio lo avessi – e ripeto non l’ho fatto – avrei utilizzato l’espressione “Padre eterno”.

Forse non l’ha pronunciato. Ma ha creduto di averne preso il posto.  

Ribadisco che non ho mai creduto di avere preso il suo posto. Giancarlo Caselli ha detto di me: «È la più grande imprenditrice di Sicilia». Non mi ha fatto un favore. Ho amministrato una quantità di denaro che pensare che abbia intascato solo 20 mila euro, denaro che mi viene contestato, fa torto alla mia intelligenza. Se mi fossi accontentata di soli 20 mila euro sarei stata una cretina. Ne avrei presi molti di più.

Per raccontare la sua gestione dei beni confiscati, i magistrati sono ricorsi alla parola “Sistema”. È la parola che si utilizza per indicare il malaffare organizzato.

Mi accusano di aver dato vita al “Sistema Saguto”, un cerchio magico di amministratori, ma dimenticano di ricordare che dopo il mio insediamento a presidente della sezione misure di prevenzione di Palermo, gli amministratori passano da 35 a 135. Li ho quadruplicati. Più che un cerchio ho creato un campo di calcio.

O un girone.

Mi rivolgevo anche ai miei colleghi di Milano per farmi consigliare professionisti disposti a farsene carico. Io avevo un problema di abbondanza di beni da assegnare. Mancavano le professionalità.

Molti suoi decreti non giustificavano il sequestro. Sono stati smontati. Ha sconvolto uomini e famiglie. Paralizzato economie.

Non mi risulta. So che molti sono ancora pendenti. Io non toglievo né restituivo beni. Io sequestravo. Il Tribunale non sequestra d’ufficio, si limita a recepire le proposte della Procura, Guardia di Finanza, Dia, Questura. Io, di mio, non ho sequestrato neppure una scarpa. Può essere che abbia sbagliato a valutare.

È stato così.

Ripeto. Sequestravo su proposta e mai per mia iniziativa. Accade che si sbagli. È nella logica umana. Ma di questo non possa essere ritenuta responsabile.

C’è chi ha perso tutto.

Si sequestra su gravi indizi di pericolosità. Se non si riesce a dimostrare la provenienza dei patrimoni. Esiste l’istituto del sospetto.

Che può essere l’anticamera dell’arbitrio.

Non sono io ad aver scritto la legge. Lo dice la Legge La Torre che viene ritenuta un successo nella lotta alle mafie. Se la riteniamo inadeguata possiamo modificarla. Tutti se ne sono vantati. La confisca di beni prescinde dalla condanna. Mi sono limitata ad applicarla.

Ma era lei che selezionava gli amministratori giudiziari.

Gli amministratori che ho scelto mi sono stati tutti segnalati da altri colleghi. Alcuni dal prestigio indiscutibile come l’ex procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, l’ex presidente Leonardo Guarnotta, o ancora dal professore e giurista Costantino Visconti, responsabile del Dems, una scuola che forma gli amministratori giudiziari. Perfino l’ex presidente del Csm, Michele Vietti, dopo aver lasciato l’incarico, segnalò uno studio legale che avrebbe potuto occuparsi di amministrazione giudiziaria.

Sta cercando di coinvolgere i suoi colleghi?

Sto solo provando a raccontare come si sceglievano gli amministratori.

Il suo favorito era l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara accusato di averle dato del denaro, di aver liquidato compensi a suo marito per oltre 750 mila euro e che sotto la sua gestione si è visto pagare parcelle per milioni di euro.

Lo sceglievo perché era il più bravo, il più titolato. Ma non è vero che gestisse oltre 20 amministrazioni giudiziarie. Erano solo 6 le misure. Riguardo alle parcelle, erano stabilite secondo le tariffe. Dalla legge. La famosa parcella da 6 milioni di euro di Cappellano Seminara era più che ragionevole. Era un’amministrazione durata vent’anni anni. Ci sono amministratori che si sono visti assegnare più amministrazione di Cappellano Seminara. È il caso del commercialista Alessandro Scimeca, ad esempio.

Sapeva tuttavia che suo marito, ingegnere, otteneva da Cappellano Seminara consulenze, incarichi. E però, sembra che anche oggi non lo scandalizzi né l’abuso né il conflitto.

Mio marito ha svolto più di 800 incarichi sempre per la Procura e il Tribunale. Ha iniziato a lavorare in procura nel 1981 e il primo incarico glielo ha assegnato Rocco Chinnici. Ha lavorato ben prima che mi insediassi alla sezione. Eclatante è quello che 2006 gli venne affidato dal giudice Giovanbattista Tona della procura di Caltanissetta – che neppure conoscevo – e che viene fatto entrare all’associazione a delinquere contestata a me, mio marito e Cappellano Seminara, ben quattro anni dopo. Non esisteva alcun elenco di amministratori, io non ho mai abusato del mio potere di nomina, che comunque è collegiale.

Sapevano i suoi colleghi che suo marito lavorasse nelle misure di prevenzione?

Non solo lo sapevano ma erano loro stessi che non vollero far rassegnare le dimissioni a mio marito. Solo dopo le polemiche si decise, di comune accordo, di far uscire mio marito da una procedura di piccola entità. Non rivelo nulla di sconvolgente nel dire che anche parenti di miei colleghi hanno lavorato in quella sezione. La figlia del giudice Gioacchino Natoli è stata nominata perito in alcuni procedimenti quando il padre non era ancora presidente del tribunale, così come il fratello del giudice Vittorio Teresi, il cognato del giudice Antonio Balsamo, la cognata del giudice Roberto Binenti da me nominata, la figlia del giudice Giovanni Puglisi, il figlio del giudice Giuseppe Rizzo, il marito della giudice Rosini mentre lei stessa operava nella sezione misure di prevenzione. C’erano i figli di tutto il tribunale a lavorare in quella sezione.

È capace di dimostrarlo?

Nessuno può sconfessarlo. Voglio vedere chi può negarlo. È tutto documentato. Anche il presidente del Tribunale di Palermo, Salvatore Di Vitale, ne era a conoscenza. Lo ha anche dichiarato quando è stato ascoltato nel processo penale.

Le venivano raccomandati i nomi da parte dei suoi colleghi?

Non erano raccomandazioni. Si trattava di referenze. Mi chiede se dei colleghi mi abbiano detto: “Lo nomini”? Le rispondo: “Tutti”. Posso fare centinaia di nomi. La legge dice espressamente che gli amministratori giudiziari devono essere uomini di fiducia, inavvicinabili e non spaventabili dai mafiosi. Chi meglio dei parenti di un magistrato? Non si troverà mai un sistema più virtuoso di quello basato sulla fiducia. Un amministratore bisogna conoscerlo. Dal curriculum può apparire impeccabile ma rivelarsi incompetente. Non vi è alcun divieto in tal senso e continua a non esserci.

Oggi una legge lo vieta e porta proprio il suo nome “Anti Saguto”

Non è assolutamente vero. Non è mai stata emanata una “Norma Saguto”. Gli incarichi continuano a essere fiduciari. Quella che lei dice essere la “norma Anti Saguto” è solo una circolare: una mera circolare del solo tribunale di Palermo.

Le accuse contro di lei sono un catalogo di impunità. Per compiacerla un amministratore giudiziario avrebbe perfino formulato la tesi di suo figlio.

La famosa tesi di mio figlio sa su cosa è stata fatta? Sulle misure di prevenzione. Sa di chi sono i tre casi analizzati in questa famosa tesi?

Voglio sperare non siano suoi.

Invece lo sono. Sono tre miei decreti. È come accusare Fidel Castro di aver rubato un sigaro che lui stesso produceva. Di cosa stiamo parlando?

Di una tesi copiata. La tesi di suo figlio.

Io stessa ho insegnato all’università il funzionamento delle misure di prevenzione. Se avessi sbobinato una sola delle mie lezioni anziché una tesi di 70 pagine avrei potuto formulare per mio figlio un lavoro di 250. Carmelo Provenzano - l’amministratore giudiziario, a cui fa riferimento e che avrebbe aiutato mio figlio per la tesi - è un professore di economia che ha aiutato numerosi figli di colleghi.

Gli agenti di scorta venivano spediti a ritirare la sue scarpe.

La scorta può andare dove voglio io. La mandavo per evitare che io andassi in luoghi pericolosi. Io personalmente non ho mai chiesto la scorta. Durante il mio primo incarico, da Trapani a Palermo, viaggiavo da sola nonostante le minacce. Anche oggi continua a esserci la vigilanza sotto casa mia perché sono ritenuta un soggetto a rischio.

Gli amministratori le facevano recapitare sotto casa perfino cesti di frutta.

Si trattava di sette euro di fragole. Che ho pagato. E poi le rivelo che non mangio frutta.

Ma ha fatto una spesa di 15 mila euro mai saldata in un supermercato sottoposto a misure di prevenzione.

Non ero io a fare la spesa. Se ne occupava mio marito.

Ci sta prendendo in giro?

Premetto che la spesa è stata pagata. Non ero a conoscenza di quel conto. Ero lo stesso Scimeca, amministratore giudiziario di quel supermercato, a lasciare cadere la questione. Una volta mi ha detto: «Per adesso non ti preoccupare del conto».

Da magistrato non l’avrebbe giudicata come corruzione?

Era un debito. Non ho mai accettato favori.

È accusata di aver percepito da Cappellano Seminara del denaro in contanti.

Ridicola l’accusa. Solo un mese dopo la notizia del reato è stato firmato il decreto di perquisizione che è stato eseguito – voglio ricordare – ben un mese dopo.

Si è ipotizzato un trasferimento all’estero.

Non troveranno nulla. Ma solo due mutui e una casa ipotecata. Sul mio conto corrente ho 18 euro. Il mio mutuo si trova presso Banca Nuova. Da presidente della sezione misure di prevenzione il mio compito era valutare la buona fede dei loro mutui e verificare i loro crediti. Ebbene, il mio mutuo non è stato rinegoziato. Avrei potuto facilmente ottenere mutui vantaggiosi e invece il mio era quasi a tassi che ritengo da usura.

Spendevate, ed era lei stessa a lamentarsene, 15 mila euro al mese.

Avevamo una vita dispendiosa.

Come faceva?

A volte mi aiutavano i miei suoceri e i miei genitori.

Lo stipendio le è stato decurtato. Quanto sta percependo?

Meno di 2000 euro.

Lo Stato e il ministero della Giustizia, si sono costituiti parte civile contro di lei. La sta processando lo Stato.

Verrò giudicata. Non mi spaventa. Posso solo dire che nella mia vita anche io ho giudicato e non mi sono mai sentita superiore a chi ho giudicato. Si giudicano i fatti e non gli uomini.

Il suo primo avvocato ha lasciato la difesa.

La correggo. La difesa è cambiata con la scelta degli avvocati Ninni Reina e Giulia Bongiorno che di fronte al Csm, alla prima udienza, ha dichiarato: «Per me è un onore difendere la dott.ssa Saguto».

Ha chiesto di essere collocata in pensione ed è a tutti apparso un modo per aggirare la decisione del Csm.

Ho diritto di essere messa in pensione e la mia richiesta valutata nelle sede competenti. Non mi può essere tolta. Se la decisione del Csm nel procedimento disciplinare mi dovesse essere sfavorevole la impugnerò in tutte le sedi competenti.

Non teme di essere condannata?

I tribunali non si basano sulle congetture ma sui fatti. La mia fama è di essere una donna dura. E di non piangere. Ho paura di essere vittima di un errore giudiziario. Ma sono sicura che non accadrà.



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Carmelo Caruso