Paita, flop e furbizie di una candidata molto renziana
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Paita, flop e furbizie di una candidata molto renziana

Dall'assunzione finalizzata ai contributi al dubbio titolo di giornalista. La carriera poco brillante della donna che vuole guidare la Liguria

"Futura e concreta". "Piedi per terra, occhi nel cielo". "La Liguria va veloce". Come spesso accade, la prosopopea elettorale rischia di infrangersi sugli scogli della realtà. Ogni anfratto della Liguria è ormai ricoperto di manifesti bianchi e rossi. Ritraggono l’aspirante governatrice del Pd, Raffaella Paita, rinominatasi "Lella". Una scelta in perfetta continuità con il decennio passato, in cui la Regione è stata guidata da Claudio Burlando, pigmalione di Paita. Eppure ammantata di messianiche promesse.

I trascorsi della candidata non sembrano però viatico di prospero avvenire. Gli esordi, da dirigente della sinistra giovanile. Il suo fallimentare tentativo di risollevare l’Acam, la multiutility della Spezia, famosa per aver accumulato il debito più spaventoso tra le partecipate italiane.

La gestione dell’alluvione di Genova del 9 ottobre 2014, per cui ha ricevuto un avviso di garanzia con l’accusa di concorso in disastro e omicidio colposo. Infine la contestatissima vittoria alle primarie dello scorso gennaio. Un cursus honorum costellato da chiaroscuri. E piccole astuzie: un lavoro poco prima di diventare assessore (così i contributi li paga lo Stato) e la curiosa conquista del titolo di giornalista. Di lei dicono: asciutta ed elegante, volitiva e impudente, cinica e ansiosa. E maritata benissimo: con Luigi Merlo, presidente dell’Autorità portuale di Genova e assessore regionale ai Trasporti in Liguria fino al 2008. Carica ereditata dalla moglie due anni dopo.

Le fortune politiche di Paita cominciano, nemmeno maggiorenne, nella sinistra giovanile della Spezia, la sua città. Il primo inciampo è tutto interno al partito. Il 2 settembre 1992, durante un direttivo, i compagni le contestano scarso impegno. Seguono insulti e accuse. E Paita presenta le dimissioni assieme a Federica Stellini, amica e sodale di una vita, poi chiamata alla Regione. La loro richiesta è accolta un mese più tardi.

L’ascesa di Paita nella politica spezzina, però, non si arresta. Nel 1997 viene eletta in consiglio comunale. Cinque anni dopo, diventa capo di gabinetto del sindaco, Giorgio Pagano. Merlo, suo compagno e futuro marito, lavora nella stanza accanto: è assessore e vicesindaco della giunta. In quel periodo, Paita riesce anche a diventare giornalista pubblicista: l’unico titolo professionale, esibito in premessa del suo curriculum. Ma nessuno in città ha memoria di questa attività. Che invece dovrebbe essere stata febbrile, visto che l’Ordine dei giornalisti della Liguria, concede il tesserino da pubblicista a chi scrive almeno 40 articoli in due anni. E ogni pezzo, ovviamente, dovrebbe essere retribuito.

Paita viene iscritta nell’elenco dei giornalisti pubblicisti il 10 febbraio 2007, mentre è ancora capo di gabinetto. Non si trova una riga scritta da lei. Decisiva risulta però la "collaborazione" con Della Spezia: giornale dell’amministrazione per cui lavora Stellini, funzionario del Comune fino al dicembre 2014. Quando viene assunta come co.co.co. per "un’attività di supporto alla segreteria politica dell’assessore alle Infrastrutture". Cioè Paita.

Incassato il titolo di giornalista pubblicista, Paita mette a segno un’altra scaltrezza. Il 27 maggio 2007 è eletta consigliere comunale. Qualche giorno dopo, viene assunta dalla Sti: una società di archiviazione dati con un cda imbottito di professionisti legati al Pd. Paita, però, non ci lavorerà nemmeno un giorno. L’11 giugno diventa assessore, con deleghe a "La Spezia città". Nomina che, presa l’aspettativa dalla Sti, le permette di ricevere i contributi previdenziali dal Comune. Una norma di cui ha beneficiato pure il premier Matteo Renzi, assunto da un’azienda di famiglia poco prima di essere eletto nel 2004 presidente della Provincia di Firenze.

Il Comune della Spezia, tra il 12 giugno del 2007 e il marzo del 2008, versa dunque 5.292 per la futura pensione dell’ex assessore. Poi Paita lascia l’impiego alla Sti: "Mi dimisi quando capii che avrei fatto politica" spiega lo scorso gennaio all’edizione genovese di Repubblica. "Credo di essere un esempio da questo punto di vista". Eppure una sua compagna di partito, l’ex ministro allo Sport Josefa Idem, è accusata di truffa aggravata per una vicenda speculare: assunta poco prima di diventare assessore a Ravenna, ha ricevuto 11 mesi di contributi. La Procura della città romagnola il 16 aprile 2015 ha chiesto il rinvio a giudizio. E il Comune ha annunciato che si costituirà parte civile in un eventuale processo. Mentre il sindaco della Spezia, Massimo Federici, in un’intervista ha pubblicamente elogiato l’analoga condotta del suo ex assessore: "Paita è un caso encomiabile".

In città pochi vorrebbero appendere medaglie al collo della candidata governatrice. Nella giunta spezzina è lei ad avere avuto la strategica delega al riordino delle società partecipate. Che nel capoluogo ligure si traduce con Acam: una multiutility controllata dal Comune che fa impallidire le prodezze dei carrozzoni pubblici siciliani.

Nel giugno 2007 Paita eredita una situazione allarmante: quasi 320 milioni di debiti, clientele spudorate, quasi 1.200 dipendenti. Promette cure taumaturgiche: illuminati piani industriali, nuovi dirigenti, razionalizzazione delle spese, bollette più leggere. Ma tre anni dopo, eletta consigliere regionale, lascia l’Acam in condizioni ancora peggiori: debiti saliti a 420 milioni, tariffe di acqua e rifiuti aumentate, numero dei lavoratori immutato.

La gestione di migliaia di dipendenti pubblici aiuta però Paita nel suo exploit elettorale alle regionali del marzo 2010. Prende più di 9 mila voti e diventa capogruppo del Pd in consiglio. Nell’ottobre 2010 Burlando la nomina assessore alle Infrastrutture. Carica per cui, cinque anni prima, aveva scelto Merlo, marito di Paita, chiamato nel 2008 alla guida dell’Autorità portuale di Genova. Dopo breve vacatio, l’assessorato torna in famiglia: nelle salde mani di Paita. Che però riesce a dare al settore ben pochi impulsi.

Ambizione e scaltrezza invece non le mancano. Diventa la cocca del governatore. Si fa arcirenziana. E nel marzo 2014 annuncia la sua candidatura: "L’obiettivo è far ritornare grande la regione" promette, nemmeno fosse un leader d’opposizione. Da quel giorno l’unico orizzonte diventa la presidenza. Come ricostruito da Panorama, il suo tour elettorale non si ferma neanche il 9 ottobre 2014, giorno dell’alluvione di Genova. La città affoga, ma invece di coordinare la Protezione civile di cui è responsabile, Paita è in Riviera fino a notte per una serie di incontri politici.

Alle primarie di gennaio trionfa. Ma ai seggi si vedono scene sbalorditive: file di immigrati che non sanno una parola di italiano, minorenni precettati da aspiranti candidati, famiglie in odore di criminalità. Un pandemonio. Paita traballa ma non molla. Fa lo stesso a metà aprile, quando riceve l’avviso di garanzia per l’alluvione: riemerge ancora. La barca va, ma continua a fare acqua.

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Antonio Rossitto