Roma, dove la pioggia è "un evento eccezionale"
Claudia Daconto
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Roma, dove la pioggia è "un evento eccezionale"

...e chi finisce sott'acqua si paga i danni da solo

Una settimana fa Roma si risvegliava allagata. Dopo sette giorni numerose strade restano chiuse, quelle aperte sono percorribili solo facendo lo slalom tra le buche, in alcune zone – compresa la centralissima piazza del Popolo – la luce va e viene e a Malagrotta, sede dell'ex più grande discarica d'Europa chiusa il 1 ottobre scorso, c'è ancora puzza del combustibile fuoriuscito da un deposito della zona. “Un evento eccezionale”, lo ha definito il sindaco Ignazio Marino. Tanto eccezionale da ripetersi, più o meno, due tre volte a stagione. Certo, stavolta sono finiti sott'acqua campi e cantine, ma già nel 2011 un disgraziato cingalese, sopravvissuto allo tsunami nel Sud-Est asiatico, annegò nel suo sottoscala all'Infernetto e l'anno dopo il mondo intero ci rideva dietro per quei pochi centimetri di neve che paralizzarono la città provocando scivoloni sui marciapiedi ghiacciati, ricoveri, fratture multiple, cassonetti della mondezza strapieni, mezzi pubblici bloccati, parchi devastati. E non sono rare le aperture di quotidiani e telegiornali locali sulla Capitale che va in tilt per un po' di pioggia.

E' più eccezionale un evento atmosferico o l'incuria, il pressappochismo, l'incompetenza con cui si amministra una città come Roma dove tradizionalmente tombini e caditoie restano intasati (il sindaco ne ha fatti ripulire 25mila su mezzo milione), l'asfalto viene rattoppato alla buona da imprese appaltatrici criminali e la Protezione Civile, invece di occuparsi del temporale in arrivo, convoca i municipi per un corso accellerato sul piano neve in vista di un'imminente quanto fantasmagorica emergenza?

La verità è che c'è un problema enorme di assunzione di responsabilità. Di chi è la colpa se una donna incinta quasi partorisce su un gommone? Di Giove Pluvio? Dell'abusivismo edilizio? Può darsi che risalendo alle origini di tutti i mali del mondo si scopra di sì. Ma allora uno che si candida a fare se non per cambiare le cose che non vanno? Ci vuole tempo, dice. Spiacenti, non ce n'è. Soprattutto se quello avuto a disposizione finora è stato utilizzato, in gran parte, per consultare curricula fasulli, affidare e revocare incarichi, litigare con i vigili urbani e decidere, nodo ancora non sciolto, se l'assessore al Bilancio debba o meno rimanere al suo posto

La gente che nelle scorse ore, e tante altre volte in passato anche in altre parti d'Italia, si è trovata alle prese con la tazza del gabinetto e i lavandini che gli buttavano fuori liquami dalle fogne, non ne può più di sentire gli amministratori che hanno eletto, dietro tante promesse, dare la colpa a chi c'era prima o a chiunque altro basta non si tratti di loro stessi.

Quando Marino si è presentato a Prima Porta accusando implicitamente gli abitanti di essersi costruiti le case abusivamente, quelli gli stavano per saltare al collo. “Vaglielo a dire alla donne del Sud arrivate a Roma e che per anni si sono spaccate la schiena nelle case delle signore ricche dei Parioli – si sfoga uno dei volontari della parrocchia del quartiere - che se adesso devono buttare il frigorifero comprato a rate quasi quasi gli sta pure bene”.

Richiamo all'imprescrutabile (“si è trattato di un evento eccezionale”), pratica dello scaricabarile (“ci hanno lasciato la città in una situazione disastrosa”), ponziopilatismo (“se le scuole rimarranno chiuse lo decidano i presidi per conto loro”).

Per carità, non è colpa di Marino se a Roma piove, come non fu colpa di Alemanno se nevicò. Però quando siamo andati a vedere com'era la situazione delle villette allagate in via della Giustiniana, a Prima Porta, una delle proprietarie ci ha detto che mentre l'ex sindaco conosceva le criticità di quella frazione di territorio e sapeva quali interventi mettere in atto quando le condizioni meteo lo richiedevano, “da quando c'è Marino c'hanno proprio abbandonato”.

Al punto che, nonostante gli enormi sforzi compiuti dal municipio e l'impegno incessante del presidente, queste persone sono state costrette a pagarsi da sole i mezzi per cominciare a rimuovere le tonnellate di fango che hanno invaso i giardini e i piani inferiori delle loro case – su cui pagano ancora il mutuo - dopo aver pazientemente atteso che i due metri d'acqua sotto cui erano finiti mobili, libri, elettrodomestici, macchine, motorini e gatti lentamente defluissero. Un incubo che molti già vissero nel 2002 quando il 10 agosto successe la stessa cosa. “Ma era estate, e tutto si asciugò più in fretta. Stavolta chissà quando ne usciremo”. Paola, mamma separata di due figli di 14 e 17 anni, mostra tutto quello che ha accatastato in giardino mentre le ruspe fanno avanti e indietro per spalare e scaricare melma. Ci guida all'interno del suo salotto, “una volta era una bella casa”, dove a terra c'è una montagnetta di libri fracichi, infangati, praticamente irrecuperabili. In cucina ha dovuto buttare tutto: frigo, lavastoviglie, forno, tutto. La notte tra giovedì e venerdì scorso l'acqua se l'è ritrovata al quinto gradino della scala che porta al piano di sopra. “Ho chiamato il 113, mi hanno rimproverata, dovevo chiamare i vigili del fuoco. Siamo rimasti fino all'una del giorno dopo bloccati in camera da letto senza sapere se qualcuno sarebbe arrivato a portarci in salvo o se avremmo fatto la fine dei topi”. Dopo una settimana lei, il figlio e la figlia sono riusciti a ripulire per bene solo la tavernetta accanto alla cucina. Paola ha sbarrato l'ingresso, non vuole che ci entri nessuno, “è il mio orgoglio”. Uno dei due gatti le è morto, il motorino del figlio non si accende più, la macchina nemmeno. “E a me sono rimasti 2 mila euro in banca”. Nella conta dei danni ci sarebbe anche il suo divano. Ma quello già sa che non glielo ripagherà nessuno.

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Claudia Daconto