Concina: «L'armata rossa si è ripresa Orvieto anche con gli insulti e la disinformatia»
MATTEO BAZZI / ANSA/DIB
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Concina: «L'armata rossa si è ripresa Orvieto anche con gli insulti e la disinformatia»

L'ex sindaco che ha salvato Orvieto dal commissariamento, sistemando i conti dopo 60 anni di potere rosso ha perso di misura contro un uomo dell'apparato ex Pci-Pds-Ds. Annuncia: «Orvieto torna drammaticamente all'antico, ora ferma ma non becera opposizione. Con me c'è metà della città»

Sconfitto dall’insostenibile pesantezza della vecchia «armata rossa», dai «soliti noti» dell’ex Pci-Pds-Ds, Pd quasi solo di nome, nella sua Orvieto, che aveva salvato dal commissariamento, mettendo riparo alla voragine dei conti, provocata da 60 anni di ininterrotto governo della sinistra. Antonio (detto Toni), Concina, ex top manager di Telecom e Rcs, il sindaco elegante e borghese, pianista jazz di talento, nella sua Orvieto dove aveva vissuto da giovane, venuto in città come profugo dalmata, era tornato da Roma per un «gesto d’amore».

Lui è stato uno dei rari sindaci italiani a rifiutare lo stipendio. In questi anni di tasca sua per la città della Rupe avrà speso tra i 200 e i 300 mila euro. Lui che per primo in Umbria 5 anni fa proprio da Orvieto dette il segnale che la mission di abbattere il "potere rosso" non era impossibile, facendo da apripista a una «rivoluzione» culminata con la vittoria di Andrea Romizi a Perugia e Fabrizio Cardarelli a Spoleto, si è battuto con onore. Nella rimonta al ballottaggio si è fermato a soli 922 voti dallo sfidante Pd (ex Pci-Pds-Ds) Giuseppe Germani, cresciuto nell’apparato comunista. Orvieto ora è spaccata come una mela a metà.

C’è la Orvieto del centro storico, quella borghese, dei professionisti, degli imprenditori fattisi da soli, senza mungere la grande vacca del potere rosso, che sta con «Toni»; c’è la Orvieto delle periferie e campagne, dove il Pd attinge ancora a vecchie posizioni di rendita che ha invece premiato Germani. È stata una battaglia cruenta quella scatenata contro l’elegante top manager, pianista jazz. Nessun arma, compresa quella dell’«ingiuria personale» gli sarebbe stata risparmiata.

L’hanno battuta di misura, nonostante lei avesse salvato Orvieto dalla voragine dei conti provocata da sessant’anni di ininterrotto potere rosso. Cosa è successo?

«È stata una irresistibile forza delle circostanze».

In che senso?

«Per quanto riguarda il centrodestra, il Pdl cinque anni fa aveva una posizione forte, ora la divisione in tre punte anche qui non è stata certamente propizia. La mia lista civica non ha avuto lo stesso impatto che ebbe nel 2009. Ma queste sono cose veniali, superabili. Il punto è che non è stato possibile superare questa sorta di ricompattamento dell’armata rossa, anche se già da ora riaffiorano quella divisioni che mi hanno consentito di vincere nel 2009».

Lei ha perso però di misura e Orvieto è spaccata a metà.

«Sì, la città è nettamente divisa. Orvieto è  complicata, perché c’è il centro storico che è una cosa, le frazioni un’altra. E «l’armata» ha usato qualsiasi tipo di metodo, da quello di tanti anni fa di andare porta a porta, casa per casa…Ma soprattutto usando lo strumento dell’ingiuria personale, ci sono stati perfino medici in ospedale che hanno fatto propaganda elettorale con i pazienti… hanno scatenato di tutto».

Gianni Marchesini, giornalista e scrittore orvietano, fratello dell’attrice Anna del famoso Trio, ha scritto che è stata usata la vecchia disinformatia comunista. È così?

«E certo! Ingiurie personali nei miei confronti, hanno anche detto che sono avvinazzato…».

A Orvieto il vino bianco paglierino è buono, lo bevono con misura tutti, non sei orvietano se non ci cresci quasi da bambino…

«Lo beviamo a pasto e il giusto, ma hanno anche fatto girare la favola che un giorno ero stato ricoverato per un collasso in ospedale, tutte panzane! Ma hanno anche detto che era inutile votare per me, perché tanto con me ci sarebbe stata l’anatra zoppa. Falso! Perché avrei potuto governare con 10 consiglieri contro 6. Ci sono state una serie di tattiche inventate e che hanno fatto presa su una certa base popolare che si fa ancora facilmente catturare dall’ideologia comunista».

È vero che è stata fatta addirittura girare in ospedale una sorta di miracolosa ricetta della salute?

«Sì anche questo, hanno fatto un fac-simile di una di quelle impegnative con i quadratini rossi che ti fanno i medici, dove “il dottor Germani”, come fosse un medico, indicava obiettivi banali».

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Ora che opposizione farà?

«Costruttiva e non becera, come quella che hanno fatto a me, ma Germani si deve aspettare un’opposizione fortissima sulle strategie, sui modi di governare la città, dove effettivamente non solo sono carenti, ma hanno fatto dei disastri che avevo appena finito di sistemare».

Lei è stato il sindaco che ha salvato Orvieto dalla voragine del profondo rosso nei conti…

«Sì e l’ho fatto in cinque anni, lascio Orvieto con un bilancio risanato, consegno al mio successore una città pulita, dove sono state risanate anche le voragini che avevano provocato nelle partecipate».

Lei è stato anche uno dei rari sindaci d’Italia che non ha mai voluto lo stipendio.

«Da subito ho rinunciato a stipendio, telefonino, carte di rappresentanze. Non l’ho fatto perché sono miliardario, ma perché ho una pensione decente. Sarebbe stato terribile aumentare l’imposta sulla spazzatura mentre io al tempo stesso prendevo 3000 euro lordi di stipendio. Io sono un ex top manager di Telecom Italia e di Rcs-Corriere della sera. Sono tornato ad Orvieto cinque anni fa e ho rincontrato tutti i miei compagni di scuola… Sono nato in Dalmazia da dove sono scappato e venni qui a fare il Liceo».

Lei definì la sua scelta un gesto d’amore per Orvieto.

«Sì e anche di riconoscenza, perché Orvieto accolse me e la mia famiglia in maniera generosissima. Mi è sembrato quanto meno onesto e opportuno ricambiare con un impegno civile».

Ora c’è l’altra Orvieto, quella borghese, che non ha votato il Pd, che la chiama ancora «sindaco» o affettuosamente «Toni» e le chiede di restare, per essere rappresentata. Che farà?

«Non solo è la città borghese, è la città della gente che non userebbe mai l'arma dell'ingiuria, mentre qui è rispuntata tutta una congrega di personaggi che aveva massacrato la città. Personaggi che la storia locale aveva cancellato e che ora rimetteranno in modo quel sistema di potere che avevano gestito per 60 anni ».

A Orvieto ha vinto peraltro un Pd che non si è rinnovato.

«Non solo non si è rinnovato, ma ha fatto tante promesse a quei giovani che ha utilizzato per vincere e poi li ha mollati. Qui c’è un ritorno all’antico drammatico. Che però io combatterò perché la bella Orvieto non lo merita».

La vittoria di Romizi a Perugia e di Cardarelli a Spoleto potrà aiutare ora anche la città della Rupe?

«Mi fa felice per loro, ma poiché non sono ipocrita devo dire che aumenta la mia rabbia perché io sono stato il primo in Umbria a dare una spallata al potere rosso. E non essere ora della partita mi provoca un grande dispiacere. Romizi è un giovane bravissimo, Cardarelli idem, il mio dispiacere più forte è quello di non poter raccogliere i frutti di una stagione di risanamento. Mi dispiace personalmente, ma è soprattutto un dolore per Orvieto». 

   

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Paola Sacchi

Sono giornalista politico parlamentare di Panorama. Ho lavorato fino al 2000 al quotidiano «L'Unità», con la mansione di inviato speciale di politica parlamentare. Ho intervistato per le due testate i principali leader politici del centrodestra e del centrosinistra. Sono autrice dell'unica intervista finora concessa da Silvio Berlusconi a «l'Unità» e per «Panorama» di una delle prime esclusive a Umberto Bossi dopo la malattia. Tra gli statisti esteri: interviste all'ex presidente della Repubblica del Portogallo: Mario Soares e all'afghano Hamid Karzai. Panorama.it ha pubblicato un mio lungo colloquio dal titolo «Hammamet, l'ultima intervista a Craxi», sul tema della mancata unità tra Psi e Pci.

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