Il Nobel per la Pace all'Opac
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Il Nobel per la Pace all'Opac

L'organizzazione per la proibizione delle armi chimiche vince l'ambito premio scontentando molti - Le foto - La Storia delle Armi chimiche -

per LookOut News

Al contrario di quello che si pensa, l’OPACOrganizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche – non è un’organizzazione delle Nazioni Unite ma un istituto indipendente, anche se molte delle sue procedure sono simili a quelle degli uffici del Segretariato Generale dell’ONU. È organismo internazionale che ha sede all’Aja e che, in ogni caso, lavora su mandato delle Nazioni Unite nell’ambito della Convenzione sulla Proibizione dello sviluppo, produzione, immagazzinamento e uso delle armi chimiche, e sulla loro distruzione, secondo la convenzione scaturita dalla Conferenza sul Disarmo del 1997 che contempla i soli Paesi firmatari (tra cui non figura la Siria).

La notizia del conferimento del Nobel all’OPAC da parte del Comitato di Oslo – anziché alla quotatissima giovane Malala Yousafzai, la sedicenne pachistana sopravvissuta a un attacco talebano nell'ottobre 2012 che si è fatta portavoce dei diritti dei bambini – è una scelta comprensibile ma altrettanto discutibile. 

Non si sa perché da qualche tempo a questa parte, infatti, l'Accademia di Oslo conferisce il Nobel per la Pace più alle buone intenzioni che ai risultati. Sarà interessante leggere le motivazioni grazie alle quali l’organizzazione internazionale ha ottenuto l’ambito riconoscimento, ma già si può sottolineare la stranezza di assegnare un premio a chi deve in buona parte ancora dimostrare di aver dato un effettivo contributo per la pace nel mondo. 

Così accadde anche a Barack Obama nel 2009, quando il presidente degli Stati Uniti ricevette il titolo pur se non aveva ancora mosso i propri passi nel contesto internazionale. Con quali risultati, lo ricordiamo tutti: dai droni killer fino alla guerra in Siria, scongiurata non certo grazie alle doti diplomatiche del presidente degli Stati Uniti, Obama ha rischiato di eclissare per sempre la pace in Medio Oriente e si è distinto per un pericoloso gioco al rialzo - la famosa “red line”  - che poteva compromettere seriamente la stabilità mondiale.

Se avesse vinto Malala Yousafzai, invece, sarebbe stata premiata la gioventù e con essa la speranza di un cambiamento vero. “Se vinco il premio Nobel cambia tutto, nessuno potrà più negarci l'istruzione. Il mio futuro? E' in politica, ma non voglio diventare presidente, una nomina conferita dall'alto,  ma primo ministro, una carica elettiva scelta dal popolo” diceva la giovane a proposito del premio.

Invece, l’OPAC, che pure svolge un compito delicatissimo e oltremodo lodevole, è però un’altra organizzazione imbrigliata, al pari delle Nazioni Unite, che agisce negli stretti margini e nelle regole stringenti dei soli Paesi che vi aderiscono. Mentre nulla può con Paesi come la Siria che, se non fosse stata costretta ad approcciarsi al tema dell’uso di armi chimiche, non avrebbe avuto alcun rapporto con l’organizzazione.

E l’OPAC deve ancora dimostrare l’avvenuta distruzione degli armamenti chimichi (che non sarà portata a compimento prima della metà del 2014) con i rischi connessi dall’operare in un teatro di guerra. Questo allora è forse il suo principale merito: il contesto rischioso in cui opera. 

Gli ispettori dell’OPAC in questo caso sono “eroici” e le singole persone che partecipano all’operazione certo meritano tutto il nostro rispetto. Ma la speranza che la guerra in Siria possa concludersi con la distruzione delle armi resta una pura scommessa.

Non solo, altri compiti attendono gli uomini dell’OPAC: ell’ultimo report relativo alle attività sino al 2011, l’OPAC comunica di aver verificato e distrutto armi chimiche per un totale di oltre 50mila tonnellate: silo nel 2011 l’OPAC ha sovrainteso alla distruzione di oltre 6mila tonnellate di armi chimiche e di stabilimenti per la loro produzione in Libia, Russia e Stati Uniti. In Libia è stato distrutto il 54% dell’Arsenale chimico, in Russia il 60% mentre negli Stati Uniti si è arrivati al 90%. Prima di dedicarsi alla Siria, l’OPAC deve infatti continuare il lavoro in Libia e le ispezioni in Iraq dove il dossier chimico non è ancora chiuso.

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Luciano Tirinnanzi