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(Ansa)
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La Principessa Diana poteva sopravvivere

A 25 anni dalla sua morte un ispettore di Polizia racconta gli errori che sarebbero stati commessi da soccorritori e medici

«Diana sarebbe potuta sopravvivere». Mark Williams-Thomas, ex ispettore di polizia noto per aver indagato su alcuni fra i più complessi cold case internazionali, lo ha detto così. Senza mezzi termini, senza cercare di indorare la pillola. Lady Diana, schiacciata fra le lamiere della propria auto, il muso rivolto contro il tredicesimo pilastro del tunnel dell’Alma, avrebbe potuto essere salvata. «La realtà dice che, se avesse ricevuto un trattamento medico appropriato, in ambulanza e in ospedale, sarebbe sopravvissuta a quella notte». Al disastro del 31 agosto 1997, alla sera di fine estate in cui la principessa avrebbe dovuto percorrere un tragitto breve: poco più di cinque chilometri, fra il Ritz e l’appartamento privato di Dodi Al-Fayed, vicino all’Arc de Triumphe. Allora, i paparazzi erano ovunque. Diana teneva lo sguardo basso. La macchina, una Mercedes scura, correva. Troppo, forse. «È piuttosto chiaro che l’incidente sia stato causato dalla negligenza dell’autista, Henri Paul», morto sul colpo, come Dodi Al-Fayed. «Siamo piuttosto certi dalle testimonianze raccolte che avesse bevuto quella notte», ha spiegato Williams-Thomas in un documentario, Diana – L’ultima verità, in onda su Crime+Investigation (canale 119 di Sky) alle 22 di mercoledì, giorno che marca il venticinquesimo anniversario dell’incidente.

Diana – L’ultima verità, un’ora di girato, è quel che Williams-Thomas ha definito il tentativo di «esaminare in modo forense tutte le prove per giungere ad una conclusione analitica e probatoria». Qualcosa di diverso o, forse, solo più convincente della verità istituzionale. Henri Paul era ubriaco. La Mercedes viaggiava ad una velocità troppo elevata. Diana e Dodi non portavano la cintura. Ma numerosi «ma» riecheggiano, ancora, nell’aria. Teorie del complotto, coincidenze sinistre. La principessa di Galles aveva paura di morire. «Mi disse: “William saprà superare la cosa. È solido, ce la farà. Chi mi preoccupa è Harry, è più sensibile”», ha giurato Robert Devorik, stilista caro a Lady D, ricordando le apprensioni di una donna buona, generosa. Una persona intelligente, nella cui quotidianità si sarebbero insinuate tante, troppe angosce. Williams-Thomas, che nel documentario è riuscito a raccogliere (anche) la testimonianza inedita del fotografo Grigori Rassinier, al volante dell’auto che inseguiva la Mercedes di Diana, ha provato a fare ordine. A capire quanta verità ci sia nei complottismi, in chi sostiene che Diana sia stata ammazzata dai servizi segreti, per ordine della famiglia regale britannica. Dove sia giunto con le proprie indagini, è detto all’interno dell’ora e poco più di documentario, fra interviste e ricordi e parole commosse, nella ricostruzione di una vita breve e straordinaria che, ancora, non ha smesso di esercitare il proprio fascino sul mondo circostante. Diana, principessa triste, nascosta dietro sorrisi di maniera, è morta il 31 agosto di venticinque anni fa. Eppure, una parte le è sopravvissuta, qualcosa più di una semplice eredità. È un’anima magnetica, un’aura buona, capace di smuovere le coscienze oltre gli obblighi e i formalismi, oltre i doveri di un’etichetta troppo rigida. Diana, martire e rivoluzionaria, ha visto confluire in sé secoli di lotte e letteratura, eroina disinteressata di un mondo che ancora la piange.

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Claudia Casiraghi

(Milano, 1991)

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