Il malinconico tramonto di Monti
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Il malinconico tramonto di Monti

L’errore fondamentale del Professore è stato quello di aver creduto di potersi emancipare dal sostegno amorevole del Quirinale

 

Adesso tutti a fare dell’ironia su Mario Monti “tradito” dai compagni (compagni?) di viaggio Mario Mauro e Pier Ferdinando Casini. Tutti a rimestare nella storiella o storiaccia del cagnolino Empy, barbaricamente gettato tra le braccia dell’allora presidente del Consiglio da una divertita e dolcemente malefica Daria Bignardi. Non si chiamava ancora Empy, era solo un cagnetto preso a nolo per un colpo di scena televisivo. Ma quel pupazzo di cane peloso è stato forse il primo smascheramento pubblico del Professore. Che fu se stesso quando al primo contatto non riuscì a celare il fastidio (che ancora gli brucia) per l’agguato, e subito dopo fece buon viso a cattivo gioco, salvo infine concedere al suo staff della comunicazione di trasformare quel gioco, quello scherzo televisivo, in un insperato a tout di comunicazione per rivitalizzare l’immagine di un Monti poco umano. Be’, insomma, tutti a ironizzare ora sul leader dimissionario di Scelta Civica che forse non è più padrone in casa sua, costretto a fare la spola tra la sua patria adottiva (Bruxelles, il Belgio) e l’Italia che forse un po’ odia, per come si dovrà sentire maltrattato pur avendola a suo modesto (modesto?) modo di vedere perfino salvata.

Eppure, ma che tristezza. Che tristezza vedere quest’uomo, un accademico prestato alla politica, meglio un dirigente universitario prestato all’Europa e poi catapultato dalla politica al vertice del governo, indicato anche come possibile capo dello Stato o presidente dell’Unione o della Commissione Europea, poi leader di un partito nuovo che avrebbe restaurato il Centro su basi tecnocratiche, che tristezza vedere questa personalità della Repubblica senatore a vita ex premier, diventare il Re Nudo di una nuova stagione del Caos italico: senza governo, senza partito, e senza Empy (Empatia). Un livoroso anziano signore che davanti alle telecamere, attraverso le stilettate del suo sguardo sottile, fa del sarcasmo britannico (senza esser britannico) su quella vecchia volpe della politica che è Pierfurby Casini. Non resta, al povero Monti, che sprizzare veleno e ruminare, insinuare, recriminare... Pontificare non più dalla Soglia del suo perduto pontificato laico. Insistere nella prospettiva di quel centro-centrino da terza posizione che risponde alla logica tecnocratica dei migliori, dei tecnici che però le hanno sbagliate tutte, dalla finanziaria lacrime e sangue alla riforma punitiva del mercato del lavoro, dallo svarione degli esodati all’avventurismo della politica che è pur sempre una professione e non s’improvvisa.

Sì, che tristezza. L’errore fondamentale del Professore è stato quello di aver creduto di potersi emancipare dal sostegno amorevole del Quirinale. Senza Napolitano, Monti si è rivelato poco o nulla. A dispetto dei sorrisi e degli abbracci dei leader europei che hanno creduto (a ragione) di poterlo usare. Monti è ancora Monti, certo. Col suo prestigio un po’ ammaccato, con i suoi sorrisetti sardonici e l’apparente cinismo da tecnocrate senza cuore. Non fa tenerezza, no. Ma un po’ di malinconia, sì.    

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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