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La maledizione degli ex comunisti secondo Macaluso

La maledizione degli ex comunisti secondo Macaluso

La crisi del Pd, “partito senza identità”, raccontata dall’ex direttore de L’Unità e voce critica della sinistra

Qual è la maledizione che grava sugli ex comunisti che impedisce loro ogni volta di guidare a pieno titolo l’Italia? Panorama.it lo chiede a  Emanuele Macaluso, ex leader storico dei Riformisti del Pci, ex direttore dell’Unità e del Riformista, coscienza critica  della sinistra. Fautore inascoltato  dell’unità con i socialisti, da sempre su posizioni eretiche.

Senatore Macaluso l’unico premier ex comunista è stato finora Massimo D’Alema che però arrivò a Palazzo Chigi senza elezioni e grazie anche all’alleanza con Francesco Cossiga. Per quale ragione gli ex comunisti non riescono mai a conquistare una vittoria piena che li porti alla guida del Paese? Angelo Panebianco su Il Corriere della sera dice che la classe dirigente ex comunista ha fatto il suo tempo…?
«Contrariamente a quello che dice Panebianco, secondo il quale il Pd è un partito identitario e questa identità è stata sconfitta ed è finita perché è contro il tempo, io penso  invece che questo partito non ha identità…».
Quindi, è ancora peggio…
«È un partito che non è riuscito a fare una sintesi, alla quale io non ho mai creduto, dell’esperienza del riformismo della sinistra, di quello cattolico e laico».
Da cosa non nasce cosa, come recita il titolo di un suo libro?
«I fatti, gli elettori dicono che questa sintesi non è possibile. E allora il problema non è che sono legati a una tradizione finita, no il punto è che non sono legati a niente. Il problema è che questo partito fa una sua politica, fa una sua attività parlamentare, ha una sua presa nell’amministrazione locale, nelle regioni, però quando si tratta della battaglia per la guida del paese….

Insomma, sta dicendo che o trovano un Romano Prodi o non ce la fanno?
«Appunto. Prodi ha vinto e  non ha retto poi, questa è la questione».
Non crede che sugli ex comunisti gravi una sorta di peccato originale, cioè quello di credere di essersi sostituiti ai socialisti e a Bettino Craxi dopo il suo tragico finale?
«Il Pd pensava di essere ormai tutta la sinistra, senza assumere le responsabilità di quelli che erano stati i successi e  gli errori dei comunisti e dei socialisti assieme. Questo è il punto».
Un treno della storia fu perso nell’ ’89 con l’unità socialista Pci-Psi, che voleva Craxi, per gli errori in passato di Enrico Berlinguer e poi dei suoi eredi ma anche  per gli errori degli stessi socialisti, e ora non è stato perso forse un altro treno, magari  più piccolo, con la sconfitta alle primarie di Matteo Renzi?
«No, no, io  non lo penso. Io penso che il treno sia stato perso con Giuliano Amato. Quando Giuliano Amato era presidente del Consiglio, alle elezioni del 2001, doveva essere  lui il candidato premier. E invece candidarono Francesco Rutelli. Giuliano Amato anche se perdeva era lui il leader di un’opposizione che poteva continuare a esprimere una cultura socialista».
E però ci risiamo, Amato i Ds non lo vollero perché era socialista e per giunta ex stretto collaboratore di Craxi. Insomma l’anticraxismo degli ex comunisti pesò anche quella volta?
«Non solo l’anticraxismo, c’era la diffidenza non solo verso i socialisti, ma verso il socialismo. La questione era molto più profonda, la diffidenza era anche nei confronti dei socialdemocratici europei».
E quindi  nei confronti delle loro idee più avanzate anche sul terreno economico?
«Sì, e ora questa situazione che si è determinata è completamente diversa dal passato. La questione, come dice Panebianco, non è se c’era Renzi. Perché se ci fosse stato lui come candidato premier, tutto un pezzo della sinistra non lo avrebbe votato, non solo di Vendola ma del Pd stesso. Il problema è più di fondo nel senso che questo partito non avendo una base politico culturale comune e quindi una capacità poi di egemonia è chiaro che non risolve il problema cambiando il leader mettendone uno più giovane e più a destra».
Il suo nuovo libro con Peppino Caldarola «Politicamente s/corretto» (Dino Audino editore) per la sinistra suona quasi profetico. Lei in sostanza dice che questa sinistra non è stata capace di costruire un’alternativa  politica, programmatica di governo al ventennio berlusconiano…
«Io penso che il problema non è solo Silvio Berlusconi.  costituisce un problema per il suo conflitto d’interessi e per le sue vicende giudiziarie…».
Vicende giudiziarie che spuntano come funghi con un timing politico sospetto però…
«Ma non è questo il punto. Berlusconi interpreta un modo di essere oggi della destra italiana. E quindi come si contrappone la sinistra a questo blocco politico sociale costituito dall’alleanza Berlusconi. Lega? Con quali scelte politiche, sociali, programmatiche, ideali, di valori? Ma se loro concentrano tutto sulla questione giudiziaria…
Infatti lei nel suo libro dice che la sinistra ha concepito Berlusconi solo come un problema giudiziario…
«Sì, appunto e non come un problema politico…».
Lei parla di destra, ma nell’anomalia italiana Berlusconi prende voti anche da sinistra, dagli ex socialisti dispersi nella diaspora, usufruendo delle lacune di una sinistra non moderna. Ma ora perché questa riluttanza a fare un governissimo con Berlusconi data l’emergenza del paese? Prevale ancora l’antiberlusconismo?
«Secondo me, il punto è un altro. Il voto espresso ha tale radicalità se che se si fa il governissimo, innanzitutto dovrebbe starci anche Grillo che non ci starà mai. Un governo Pd-Pdl non ha più senso. Lo «Tsunami» grillista è stato giocato sulla possibilità del cosiddetto «inciucio»  e quindi in questo modo si rischierebbe di incrementare il grillismo. E poi non ci sono le condizioni, le basi di un governo di emergenza. La verità è che la situazione si è drammatizzata in modo tale…».
Che fare?
«Ho già ipotizzato che Pier Luigi Bersani o chi per lui che ha la maggioranza alla Camera, con la legge «porcata» e non la ha invece al Senato, faccia  un governo ( non del Pd-Pdl) molto largo con personalità che facciano la nuova legge elettorale, la riduzione dei parlamentari, la riduzione dei contributi alla politica, una serie di provvedimenti sociali. E chi ci sta ci sta. Se non ci stanno, il Presidente della Repubblica a quel punto può mandare un suo governo. Il governo del Presidente. Tra l’altro bisogna tener conto che bisogna eleggere il Presidente della Repubblica. Quindi un governo non targato Pd, durante il quale venga eletto il Presidente della Repubblica, un governo che faccia le tre, quattro cose necessarie e poi si va a di nuovo al voto».
Un governo con alla guida Giuliano Amato?
«No, niente nomi, il governo sarebbe ripeto del Presidente».
Resta il problema iniziale che con qualsiasi legge elettorale si vada a votare, il deficit della sinistra è sempre emerso. Cosa dovrebbe fare ora il Pd per evitare di essere travolto da una sorta di coazione a ripetere?
«Il Pd deve verificare se stesso. Se lo fa. Io non lo so. Con un congresso, aprendo un dibattito vero non fasullo per vedere cosa può essere questo partito. La destra non lo fa perché non è ancora un partito. È un aggregato. Ma il centrosinistra se lo vuole fare, lo deve fare ora».

Ma lei come se lo spiega il fenomeno Grillo?
«È un fenomeno che si spiega con la crisi del sistema politico italiano. Grillo nasce da una crisi che si è incancrenita dal ’92 in poi e che la seconda Repubblica non ha risolto. L’aggravarsi poi della crisi economica ha portato a una legittima disperazione sociale, a una disperazione estrema. Quello per Grillo è il voto più duro contro il sistema politico»

Bersani si dovrebbe dimettere?
«No, ora no. Non si può aprire una crisi del Pd in questo momento».
E dopo?
«Dopo se la vedono loro, si aprirà un congresso al quale Bersani si presenterà dimissionario. Se apri un congresso sei già dimissionario».

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