Il Pd gattopardesco di Bersani
Cambiare tutto per far sopravvivere il suo partito. Sembra questo il motto del segretario democratico
Cambiare tutto per non cambiare nulla. Il motto gattopardesco calza a puntino a Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, con una piccola ma non secondaria correzione: cambiare tutto per non cambiare se stesso. Per non dover riconoscere il fallimento e non dover passare il testimone a Matteo Renzi o comunque a un successore. Bersani ha chiuso la porta a qualsiasi collaborazione con il Pdl nel segno della responsabilità nazionale.
Pur di forzare la mano e cercare di formare un governo purchessia, con se stesso ovviamente presidente del Consiglio, mendicando voti raccogliticci e uno straccio di consenso un po’ qua e un po’ là, tra i grillini meno rivoluzionari e più “sinistri”, o tra i montiani di derivazione “democratica”, Bersani ha occupato le presidenze di Camera e Senato piazzando uomini d’area che vengono dal lavoro nelle organizzazioni internazionali (Laura Boldrini) e dalla magistratura (Pietro Grasso). Una scelta di specchietti per le allodole che invece di dimostrare l’apertura alla “società civile”, aggrava uno dei problemi di questo Paese: la contiguità di una parte della società civile con la politica.
Non si capisce infatti perché, a cinquant’anni, chi da sempre ha speso le proprie energie per le agenzie dell’Onu non debba proseguire in quella benemerita carriera (a meno che certe memorabili uscite pubbliche non fossero già prima gravate da intenti politici e moventi ideologici), o perché un alto e stimato magistrato, invece di andare in pensione debba prestare la propria immagine per un’illusione di cambiamento che serve solo a preservare una classe dirigente di partito sconfitta dalle elezioni.
E adesso, tra i nomi di cui si parla come ministri di un futuribile gabinetto Bersani, ci sono altri esponenti della società civile e altri “volti nuovi”, nel nome di quella “presentabilità” che è diventata categoria politica (difficile però capire chi abbia i titoli per concedere la patente di “presentabilità”). E così, l’Italia continua ad avvitarsi una spirale con pochissimi punti reali di riferimento. Le imprese si estinguono e le famiglie languiscono. Il paese conta sempre di meno. I nostri giovani continuano a non vedere la luce nel loro futuro. E tutto perché la politica italiana è in mano a leader senza il carisma della leadership (ma soprattutto senza senso dello Stato) come Bersani che bada solo alla sopravvivenza del proprio partito, il Pd.
Anzi, alla sopravvivenza del clan che lo sostiene, tra vecchi dirigenti e giovani turchi. Anzi, alla sopravvivenza di se stesso.
Se anche formerà un governo, Bersani non avrà una vera maggioranza. Ci sarà un governo, forse, sulla carta. Ci saranno i nomi dei ministri, e tutti saranno “presentabili”. Ci mancherebbe. Ma avere un governo non basterà per governare.