I Franchi tiratori e la corsa per il Quirinale
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I Franchi tiratori e la corsa per il Quirinale

Da Sforza a Merzagora, da Fanfani a Forlani, storia dei candidati impallinati

Indro Montanelli sosteneva che il primo obiettivo di un’elezione al Quirinale non è quello di eleggere un Presidente, ma di individuare l’avversario di turno e, immediatamente, eliminarlo dalla corsa. A mettere in pratica questo tipo di operazione ci sono loro, i Franchi Tiratori.

Questi personaggi, senza volto e senza nome, possono tranquillamente essere annoverati tra le istituzioni della Politica italiana dal momento che, non appena cominciano le grandi manovre per l’elezione del nuovo Capo dello Stato, immediatamente si appostano sui banchi di Montecitorio per prendere la mira in attesa di colpire il bersaglio al momento opportuno.

La nascita dei Franchi tiratori

La loro genesi ha una data ben precisa e risale agli albori della nostra Repubblica, e cioè lunedì 10 maggio 1948. La mattina alle 9 i Grandi Elettori sono convocati per eleggere il primo Presidente della Repubblica italiana dopo la parentesi di Enrico De Nicola. Il candidato ufficiale di Alcide De Gasperi è il conte Carlo Sforza, ex ministro degli Esteri e uomo di fiducia del leader democristiano. De Gasperi non immagina assolutamente quello che sta per avvenire. Dopo una seduta a dir poco movimentata, il presidente della Camera, Giovanni Gronchi, legge l’esito della votazione De Nicola 396, Sforza 353. Immediata scatta l’ovazione in Aula.

Il Presidente del Consiglio rimane impassibile al suo banco e subito convoca una riunione del gruppo democristiano. Meno applausi e più voti. Quello che è successo è grave perché significa che in avvenire, e magari per questioni molto più importanti che non l’elezione del Presidente della Repubblica, non ci si potrà fidare nemmeno tra di noi. Il riferimento è alla pattuglia dei giovani guidati da Giuseppe Dossetti.

A rileggere queste parole, sembrerebbe che De Gasperi non ritenesse di grande importanza l’elezione di un Presidente della Repubblica tuttavia, le sue parole si riveleranno a dir poco profetiche per gli anni a venire. Per la cronaca, Sforza fu impallinato e Luigi Einaudi eletto Presidente.

Trascorrono sette anni e i cecchini di Montecitorio tornano puntuali a impallinare il prescelto di turno che nel 1955 è l’allora Presidente del Senato, Cesare Merzagora, candidato ufficiale del Presidente del Consiglio, Mario Scelba, e del segretario democristiano, Amintore Fanfani. In quella circostanza a essere eletto sarà proprio il leader dei franchi tiratori, il Presidente della Camera, Giovanni Gronchi, che durante lo spoglio delle schede scandirà il suo nome Gron-chi Gron-chi.

Amintore Fanfani e la legge del contrappasso

Ancora un settennato e, nel 1962, sarà lo stesso Fanfani a ergersi a capopopolo consumando la sua personale vendetta e costringendo Aldo Moro, segretario del partito, a dover sudare le proverbiali sette camicie prima di eleggere Antonio Segni al Quirinale. Per cercare di stanare i franchi tiratori guidati dal leader aretino, i dorotei utilizzeranno ogni mezzo, lecito e illecito, fino ad arrivare al limite dei brogli. Ai Grandi Elettori verranno consegnate due schede, di cui una precompilata da inserire nella cesta e, una volta usciti dall’Aula, sottoposti a perquisizione. Tutto si rivelerà inutile e bisognerà attendere il nono scrutinio per avere l’elezione.

Nel 1964 sarà ancora una volta Fanfani a guidare la fronda dei Franchi tiratori autocandidandosi al Quirinale pur di ostacolare l’elezione di Giovanni Leone. La battaglia sarà durissima e il segretario democristiano, Mariano Rumor, sarà costretto addirittura alla resa definitiva alzando bandiera bianca al diciassettesimo scrutinio, ritirando ogni candidatura dello Scudo Crociato e spianando la strada al socialdemocratico Giuseppe Saragat.

Chi la fa, l’aspetti e, nel 1971, toccherà proprio allo stesso Fanfani subire la legge del contrappasso. Già si sa che il numero dei cecchini è di circa cento. Un numero che, guarda caso, si riproporrà in più di un’elezione.

Il condottiero dei cecchini è Giulio Andreotti che dichiarerà non siamo mai stati grandi amici. Per cercare di stanare i nemici si ripeteranno le scene dell’elezione di Segni con i Grandi Elettori democristiani che marceranno verso la cesta di vimini sventolando le schede precompilate. Pronti via e, al terzo scrutinio, ecco comparire la scheda che passerà alla storia come il simbolo della forza e pericolosità dei Franchi tiratori durante l’elezione presidenziale. Al posto del nome di Fanfani, la frase nano maledetto, non sarai mai eletto. Una profezia.

Il Divo Giulio

Prima di rivedere all’opera i cecchini di Montecitorio bisognerà attendere l’elezione del 1992 quando a essere sacrificato sull’altare del Quirinale sarà il segretario della Balena Bianca, Arnaldo Forlani. Ancora una volta a guidare le truppe, come già avvenuto con Fanfani nel 1971, sarà il Divo Giulio che, non potendo aspirare lui stesso al soglio del Colle, non esiterà un minuto di più per impallinare colui che, fino al giorno prima, era stato uno dei sodali del mitico CAF (Craxi/Andreotti/Forlani).

Il 13 maggio 1999 è la data di convocazione delle Camere per l’elezione del decimo Presidente della Repubblica. C’è un solo nome, Carlo Azeglio Ciampi, ex governatore della Banca d’Italia, ex Presidente del Consiglio negli anni delle stragi ed ex superministro dell’economia del primo Governo Prodi. Nonostante la sua elezione sia più che scontata, la mina vagante dei Franchi tiratori è sempre accesa e pronta ad esplodere e il deputato ex democristiano Angelo Sanza ne fa una descrizione ineccepibile: c’è il franco tiratore pragmatista, che ha una motivazione culturale o amicale, e dunque cambia la sua posizione a seconda del candidato, e c’è il franco tiratore fondamentalista, che punta solo a ostacolare un successo concordato tra i segretari di partito. Con i primi si può trattare, con gli altri no.

La Seconda Repubblica è iniziata da tempo, anzi c’è già chi ne scrive il suo de profundis ma, i Franchi tiratori, sono ancora lì, immarcescibili, appostati tra i banchi di Montecitorio a mirare il candidato di turno che nel 2006 sarà Massimo D’Alema e nel 2013 Romano Prodi con la mitica carica dei 101.

Adesso non si aspetta altro che di sapere, dalla voce di Matteo Renzi, quale sarà il nome del bersaglio e, come diceva Montanelli, cercare di eliminarlo dalla corsa.

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Sabino Labia

Laureato in Lettere all'Università "Aldo Moro" di Bari, specializzazione in "Storia del '900 europeo". Ho scritto tre libri. Con "Tumulti in Aula. Il Presidente sospende la seduta" ho raccontato la storia politica italiana attraverso le risse di Camera e Senato; con "Onorevoli. Le origini della Casta" ho dato una genesi ai privilegi dei politici. Da ultimo è arrivato "La scelta del Presidente. Cronache e retroscena dell'elezione del Capo dello Stato da De Nicola a Napolitano" un'indagine sugli intrighi dietro ogni elezione presidenziale

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