Governo in Spagna: la prova del fuoco del re Felipe VI
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Governo in Spagna: la prova del fuoco del re Felipe VI

Lo stallo emerso dopo il voto del 20 dicembre consentirà al giovane sovrano di ridefinire il suo ruolo, per evitare un nuovo ricorso alle urne

Il giovane re Felipe VI si trova di fronte a una situazione politica inedita in Spagna, mai accaduta prima nella storia della democrazia postfranchista: l'assenza di una chiara maggioranza parlamentare che consenta la formazione di un governo stabile.

La mancanza di dettagli sulle specifiche prerogative del sovrano nella Costituzione iberica rende ancora più delicato il suo compito. Dovrà consultare molti costituzionalisti per capire fino a quale punto potrà spingersi per sollecitare i partiti a formare un esecutivo. Dovrà parlare con tutti i leader politici, da Pablo Iglesias (Podemos) a Pedro Sanchez (Psoe) fino a Mariano Rajoy (PP) e ai leader nazionalisti baschi e catalani, per sondarne la disponibilità a costruire una maggioranza parlamentare che eviti un rovinoso e immediato ricorso alle urne questa primavera.

Quando regnava Juan Carlos, non si era mai verificata una situazione politicamente simile a quella emersa dopo il 20 dicembre. A parte quando intervenne nel 1981 per reprimere e sconfessare  il tentato golpe del generale franchista Tejero, guadagnandosi il rispetto bipartisan della stragrande maggioranza della popolazione, Juan Carlos ha sempre svolto il suo ruolo in modo notarile, limitandosi a dare l'incarico a chi - tra il Psoe e il Pp - usciva vittorioso dalle urne.

Ora le cose in Spagna non stanno più così, un po' come in italia dopo la non-vittoria del Pd nel 2013. Rajoy, il vincitore-non vincitore delle elezioni del 20 dicembre, non ha i numeri per formare una maggioranza con il solo sostegno di Ciudadanos, considerata l'indisponibilità fin qui espressa dal Partito socialista. Ma del resto né Pedro Sanchez (Psoe) né Pablo Iglesias (Podemos) sono in grado di formare una maggioranza alternativa, basata anche sul sì (nient'affatto scontato) dei partiti nazionalisti, benché stiano avviando un dialogo alle Cortes per formare gruppi parlamentari più omogenei e compatti. Felipe VI proverà insomma a inventarsi qualcosa, senza invasioni di campo politiche che non sarebbero tollerate dalla maggioranza dei partiti che siedono in Parlamento. Ma senza rinunciare nemmeno alle sue prerogative. Lo snodo è qui. E le elezioni sono dietro l'angolo.

È scontato che Rajoy, vincitore azzoppato alle urne, riceva l'incarico e si presenti in parlamento alla ricerca dei voti necessari per insediarsi. Dove li troverà? Dalla componente moderata e dialogante del Psoe? Le incognite sono davvero molte. Nella prima votazione, il candidato prescelto dovrà ottenere la maggioranza assoluta dei voti, dalla seconda in poi – 48 ore dopo – basterà la maggioranza relativa. A partire della prima votazione, inizia a scorrere la clessidra dei due mesi di tempo prima del dissolvimento automatico delle camere. 

Pedro Sanchez - la cui leadership nel Psoe è insidiata dalla componente dialogante del Psoe - non ha ancora rinunciato alla folle idea di un grande cartello delle sinistre con Podemos e i suoi alleati. Se Rajoy, che, con i soli voti di Ciudadanos e tutti gli altri contro, non ce la farà, Sánchez ha davanti a sé due strade percorribili, ma entrambe molto complicate: un governo  con voto favorevole di Podemos, delle sue alleanze, di Izquierda Unida e del Pnv basco. Oppure un esecutivo di minoranza con socialisti, Ciudadanos, Pnv, con Podemos e i suoi alleati che si astengono.  Anche questo, attualmente, appare uno scenario fantapolitico. Toccherà a Felipe VI cercare di allontanare l'incubo di nuove elezioni. Ci riuscirà?

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