L'incredibile caso del dottor Esposito
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L'incredibile caso del dottor Esposito

Ecco perché il giudice della Cassazione che ha confermato la condanna a Silvio Berlusconi per frode fiscale non è al di sopra di ogni sospetto

Potremmo chiamarlo «l’incredibile caso del dottor Esposito e di mister intervista»: in meno di una settimana, il presidente della sezione feriale della Cassazione, che il 1° agosto ha posto fine al processo Mediaset e ha condannato Silvio Berlusconi a 4 anni di reclusione (3 dei quali cancellati da indulto), è riuscito a surclassare perfino Antonio Ingroia al vertice della classifica del magistrato più criticabile d’Italia. E tutto questo soltanto a causa delle sue dichiarazioni.

Ma che tipo è Antonio Esposito? Che tipo dev’essere quello che si presume austero presidente di una sezione della suprema Corte di cassazione, ma dopo aver coltivato lo studio silenzioso e appartato di codici e di atti giudiziari salta d’improvviso alla ribalta delle cronache per le sue parole, ed esplode come un mortaretto da fiera paesana?

A 72 anni, 48 dei quali passati in magistratura e 28 in Cassazione, oggi Esposito è nella bufera: lo è soprattutto per l’intervista uscita il 6 agosto sul Mattino di Napoli, dove ha commentato la delicata sentenza che appena 5 giorni prima aveva letto, praticamente in mondovisione. Ad Antonio Manzo, inviato di giudiziaria, Esposito affida un ragionamento e anche una notizia: spiega che Berlusconi «non è stato condannato perché non poteva non sapere», in quanto capo dell’azienda Mediaset. Non è così, spiega il magistrato: Berlusconi è stato correttamente condannato per una frode fiscale di cui era a conoscenza in quanto «Tizio, Caio o Sempronio hanno detto che glielo hanno riferito». Ovviamente, queste frasi avviano un’immediata polemica, a cavallo tra giustizia e politica. Il più pacato è Franco Coppi, che in Cassazione ha appena difeso l’ex premier: «Ormai di quello che sta accadendo non mi meraviglio più» dice il penalista, ironizzando. «Di solito le motivazioni di una sentenza si conoscono con il deposito della sentenza. In genere dichiarazioni in anteprima non si rilasciano».

Tutt’intorno, mentre il Pd scompare nel più assoluto silenzio (solo Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia della Camera, dichiara che l’intervista è «perlomeno inopportuna»), il centrodestra esplode. C’è chi sostiene che alimenta sospetti sulla condanna, chi parla di «pesanti ombre» sul giudizio, chi prospetta l’intervento del Consiglio superiore della magistratura. È visibilmente imbarazzata se non addirittura allarmata la stessa Cassazione, che in un comunicato afferma: «L’intervista non inficia la decisione sul processo Mediaset». Mentre Rodolfo Sabelli, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, nega che l’inopportuna intervista possa produrre effetti disciplinari su Esposito, o processuali sulla condanna di Berlusconi, «perché tanto la sentenza è irrevocabile».

A quel punto, Esposito innesta la retromarcia: esce una sua dichiarazione, un po’ aggrovigliata, nella quale parla di frasi «completamente inventate» e smentisce di «aver pronunziato, nel colloquio con il cronista e rigorosamente circoscritto a temi generali e mai attinenti alla sentenza, debitamente documentato e trascritto dallo stesso cronista e da me approvato, le espressioni riportate virgolettate: “Berlusconi condannato perché sapeva, non perché non poteva non sapere”». Il problema, per il giudice, è che Alessandro Barbano, direttore del Mattino, non molla di un passo e replica: «Posso assicurare che l’intervista è letterale, cioè sono stati riportati integralmente il testo, le parole e le frasi pronunciate dal presidente di cui abbiamo prova». Aggiunge che l’intervista è stata registrata e che ci sarebbero addirittura dei testimoni. Il giudice replica: «Il testo dell’intervista, inviatomi via fax dal giornalista, è stato poi manipolato con l’inserimento di una domanda e di una risposta mai da me data». Ma l’ascolto dell’intervista registrata conferma: Esposito ha detto quel che è stato scritto dal Mattino.

Il giudice, insomma, è finito nei guai: perfino il Guardasigilli Anna Maria Cancellieri si è informato sul caso. E pensare che il Csm, i guai, aveva cercato di evitarglieli, spegnendo per tempo un procedimento disciplinare su suo figlio Ferdinando, pm a Milano: proprio l’11 luglio era stato assolto dall’accusa di avere cenato al ristorante nel maggio 2012 con Nicole Minetti, nello stesso tribunale imputata (e poi condannata) per favoreggiamento della prostituzione.

Va detto che, per indurre prudenza in Esposito padre, non era servito nemmeno che appena tre giorni prima dell’intervista, il 3 agosto,Il Giornale avesse rivelato un antefatto imbarazzante su di lui. Stefano Lorenzetto, ex vicedirettore del quotidiano, aveva riferito i giudizi espressi da Esposito su Berlusconi il 2 marzo 2009, alla consegna di un premio del Lions club di Verona cui il giornalista aveva partecipato da moderatore. Lorenzetto aveva scritto che Esposito, al tavolo da pranzo dopo la cerimonia e alla presenza sua e di altri testimoni, aveva lungamente parlato delle intercettazioni nel caso della escort barese Patrizia D’Addario: mostrando di conoscerne il contenuto, dilungandosi sulle performance sessuali di Berlusconi e descrivendo il Cavaliere come «un grande corruttore» e «un genio del male». Un comportamento (visto a posteriori) sconveniente per chi, 4 anni dopo, avrebbe presieduto la corte della prima condanna definitiva sull’imputato Berlusconi.

Per Lorenzetto, però, questo non avrebbe affatto turbato Esposito: violando il riserbo e mostrando pregiudizio, in quell’occasione il giudice avrebbe infatti annunciato quale sarebbe stata, di lì a due giorni, la sentenza che la sezione della Cassazione da lui presieduta avrebbe emesso nei confronti di Wanna Marchi, la «teleimbonitrice», che sarebbe stata poi condannata a 9 anni e 6 mesi. Anche in questo caso, attaccato il giorno dopo da Repubblica, che aveva parlato di «fango», e dallo stesso Esposito brevemente intervistato dal Fatto quotidiano («Non intendo replicare se non nelle sedi competenti a queste calunnie e falsità»), Lorenzetto a sua volta ha risposto lasciando intendere di disporre di testimonianze registrate. Si vedrà in tribunale, se davvero Esposito vorrà insistere.

Che strano, però. Fratello del più noto Vitaliano, Antonio Esposito non aveva mai dato adito a particolari polemiche. C’è chi ricorda che nel gennaio 2011 il giudice aveva presieduto la sezione della Cassazione che aveva condannato definitivamente Totò Cuffaro. Qualche giorno dopo Esposito aveva riconosciuto all’imputato di «aver accettato il verdetto con rispetto» dando «una lezione a tutti, in tempi così burrascosi intorno alla giustizia». Oggi, suo malgrado, è lui che ha incredibilmente contribuito ad accrescere la burrasca.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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