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Ferrari rosso opaco

Ferrari rosso opaco

Il deludente finale di stagione di Maranello getta ombre anche sulla prossima stagione. E la Formula Uno senza equilibrio è uno spettacolo troppo lungo per poter resistere alla noia

Non fosse stato per le prime tre curve della gara, dove Charles Leclerc e Carlos Sainz erano affiancati, per un tifoso Ferrari il Gran Premio del Messico di F1 è stato a dir poco soporifero. Se poi tentiamo di fare analisi con i numeri, meglio un film giallo e, nel caso, rivedere gli attimi salienti della gara in una sintesi tv oppure online, il giorno dopo. Un calcolo: se George Russell, seconda guida di Mercedes, non si fosse fermato per mettere i pneumatici che gli servivano per cercare il giro più veloce e prendere un punto in più, egli avrebbe tagliato il traguardo 35 secondi prima di Leclerc, che in una gara di 71 giri significa che le auto tedesche, le stesse che a inizio stagione sparivano lontane negli specchietti del Cavallino, hanno rifilato alla Rossa mezzo secondo al giro. E alla fine tra il primo posto di Verstappen e il sesto della prima guida Ferrari – quinto Sainz – c’erano un minuto, otto secondi e 77 centesimi. Brividi.

Va bene che la F1-75 è progettata per gare diverse da quelle dei circuiti particolari, va bene che il tracciato Hermanos Rodríguez si trova a 2.238 metri sul livello del mare, dove l’aria è rarefatta e questo non aiuta il turbo e neppure le ali, ma a ben guardare questo fenomeno al tempo stesso produce anche meno resistenza. E allora perché gli altri volavano mentre le Rosse parevano in passerella? Mistero.

Attenti alle Mercedes, perché basta conoscere una facoltà di aerodinamica tedesca come quella di Delft per sapere che c’è chi da mesi non dorme la notte per arrivare il prossimo anno a inaugurare un nuovo ciclo di stagioni dove a prendere la bandiera a scacchi sia sempre una monoposto argentata, che sia ina ria rarefatta o al livello del mare.

A Maranello però adesso un filo di vergogna servirebbe provarla: non c’è la scusa degli errori tattici né di quelli fatti ai box – pit stop perfetti e non sarebbe cambiato molto differenziando i treni di gomme dei due piloti – non ci sono stati incidenti, rotture e neanche contestazioni. E che la macchina non andasse era già evidente quando, dopo il venerdì, è apparso chiaro che la Ferrari non fosse riuscita a trovare la messa a punto per essere competitiva. Se ogni pochi giri cambi gomme e riprovi, soprattutto su una monoposto nella quale le mescole condizionano così tanto le prestazioni, anche a un profano di automobilismo viene il dubbio che qualcosa non vada.

Che poi, a ben guardare, la F1-75 è andata benissimo, non c’è stato alcun problema tecnico, probabilmente era tempo che non finiva un gran premio in così buone condizioni, “usata pochissimo”. Insomma, al posto di fare le solite ammissioni politicamente corrette, dicendo ai microfoni ciò che è stato evidente a tutti – sia Mattia Binotto, sia Leclerc – forse stavolta si sarebbe fatta una figura migliore dicendo che le Rosse stavano girando in rodaggio per collaudare qualcosa di importantissimo per le prossime due gare – Brasile e Abu Dhabi, dove capiremo anche a quale reale livello è salita la Mercedes W13, unica a impensierire le Red Bull – ma soprattutto per la prossima stagione. Forse Binotto sta davvero risparmiando per il 2023, sia anche per una vernice nuova che non sia questo inguardabile rosso opaco che sa di cera messa male sulla carrozzeria.

E sul 2023 permetteteci un appunto. Lungi dall’essere illiberale, ma già una Formula 1 del tutto privata e politicamente corretta si fa fatica a digerire, ma soprattutto 22 gare sono decisamente troppe, ormai non sono più grandi eventi ma un campionato allungato dove il problema è chi sfora i budget per lo sviluppo e non più chi si trova a corto di soldi perché ha fuso l’ultimo motore e non vuole ritirarsi. Forse era triste, altri tempi, ma era altrettanto romantico e creò sinergie e alleanze passate alla storia.

Perché Red Bull vince per la macchina ma soprattutto perché a guidarla c’è Max Verstappen, e francamente una multa di 7 milioni di dollari comminata a fine stagione, calcolata facendo le pulci anche ai costi del catering e delle tasse, con la riduzione del 10% del tempo di sviluppo della prossima macchina in 12 mesi, è una montagna di soldi eticamente poco comprensibile fuori dal circus, e qualcosa di invisibile ai tifosi. C’è chi immagina squadre di ragionieri in tenuta da gara che fanno il record di spulcio degli scontrini, ma che contano più del cronometro. Tristissimo.

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