Falchi e colombe nel partito di Berlusconi
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Falchi e colombe nel partito di Berlusconi

Da un lato i duri che hanno benedetto la svolta. Dall'altro i ministeriali e la pattuglia dei siciliani. La geografia interna del Pdl dopo lo strappo deciso ad Arcore. Tutto sulla crisi

Non fatevi ingannare da quante firme di dimissioni sono state consegnate e messe a disposizione del partito. Il Popolo delle Libertà è in realtà assai più diviso, strategicamente, di quanto non dicano i freddi numeri sulle defezioni di ministri e parlamentari. La sua geografia interna, dopo lo strappo deciso dall'ex premier Silvio Berlusconi, è in evoluzione, ma è lunga la direttrice tra ministeriali e falchi che la nuova Forza Italia si sta ricoagulando. Senza dimenticare, per gli uni come gli altri, la fedeltà e la lealtà al padre fondatore, ribadita anche da chi - come il vicepremier Angelino Alfano - ha scelto in questi ultimi giorni di criticare la linea avventurista ed «estremista» - così l'ha definita Alfano su Twitter - emersa dopo una riunione ristretta nella quale c'erano Daniela Santanchè e Denis Verdini, ma non tutti i dirigenti del partito.

FALCHI. Tra i fautori della linea dura c'è, oltre a Daniela Santanchè e Denis Verdini, anche Niccolo Ghedini, l'avvocato-deputato che non ha mai nascosto le sue perplessità nei confronti del governo Letta e ha sempre messo in guardia il Cavaliere sulle reali intenzioni del capo dello Stato, quando tutti, nel partito, si auguravano o credevano che Napolitano potesse favorire una soluzione politica per superare la situazione giudiziaria di Berlusconi. Pare che Ghedini abbia prospettato «nel giro di venti giorni» al Cavaliere, durante l'ultimo vertice ad Arcore che ha prodotto il documento dello strappo, un finale drammatico: «Se non rompi farai la fine di Silvio Pellico».

I duri confidano cioé che gli avversari non abbiano in realtà in mano, a dispetto del gioco di sponda col Quirinale, soluzioni alternative a questo governo: qualsiasi altra maggioranza, scommettono i falchi, non potrebbe durare, nemmeno se i «traditori» saranno di più di una manciata.Tra i duri anche  Augusto Minzolini secondo il quale è bene uscire «da un governo che ha favorito la recessione» e Daniele Capezzone che ha messo l'accentosul rischio dell'aumento dell'Iva come spiegazione per lo strappo:  «È una situazione insostenibile per tasse e rispetto della democrazia e dello Stato di diritto». Ritenuto fino a ieri una colomba, e oggi schierato sulla linea dura, anche Sandro Bondi («In queste condizioni, prolungare l'agonia di questo governo e di questa legislatura non giova a nessuno tantomeno all'Italia»), Michaela Biancofiore, Mara Carfagna, Annamaria Bernini e Maurizio Gasparri.

COLOMBE. Sia chiaro: la lealtà al capo non si discute. Ma è chiaro che all'interno del partito di Berlusconi i filogovernativi sono i ministeriali Lupi, Alfano, Lorenzin e Quagliarello, la pattuglia dei siciliani e, pare, i due suoi amici-manager di una vita come Fedele Confalonieri e Bruno Ermolli, nonché il gran visir del berlusconismo Gianni Letta. Maurizio Lupi, vicino a Cl, ha detto: «Così non va. Forza Italia non può essere un movimento estremista in mano a degli estremisti. Noi vogliamo stare con Berlusconi, con la sua storia e con le sue idee, ma non con i suoi cattivi consiglieri». Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin è arrivata persino a equiparare la nuova Forza Italia ai fascisti di Alba Dorata: «Questa decisione ci spinge verso una destra radicale in cui non mi riconosco, chiude ai moderati e li mette fuori senza alcuna riflessione culturale, segnandoli come traditori. Esprimo il mio dissenso. Io scelgo il bene degli italiani e del nostro Paese, convinta ancor più di ieri che i moderati di tutti gli schieramenti sapranno ritrovarsi nel campo del centrodestra».

Ma il più immaginifico nell'esprimere il suo dissenso rispetto alla linea decisa nella riunione ristretta a Arcore è stato Gaetano Quagliariello: «Se Forza Italia nasce così non aderirò. Se ci sarà solo una riedizione di Lotta Continua del centrodestra ne prenderò atto e mi dedicherò, magari, al 'Napoli Club del Salario'». Angelino Alfano, pur ribadendo la sua assoluta lealtà al Capo, è l'autore del tweet «Se è così sarò diversamente berlusconiano» che ha suscitato anche qualche ironia in rete. Oggi, con gli altri ministri del centrodestra, ha risposto all'editoriale di Alessandro Sallusti, in edicola su Il Giornale. «È bene dire subito al direttore de Il Giornale, per il riguardo che abbiamo per la testata che dirige e una volta letto il suo articolo di fondo di oggi, che noi non abbiamo paura. Se pensa di intimidire noi e il libero confronto dentro il nostro Movimento politico, si sbaglia di grosso. Se intende impaurirci con il paragone a Gianfranco Fini, sappia che non avrà case a Montecarlo su cui costruire campagne. Se il metodo Boffo ha forse funzionato con qualcuno, non funzionerà con noi».

Tra coloro che hanno espresso qualche perplessità sulla linea decisa ad Arcore c'è anche Fabrizio Cicchitto che ha messo l'accento sulla mancanza di collegialità nella decisione presa ad Arcore. Tra coloro che non sarebbero favorevoli alla «svolta estremista» - e che però hanno scritto una missiva a Napolitano per ribadire i loro dubbi sulla legittimità costituzionale della Severino, anche Renato Schifani e Renato Brunetta. Nunzia De Girolamo, ministro delle Politiche Agricole, pur ribadendo la sua fedeltà al Cavaliere, ha espresso qualche perplessità sulla nuova linea decisa nella riunione ristretta.

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