Giulio Sapelli: non basta tagliare le spese, in Italia bisogna tagliare le teste
Economia

Giulio Sapelli: non basta tagliare le spese, in Italia bisogna tagliare le teste

Da intellettuale non allineato Giulio Sapelli critica l’esecutivo dei professori: boccia il premier Monti e il ministro Passera, promuove Draghi e mette in guardia da un’intesa Grillo-Di Pietro. Ma soprattutto attacca la lobby dei burocrati

«Monti è ondivago e vive una contraddizione interiore»; «Passera è una delusione»; «In generale, più che un governo, è un consiglio di facoltà»: «C’è chi vuole svendere, ovviamente all’estero, gli ultimi pezzi di industria strategica che abbiamo». «È folle che la Bce non possa fare la cosa per cui sono nate le banche centrali: battere moneta. Ma meno male che c’è Draghi».

Giulio Sapelli, docente di storia economica alla Statale di Milano, intellettuale non allineato, ha il fervore ideale e la spiazzante franchezza espressiva di chi non ha mai voluto impastarsi con nessuna lobby. Ama la battuta e l’epigramma, ma non se li concede mai per puro gusto: il fatto è che, per quanto possa essere scettico, ancora crede alla necessità che un professore, pur non governando, debba dire la sua per migliorare le cose…

Professore, lo ammetta: lei è uno dei leader dell’anti-montismo…

Macché. Quando l’ho definito un dictator alla latina, l’ho fatto perché come i dittatori della Roma repubblicana ogni volta che prende una decisione deve poi ricorrere a una legittimazione che non sa mai se arriverà. Monti ha un potere dimezzato, peristaltico.

Ha detto che è ondivago…

Perché lo sono anche i partiti. Monti ha un grande network di relazioni internazionali, ma non può aggiungerci una potenza politica che, tanto per ricordarci di Max Weber, può venire solo da quella legittimazione che nelle poliarchie democratiche produce mediazione e compromesso.

Dice anche che è contraddittorio…

Nel senso che porta in se stesso due linee non conciliabili: nelle sedi europee si fa alfiere di una politica neokeynesiana, perché tale è quella che invoca l’intervento della Bce o del fondo salvastati; poi però in casa sua pratica una politica opposta, di austerità estrema, che in un momento storico di depressione acuta ci sta portando verso una recessione di lungo termine.

Anche lei consiglierebbe al premier di prendere di petto il problema del debito?

Certamente anch’io, come tanti, mi chiedo perché su questo tema il governo non abbia fatto nulla. Ho due risposte. La prima è che oggi è tecnicamente difficilissimo vendere asset pubblici per abbattere il debito. Ma è una risposta che non mi basta. Si sono ipotizzate tante operazioni finanziarie, magari anche un po’ artificiose ma potenzialmente forti, significative.

E allora?

Io temo che il vero freno arrivi dalla casta dei cosiddetti «grands commis de l’état».

Chi sono?

Questo governo ha dato un potere enorme a una burocrazia che vede in questi beni pubblici la radice del proprio strapotere. Questi asseriti grands commis de l’état, che sono in realtà una pallida controfigura di quel che dovrebbe essere un alto servitore dello stato, come fu per esempio il grande Andrea Monorchio, non vogliono privarsi del potere che gli deriva dalla gestione degli asset. Altro che i politici, sono loro la vera casta frenante. Potentissima. Questo governo l’ha nutrita, rinvigorita. E loro, nell’ Italia dei mille cavilli, costituiscono un ufficio dinieghi che dice no a tutte le vere riforme. E pensare che questo governo, per fare la spending review per esempio, ha avuto bisogno di altri supertecnici…

Ma si dovrebbe privatizzare?

In teoria sì, ma non come nel ’92, quando fummo ricattati dall’Europa: o si vendeva o si stava fuori. Quelle privatizzazioni senza liberalizzazioni non servirono né allo scopo di abbattere il debito pubblico, infatti siamo messi oggi peggio di allora, né di dare una scossa allo sviluppo. E oggi, se non si superano i veti della casta, si finirà col fare altre privatizzazioni sbagliate, per esempio quelle di Eni e Finmeccanica, togliendo peraltro solo una goccia dal mare del debito.

Ci faccia i nomi, professore, del partito della svendita…

Dentro e accanto al governo è noto che c’è la corrente dei liberisti a oltranza, i vari Giavazzi e Alesina per esempio, corifei del pensiero unico… che poi sono tutti colleghi docenti, non voglio offendere nessuno, ma davvero questo governo sembra un consiglio di facoltà di quelli chiusi. Forse a Roma si poteva coinvolgere qualche altro economista di matrice diversa, un Baldassarri, un Piga, per citarne due di altissimo profilo, che avrebbero avuto dei consigli da dare! Sento quelli che dicono che potremmo fare a meno delle telecomunicazioni, dell’industria militare. Ma sono cose che potremmo perdere solo per una grande iniziativa europea, una Ceca o un Euratom, non in cambio di pochi soldi. Se penso allo sforzo che ha dovuto fare l’Eni per convincere il governo che la separazione della Snam aveva senso solo se inserita in una visione europea delle reti dei gasdotti...

Non è che lei sogna un nuovo Iri?

No, io ho avvisato, anche un po’ paradossalmente, che il governo, con la sua politica di ultratassazione e il suo rifiuto verso qualunque forma di intervento dello Stato nell’economia, rischia di segnare la fine dell’industria manifatturiera italiana. Io non penso a un nuovo Iri, penso invece a una Cassa depositi e prestiti gestita tecnocraticamente da un officer unico all’anglosassone, che scelga su quali settori puntare e poi lo faccia, senza fungere da nave ospedale ma nemmeno da megafondo d’investimenti, altrimenti si ripeteranno casi come quello della Sea, gli aeroporti venduti dal Comune di Milano, di cui nessuno capisce la ratio, dal punto di vista della Cdp.

Alt! Non tocchi anche il problema degli enti locali!

È invece uno dei problemi di fondo: mille competenze non fanno una visione.

Cosa pretenderebbe: che il Comune di Taranto comprasse l’Ilva?

Non scherziamo. Ma visto che ha citato l’Ilva, ecco un’altra incredibile défaillance del governo. Quella pratica andava seguita dal ministero dello Sviluppo economico, che Passera abbia lasciato spazio a Clini è segno di un’assoluta incomprensione di quel che richiede il momento. In questo senso, il ministro potenzialmente più capace di gestioni complesse si è rivelato una delusione, come se fosse imbrigliato in vincoli non suoi.

C’è una strada nazionale per l’uscita dalla crisi oppure è un nodo globale? Monti addirittura si è spinto a chiedere un «sostegno morale» ai tedeschi...

Ciascun paese deve fare la sua parte, ma certo la situazione internazionale è fortemente condizionante. Dalla Cina alla Siria, sino all’Italia, tutto è ormai determinato da una lotta furiosa tra repubblicani e democratici negli Usa. Nella storia non s’era mai visto un road show internazionale dello sfidante Romney in chiave antagonista rispetto alla Casa Bianca… Storicamente, anche lo sfidante rappresentava gli Stati Uniti! Adesso Romney va in giro a braccetto con Moody’s, che gli fa da agenzia di pubbliche relazioni. E così mentre Obama appoggia Draghi, con il cui aiuto Monti spera di risolvere i problemi italiani, e Geithner preme sulla Germania perché la Bundesbank sciolga le briglie alla Bce, a un chilometro c’è Romney che parla di Obama come di un bolscevico, benedice l’austerity della Bundesbank e promette che quando entrerà alla Casa Bianca stringerà anche lui i freni al lassismo….

Che cosa dovrebbe fare la Bce?

Stampare moneta! È folle che non l’abbia ancora fatto: cos’altro devono fare in situazioni del genere le banche centrali? E non lo fa perché la Bundesbank non vuole… È un fenomeno che tra 100 anni la storia economica mondiale ricorderà come un assurdo.

Non le pare assurdo che Draghi abbia promesso interventi «non convenzionali» da parte della Bce, sapendo di non avere gli strumenti per farli?

Draghi è una persona perbene e competente che in questi suoi due anni alla Bce ha riscoperto che il vecchio maestro Federico Caffè non aveva tutti i torti sull’intervento pubblico in economia. È molto bravo, usa il valore dell’indipendenza della Bce per emanciparsi dai diktat tedeschi, dando fondo al miglior machiavellismo italiano. È ben appoggiato dagli Usa, e in questo non c’entra la sua vecchia militanza in Goldman Sachs. È un grande diplomatico e per questo finora sono caduti alcuni birilli tedeschi, ma non lui!

Parliamo di cosette italiane: che farebbe lei sul caso Fiat?

Non accade in nessun paese al mondo che il governo si estranei dalle sorti di una grande azienda automobilistica, i liberisti Usa hanno salvato General Motors e Chrysler con i soldi pubblici. Il problema è infrastrutturale, non proprietario: la Gran Bretagna ha lasciato che le proprie fabbriche venissero cedute all’estero, ma sono ancora tutte lì e danno lavoro a più gente di prima. Se nell’auto l’Italia perdesse insediamenti sarebbe un danno spaventoso al patrimonio del Paese!

E Mediobanca, le sembra in declino?

L’errore del nuovo corso è stato quello di continuare a fare ciò che aveva sempre fatto Enrico Cuccia ma su un livello più basso. Cuccia per quarant’anni ha socializzato le perdite e privatizzato gli utili dei suoi azionisti, sempre. Ligresti era l’ultimo grande azionista dell’era cucciana e l’attuale management ha fatto quel che avrebbe fatto il vecchio fondatore, salvare il salvabile. Ma l’ha fatto in un contesto in cui le regole di governance fortunatamente esistono e andrebbero rispettate.E invece l’operazione su Fonsai è a tutto svantaggio dei soci di minoranza.

Invece l’Unipol?

Non vorrei essere nei panni dei presidenti delle cooperative che controllano Unipol. Quest’operazione non c’entra nulla con la tradizione della governance e della socialità del movimento cooperativo, di cui fino a prova contraria Unipol è parte integrante.

Chi vincerà le prossime elezioni?

Il vero tema è se Pdl e Pd sapranno reggere all’inevitabile convergenza tra Beppe Grillo e Antonio Di Pietro. Il Movimento cinque stelle e l’Italia dei valori stanno preparando segretamente da anni un’alleanza, che spazzerà via i molti partitini interstiziali che si stanno affacciando sulla scena. L’unioneGrillo-Di Pietro sarà uno tsunami contro il quale Pdl e Pd si giocheranno tutto. Se si sfalderanno sarà la catastrofe, non si riuscirà più neanche a fare un governo di coalizione se non un governicchio alla greca, in grado di governare solo con la pistola alla tempia.

La Lega è finita?

No, ho molta stima di Maroni, credo abbia capito che la Lega deve territorializzarsi completamente, penso che lui punti a un partito federale del Nord e che per un certo tempo pensi a ricreare un forte radicamento del consenso nell’area pedemontana e veneta, per prendere saldamente il potere nelle tre regioni del Nord. Ma per riuscirci deve cambiare radicalmente i suoi quadri, non fare più errori nelle nomine. La Lega deve diventare come la Csu: può farlo, ha buoni amministratori come Zaia, ha l’appoggio del basso clero. E Maroni è un politico fino.

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Sergio Luciano