Ilva chiude, tutti i numeri di un disastro economico
Economia

Ilva chiude, tutti i numeri di un disastro economico

A rischio oltre 20mila posti di lavoro e 9 miliardi di euro di nuove importazioni di acciaio

L’annunciata chiusura dell’Ilva di Taranto potrebbe rappresentare uno dei più grandi disastri industriali e sociali del nostro Paese degli ultimi anni, così come il suo funzionamento sembrerebbe esserlo stato per le condizioni di salute della città . E’ questa la considerazione che viene più spontaneo fare di fronte ai numeri sconvolgenti che lo stop degli altoforni di Taranto potranno portarsi come conseguenza più immediata. D’altronde stiamo parlando di un’azienda che rappresenta il 20esimo gruppo siderurgico del mondo, e dunque non è difficile immaginare l’impatto che ci sia sull’economia nazionale, sia in termini occupazionali che finanziari.

E cominciamo allora proprio da qui, dal mettere in fila le prime drammatiche cifre sugli effetti umani e sociali di una sempre più probabile serrata dell'Ilva . Nella sola zona di Taranto andrebbero in fumo circa 12mila posti di lavoro, che rappresentano gli addetti diretti allo stabilimento, cifra che sale però a quota 20mila se si considera l’indotto. Quello di Taranto infatti rappresenta il più grande sito produttivo siderurgico d’Europa e allo stesso tempo lo stabilimento industriale con più addetti in Italia.

Un particolare non da poco se si pensa che sorge in un contesto cittadino dove recenti statistiche parlano di un tasso di disoccupazione che viaggia intorno al 30%. In pratica chiudere l’Ilva potrebbe significare mettere in ginocchio l’economia di Taranto e a cascata di altre zone della Provincia e della Regione Puglia, visto che dei citati 12mila addetti diretti, solo 4mila sono tarantini, mentre gli altri vengono da fuori. Ma le conseguenze negative non finiscono qui sul fronte occupazionale, perché lo stop di Taranto si porta come conseguenza il blocco della produzione anche del sito Ilva di Genova, dove da stamattina altri 1.760 dipendenti sono in agitazione perché vedono a rischio il proprio posto di lavoro.

E il fatto che la chiusura dello stabilimento di Taranto si porti dietro conseguenze occupazionali così pesanti, si lega, come accennato, al rilievo che la sua produzione di acciaio riveste per l’intera economia italiana. Secondo i dati forniti dalla Confindustria pugliese infatti,  la capacità produttiva di circa 10 milioni di tonnellate l’anno di acciaio che arrivano da Taranto, rappresentano circa il 40% del fabbisogno nazionale. Se l’Italia dovesse essere costretta a importare quantità di questo rilievo, andrebbe incontro ad una spesa del valore di circa 9 miliardi di euro. Una cifra che rappresenta circa un punto di Pil nazionale, e il 7-8% del Pil regionale pugliese.

Un vero e proprio disastro economico dunque per il nostro Paese, che rischia, come accennato, di sfociare in dramma sociale a Taranto, dove monta la rabbia degli operai rimasti senza lavoro dalla sera alla mattina. A questo proposito tra l’altro, il sindaco della città, Ippazio Stefano, ha chiesto che ministero del Lavoro e Inps, provvedano in maniera tempestiva a prevedere una forma di cassa integrazione straordinaria, almeno per i cinquemila dipendenti dell’area a freddo dello stabilimento la cui produzione è stata bloccata dai recenti provvedimenti giudiziari. Il rischio altrimenti è che si crei una vera e propria bomba sociale, in una città che non a caso, risultava all’ultimo posto, il 107esimo, nella recente classifica annuale stilata dal Sole 24 Ore che valuta il tenore di vita delle province italiane. Come di dire, di male in peggio.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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