La direzione Pd, un dramma da ridere
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La direzione Pd, un dramma da ridere

Il discorso di Bersani, il suo volto, le parole dei delegati, i si, i no, i "ni", un partito allo sfascio - Pdl e Pd: i punti d'unione del nuovo governo -

Meglio di un varietà. Meglio di Zelig. Meglio addirittura di Crozza. Anzi, mi resta il dubbio che il Bersani apparso live sul podio della direzione del Pd, ancora incredibilmente in streaming anche se non c’è più da lisciare il pelo a Grillo, sia in realtà Crozza. Impossibile resistere alla tentazione di ridere. Lo so, non si dovrebbe. È come sparare sulla Croce Rossa. Ma non c’è modo di evitarlo. Lo spettacolo è travolgente.

Parte scuro in volto, un po’ sciatto, senza cravatta, con la testa piegata sul microfono il segretario dimissionario, il premier pre-incaricato e mancato Pierluigi Bersani. In pochi minuti d’intervento conferma le dimissioni e non rinuncia al gusto della battuta. Amara, ovviamente. Di fronte a sé ha lo sfascio del Pd. Una platea con il coltello tra i denti e la mano sulla pistola, pronti tutti a usare coltello e pistola contro il vicino. I nostri Balcani.

Bersani evita qualsiasi analisi profonda. Preferisce gli scioglilingua. “Se ci sono degli irresponsabili, la responsabilità è del responsabile…”. Cita Le Monde per il quale si è affossato Prodi per abbattere Bersani (“Ma qui girano testate multiple”, ed è forse l’unica volta che abbozza un ghigno). Riesce perfino, senza convincere, a sostenere che c’è stato qualcosa di positivo nella sua segreteria. “Siamo una storia di successo”. Lo dice col capello ribelle, come fosse capitato lì per caso, il volto invecchiato dallo stress e dallo streaming, lo sguardo perso. “Le elezioni si può dire che le abbiamo vinte, si può dire che le abbiamo perse, si può dire che le abbiamo un po’ vinte e un po’ perse. Ma quello che si deve fare dovremo dirlo noi”. Siamo al ruggito del topo, se pensiamo ai candidati al Quirinale lanciati dal Pd e tutti dal Pd silurati nel segreto dell’urna, e a questi due mesi di tentennamenti e penosi inseguimenti del grillismo sul terreno delle dirette online perfino delle consultazioni per il governo. Un temporeggiamento, un prender tempo, indifferente alle urgenze del paese e all’incalzare di una crisi che uccide (anzi, che “suicida”). Suona comica anche l’affermazione pronunciata en passant, senza solennità, quasi con vergogna: “Ho preso senza esitazioni la decisione di dimettermi”. Ha impiegato solo 56 giorni.

Suona patetico l’appello postumo alla necessità di “trovare un principio d’ordine, altrimenti il partito cos’è? Un ascensore? Un nido per il cuculo? Un campo di gioco?”.

Non si rende neppure conto, Bersani (o forse sì) di insinuare un cattivo pensiero sul presidenzialismo in salsa Napolitano quando dice che il paese è entrato senza rendersene conto in un presidenzialismo “d’accatto”. Non francese ma sudamericano, o peggio. E ci ritorna su anche nelle repliche. Al solito, accenna all’esistenza di “problemi” senza dire come risolverli. Quest’uomo avrebbe dovuto governarci. Un uomo sommerso dai veleni e dalla mancanza di carisma. “Mi aspetto di discutere queste cose con voi, fraternamente”, cari fratelli coltelli. “Per quel che posso, darò una mano per alleviare le difficoltà”. Fine.

Dopo di lui, Franceschini e Orfini. Il primo invita a dire sì a Napolitano. “Non no o ni”. Il secondo elogia il Presidente.

Bersani beve acqua in continuazione. Passeggia su e giù dietro il palco. Ha lo sguardo torvo. Ecco, forse più di tutti i passi falsi e gli errori commessi da Bersani e dal Pd, valgono a render l’idea di cosa sia diventato il Partito democratico questi volti grigi e questa loro vuota afasia che impedisce a Bersani come agli altri di dire qualcosa di concreto. Per esempio se il Pd debba o no appoggiare l’incarico a Matteo Renzi (ne parla, per dire ok a Renzi, il defilato Umberto Ranieri). Sono Anna Finocchiaro e Franco Marini a dire finalmente “qualcosa”: ci vuole un governo politico. Quando parla Marini, dietro di lui c’è chi piange. Dopo di lui tocca alla neo-presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani. Vorrebbe festeggiare, poverina. Esordisce con una battuta alla quale però nessuno ride e nessuno applaude: “Vi porto la luce e la speranza”.

Dopo di lei, Rosy Bindi. La luce e la speranza.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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