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Migranti alla frontiera fra Bielorussia e Polonia il 15 novembre 2021 (Ansa).
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Parsi: «In Bielorussia l'Ue si è infilata in una trappola»

L'ordinario della Cattolica di Milano fa un bilancio della débâcle europea durante la crisi dei migranti fra Bielorussia e Polonia.

«Non possiamo lamentarci che gli altri ci bullizzano, se noi europei ci mettiamo nelle condizioni di farci bullizzare». Il professor Vittorio Emanuele Parsi è molto severo con l'Unione europea al tempo della crisi dei migranti fra Bielorussia e Polonia. Ordinario di Relazioni internazionali alla Cattolica di Milano, e a lungo analista politico di Panorama, Parsi fa un bilancio dell'ennesima débâcle europea in tema di migranti. E delinea un futuro carico di cupi presagi per il vecchio continente.

Mario Draghi ha appena detto che «l'uso dei migranti è diventato uno strumento, diciamo gentilmente, di politica estera». È così?

«Sì, sono usati come un'arma. Non è certo la Bielorussia la prima a usare i migranti in questa maniera nei confronti dell'Unione europea, ma non c'è dubbio. Poi bisogna anche ricordare che noi europei ci siamo messi nella condizione perché gli altri possano usare i migranti come arma nei nostri confronti».

In che senso?

«L'Unione europea purtroppo si è messa nella condizione di fornire l'elenco dettagliato dei modi in cui gli altri possono sfruttare le nostre debolezze. E fra questi c'è l'assenza di una politica comune sui migranti».

Ma che cosa sta succedendo davvero in Bielorussia?

«AljaksandrLukashenko ha consentito il trasporto di profughi che vengono principalmente dalla Siria e dall'Irak con voli su Minsk, poco importa se voli diretti o indiretti. Li ha fatti appunto arrivare a Minsk e da Minsk li ha porti sul confine con la Polonia. Mettendo in difficoltà due volte l'Unione. Da un lato, il presidente bielorusso ha fatto pressione sull'Ue in maniera diretta. Dall'altro lato, ha costretto Bruxelles a sostenere l'attuale governo polacco, con il quale in realtà è da tempo ai ferri corti. Non bisogna dimenticare che Varsavia voleva costruire una barriera di filo spinato anti-migranti proprio con i soldi dell'Unione europea».

Ma Minsk ha consentito o organizzato il trasporto dei migranti?

«Questo non lo sapremo mai fino in fondo. Quando però dico "consentito" intendo dire che la Bielorussia ha fatto in modo che i profughi arrivassero. È possibile che li abbia organizzati direttamente, a volte con la sua compagnia aerea, a volte con compagnie aeree turche o irachene o siriane».

Oltre all'Ue, Lukashenko ha messo in difficoltà anche la Nato.

«La Nato la ha messa in difficoltà in maniera diversa, però. Le autorità polacche hanno deliberatamente scelto di militarizzare la crisi e di drammatizzarla. Sarebbe bastato accogliere quelle poche migliaia di migranti. Invece hanno schierato 15.000 truppe al confine. A quel punto i bielorussi, alleati con Mosca, hanno detto: "Ah: ci sono 15.000 soldati polacchi sul confine". E allora sono iniziate le esercitazioni militari russo-bielorusse alla frontiera con grande spolvero. In questo senso la Nato si è trovata coinvolta: ora abbiamo un Paese membro della Nato che è un Paese di destra radicale, che fa scelte che mettono a repentaglio la sicurezza tanto dell'Unione quanto della Nato. Questo però non vuol dire assolvere la Bielorussia».

In che senso?

«Intendo dire che, nel momento in cui si utilizzano forze militari per contenere i migranti, si dà il pretesto agli altri, ai bielorussi e ai russi, di dire: "Ah, la Nato mette truppe al confine: pericolo!».

Dunque Lukashenko è stato abilissimo.

«Certo. Ci ha teso una trappola e noi ci siamo caduti in pieno».

E anche i polacchi ci hanno marciato.

«Assolutamente».

La Nato però è in difficoltà anche a causa del corridoio di Suwalki, che collega la Polonia con la Lituania e separa Kaliningrad dalla Bielorussia.

«Non c'è dubbio che quella sia una posizione per la Nato delicata, ma lo è a prescindere. Perché c'è un pezzo di Federazione russa all'interno del corpo degli Stati membri della Nato (e dell'Unione): l'enclave della ex Prussia orientale. Però lì bisogna fare anche molta attenzione: Lukashenko è un po' una scheggia impazzita. Ma quando ha minacciato di chiudere il gas, Vladimir Putin gli ha detto: "Non ci provare, perché il gas è mio e lo chiudo io o lo apro io". C'è una situazione, come dire, di attori sempre più on the edge. C'è gente che si prende molti rischi da quelle parti: se li prende Lukashenko, se li prende il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki. Il problema è che quando i rischi se li prendono quelli che sono all'interno di alleanze con altri più grandi, il pericolo vero è l'intrappolamento».

E quindi?

«Non sto dicendo che noi non dobbiamo difendere l'integrità territoriale della Polonia se ci fosse una minaccia militare. In quel caso sarebbe ovvio intervenire. Però non possiamo essere trascinati nelle dispute della Polonia perché Varsavia attua, per così dire, politiche scellerate. In termini teorici, il rischio è l'intrappolamento delle alleanze da parte dei singoli alleati, spesso dei singoli alleati minori».

In un certo modo, la Bielorussia da una parte e la Polonia dall'altra potrebbero diventare le schegge impazzite dei due sistemi.

«Assolutamente».

In realtà neanche a Putin piace questa messinscena...

«Non gli piace la messinscena. Sicuramente non gli piace la militarizzazione, ma contemporaneamente il fatto che i polacchi abbiano usato gli idranti e i lacrimogeni su una massa di poveracci gli ha dato gioco di poter dire in pubblico: "Vedete l'Unione europea? Parla parla, ma poi si comporta peggio di noi". Quanto a Lukashenko, se è furbo, accoglierà i migranti in qualche centro».

Lo ha già annunciato.

«Ecco. La realtà è che tutta questa situazione non ha origine in Lukashenko. Tutta questa situazione ha origine dal fatto che l'Ue è incapace di avere una politica comune sull'immigrazione, come è incapace di avere una politica comune sull'energia, sulla difesa, sul fisco».

Ahinoi... Ma per tornare alla Bielorussia, perché Lukashenko ha messo in piedi (o ha permesso che si verificasse) tutto questo ambaradan?

«Perché voleva far pressione sull'Ue a causa delle sanzioni».

Ma che cosa otterrà in tal senso?

«Niente. Ma che cosa gli è costato farlo? Cosa gli è costato provarci? Niente. Da questa crisi Lukashenko esce con la fama di politico insolente e spregiudicato che aveva anche prima. Putin esce con la fama di deus ex machina: "Il gas ce l'ho in mano io, sono un po' cinico ma sono io che comando". Ed era così anche prima. La Polonia, che era ai ferri corti con l'Unione europea, esce con il sostegno dell'Ue. La Nato esce con il fatto che si è dovuta occupare della patata bollente dei polacchi. E l'Unione europea esce con una figuraccia, perché ha lasciato che un suo Stato membro prendesse a getti d'acqua un gruppo di poveretti. Chi ne esce in peggio sono le organizzazioni occidentali: Unione europea e Nato. I polacchi tutto sommato si portano a casa una tregua con Bruxelles. E gli altri due non ci hanno smenato niente».

Ma che cosa ci ha guadagnato Lukashenko?

«Ci ha provato. E comunque ha fatto perdere la faccia all'Unione europea. Quindi a tutti quelli che nel suo Paese guardano all'Ue come un faro dei diritti può dire che nella realtà dei fatti Bruxelles non si comporta molto diversamente da lui. E poi Lukashenko ha ottenuto un effetto di "raccolta sotto la bandiera" dei suoi sostenitorie si è garantito l'appoggio di Mosca sulla politica di difesa della Bielorussia. In sintesi, ha messo in difficoltà i suoi oppositori: sia dentro sia fuori».

Alla fin dei conti, una mossa vincente. Ma lei dice che, tutto sommato, neanche per Putin è stata così svantaggiosa?

«Alla fine no. Ha richiamato all'ordine Lukashenko, facendo vedere che lui è il padrone e l'altro il cane».

Vedere l'Unione europea in difficoltà, poi, ha fatto sicuramente piacere a Putin.

«Certo. E contemporaneamente ha detto: "Non vi preoccupate, cari europei. Il gas ve lo dò io. E vedete che anche scende di prezzo perché ve ne sto dando di più? Cari cittadini europei, dite alla vostra Unione di smettere di infastidirmi con le sanzioni. Perché mi fate le sanzioni, ma intanto dipendete dal mio gas. Ve lo ricordate?"».

Ha marcato il territorio...

«Sì. Il dramma è che gli altri la strategia ce l'hanno chiara. Siamo noi che non ce l'abbiamo chiara: non siamo capaci di fare una strategia comune. Ed è solo l'inizio: vederete il prossimo anno quando cominceranno i vari Pnrr e diventerà concreto il Next Generation Eu. Vedrete quanti guai sorgeranno all'interno dell'Unione...».

Intende dire che ci saranno Paesi infastiditi perché noi italiani riceviamo tutti quei soldi?

«Sì e diranno che noi non facciamo quello che dovremmo fare. Altri Paesi diranno che bisogna mettere meno soldi, altri ancora che occorre tornare all'austerità... Io temo che non sarà un momento facile per l'Unione».

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Elisabetta Burba