Il mio 7 ottobre 2023 - prima puntata
Testimonianze e ricordi della giornalista Lucilla Efrati a un anno dell'aggressione di Hamas ad Israele
Il 7 ottobre 2008 Alessandro Schwed scrittore e umorista conosciuto con il nome Jiga Melik nella rivista “Il Male” pubblica il libro: “La scomparsa di Israele”. Il romanzo formula la sconcertante ipotesi che la Knesset decida all’improvviso di “sciogliere” lo Stato di Israele riconsegnando la sua popolazione alla Diaspora da cui era provenuta meno di cento anni prima, per porre fine al pregiudizio antisionista e antisemita dopo anni di risoluzioni ONU, attentati e tutto quello che ben conosciamo.
Ricordo di aver pensato che Schwed si era lasciato andare a un’ipotesi alquanto bizzarra perché nonostante l’Intifada, l’aumentare degli attacchi terroristici in Israele e in ogni parte del mondo, il crollo delle Torri gemelle, la lunga lista di attentati di matrice islamista e antisemita in Europa e negli Stai Uniti, il mondo in fin dei conti aveva imparato la lezione di Auschwitz e nulla di simile sarebbe mai più potuto accadere, proprio in virtù dell’esistenza dello Stato d’Israele.
La realtà è andata oltre l’immaginazione e non perché la tragica profezia di Schwed si sia avverata, ma perché non ero pronta a comprendere con quale ferocia, tutta l’aberrazione possibile si sarebbe scatenata in un mattino di festa il 7 ottobre 2023.
7 ottobre. Che coincidenza.
Il 7 ottobre ha cambiato la mia vita, mi ha costretto a rimettere in discussione le mie certezze. Dopo i primi giorni di solidarietà, prima dell’intervento israeliano a Gaza, siamo passati al “certo pure Israele però…” oppure al “eh ma allora, quello che subiscono i palestinesi con l’occupazione israeliana?”.
Poi c’è stato il silenzio, un silenzio assordante. Il silenzio delle femministe italiane, il silenzio di “Non una di meno”. Il silenzio, come se quelle violenze non fossero mai accadute, come se quelle donne non fossero donne, ragazze, bambine violentate, usurpate, terrorizzate, sfigurate e mutilate. E infine il negazionismo, quello che leggiamo in questi giorni sulle piattaforme social e nelle cronache dei giornali dove il tiktoker del momento o la professoressa “informata sui fatti” sostiene che non ci sia prova degli stupri di massa perpetrati da Hamas.
Dal 7 ottobre i miei occhi e la mia anima sono su Gaza, nella speranza di veder tornare gli ostaggi, tenuti in condizioni inumane nei tunnel, quei tunnel costruiti con miliardi provenienti dagli aiuti di tutto il mondo. Non sono sempre d’accordo con le scelte del governo israeliano, Netanyahu ha commesso molti errori, ma Israele quel piccolo lembo di terra che si estende per meno di 500 chilometri in lunghezza e 135 in larghezza circondato in ogni lato da vicini che vorrebbero vederne la fine, ha diritto di esistere e di vivere in sicurezza.
Siamo di nuovo al 7 ottobre, a un anno da quel 7 ottobre in cui 1200 civili indifesi hanno perso la vita, 253 sono stati presi in ostaggio e molti di questi sono stati ammazzati in prigionia, il popolo israeliano piange i propri morti, ma cerca le energie per riprendersi. E a pochi giorni dal Capodanno ebraico, Rosh Ha Shanà 5785, il desiderio che vorrei esprimere è di poter riaccendere la gioia e la speranza. Il 7 ottobre non è una data che riguarda gli israeliani e gli ebrei che vivono nella Diaspora, penso che debba essere una data da tenere impressa nelle menti e nell’animo di tutti coloro che credono nella democrazia e nel saper vivere civile, nel rispetto di ogni essere umano ma soprattutto che le donne, tutte le donne, mai più debbano essere trattate come oggetto da oltraggiare, umiliare, sfigurare o possedere.
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