Rushdie
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Haidi Matar, l'assalitore di Rushdie sarebbe un terrorista killer a pagamento

L'analisi della profiler sull'uomo che ha colpito il noto scrittore finito del mirino dei fondamentalisti islamici

Haidi Matar è l’uomo di 24 anni che ha attentato alla vita di Salman Rushdie colpendolo con diverse coltellate. L’uccisione per accoltellamento sarebbe molto comune nei contesti di criminalità organizzata, come nelle bande o all’interno delle strutture carcerarie. L’arma bianca è difatti un oggetto di facile reperimento. Porre termine a una vita per mezzo dell’accoltellamento non sarebbe però opera semplice in quanto, la persona aggredita, tenderà a difendersi, muovendosi e spostandosi. Spesso, difatti, la vittima, durante la colluttazione, si cagionerebbe delle ferite sui palmi delle mani e sulle braccia, nel tentativo di arrestare la lam. Ciò comporterebbe che, questa pratica di uccisione, potrà avere un esito efficace e immediato solo nel caso in cui, l’accoltellatore, sia addestrato a porre termine alla vita della vittima con tale mezzo. In caso contrario assisteremo a una serie di ferite multiple, in ordine casuale e non specificatamente mirate a colpire organi vitali.

Per quanto concerne l’attentato compiuto a danno di Salman Rushdie, Hadi Matar avrebbe colpito all’occhio, al collo e all’addome, con un numero non ancora chiaro di ferite, dalle dieci alle quindici. Dalle immagini relative alle macchie di sangue sul muro, le stesse sembrerebbero essere di media velocità e, il punto di origine, parrebbe essere dall’alto rispetto alle macchie stesse. Sarebbe però necessario analizzare tutto il muro e l’ambiente circostante della scena criminis per avere elementi di maggiore attendibilità.

L’atto delittuoso è stato compiuto durante un evento, quindi con la partecipazione di differenti persone e alla presenza di uno staff atto alla protezione dello scrittore. L’atto doveva essere quindi compiuto in tempi molto brevi, prima dell’intervento degli agenti di sicurezza, al fine di garantirne l’efficacia. Tali elementi porterebbero a propendere per un atto lucido, compiuto non da una persona affetta da problemi psichici, ma da un soggetto che avrebbe agito in maniera deliberata e con premeditazione. Con grande probabilità Matar sarebbe stato preparato ad uccidere, ma non adeguatamente addestrato, come evidenziato dalla quantità di colpi inferti. Un soggetto idoneamente formato per uccidere con arma bianca tendenzialmente agirebbe con un minimo numero di colpi, mirando alla gola o all’addome e approfittando dell’elemento sorpresa. Anche la scelta dell’arma differirebbe con quella utilizzata dagli agenti individuali (da non confondere con quei soggetti che agiscono individualmente, ma affetti da psicopatologia), i quali tenderebbero all’utilizzo di ordigni improvvisati o di armi da sparo. Per tali ragioni, si potrebbe propendere per l’ipotesi che l’attentatore non sia né un agente individuale, né un appartenente a un’organizzazione, ma molto più probabilmente un mercenario ingaggiato su chiamata.

Come evidenziato da Giulio Tatoni, laureato in scienze strategiche e studioso di terrorismo, “le organizzazioni di stampo sciita filo-iraniano hanno a volte, nel passato, ingaggiato soggetti esterni per non avere collegamenti diretti con gli attentatori. Essendo alta la probabilità che l’attentatore venga catturato dagli agenti nemici, lo stesso verrà interrogato e l’essere un membro esterno alla struttura, garantirebbe la certezza di non fornire informazioni sensibili riguardo all’organizzazione che lo avrebbe ingaggiato. Le cellule o le organizzazioni di stampo sciita filo-iraniano anziché creare delle cellule terroristiche sui territori nazionali, tenderebbero ad avvalersi di mercenari sullo scenario. La modalità di reclutamento farebbe leva sul far credere al soggetto di poter divenire un eroe garantendogli gloria e ricchezza. Matar era inoltre in possesso di un documento falso, a nome di Hassan Mughnyah, uno dei capi Hezbollah del Libano, facendo così propendere a un’influenza di persone appartenenti al mondo iraniano”.

Matar sarebbe stato nel pieno delle sue facoltà psichiche al momento della commissione dell’atto, l’evento sarebbe stato progettato nel tempo e in maniera meticolosa, come dimostrerebbe il possesso del documento falso. Per quanto sia in America più semplice falsificare atti ufficiali come quello oggetto di analisi rispetto che in Italia, il saperlo fare e, soprattutto, farlo utilizzando un nome di tale portata, presupporrebbe lucidità e appoggio di altri soggetti. La simpatia per la causa sciita filo-iraniana si denoterebbe, oltre che dal nome scelto per il documento falsificato, anche per le foto di Khomeini, Ali Khamenei e Quassem Soleimani postate sulla pagina Facebook dell’attentatore, ora oscurata.

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Cristina Brasi