Se l’Europa ricorda l’Impero austro-ungarico
Rispetto ai tempi di Metternich l’Unione continentale odierna deve fare mediazioni e compromessi estenuanti. Ma nell’intermittenza delle posizioni prende anche decisioni. importanti.
Caroline de Gruyter è una stimata giornalista olandese che vive a Vienna dopo aver girato mezzo mondo. Da qualche anno a questa parte, le sue riflessioni sulle similitudini tra l’Unione europea e l’impero asburgico hanno conquistato una certa fama, e figurano tra le letture consigliate per il 2025 dall’Institut Montaigne, il prestigioso pensatoio francese.
Quello di de Gruyter non è un semplice amarcord, e sotto la sua lente attenta finiscono le strutture politiche, sociali e culturali che caratterizzano tanto la Ue quanto la defunta Austria-Ungheria. Il parallelismo tra la moderna Unione e l’impero dall’aquila bicipite non è ovviamente nuovo, e sovente si presta a conclusioni pessimistiche circa il destino della prima.
L’Impero, che è durato oltre sei secoli, era un mosaico di nazioni e culture diverse, proprio come la Ue attuale. Entrambi i sistemi hanno affrontato tensioni interne e richieste di autonomia da parte dei vari popoli rappresentati al proprio interno. Nonostante un paio di batticuore - vedere alla voce Brexit, che rimane la proverbiale eccezione che conferma la regola - gli Stati membri sono rimasti sotto l’ombrello dell’Unione. Tanto più che Bruxelles, alla stregua dell’impero asburgico, ricorre a compromessi costanti e soluzioni parziali. L’Imperatore Francesco Giuseppe dovette per esempio accettare il Compromesso del 1867 con l’Ungheria dopo una serie di sconfitte militari e fallimenti politici interni. Anche in casa Ue le decisioni richiedono spesso lunghe trattative, tra gli Stati che ne fanno parte, sulle materie più disparate.
Alle analogie, che dunque non mancano, fanno da contraltare differenze profonde. L’Impero era, per l’appunto, un impero. Le gerarchie al suo interno erano piuttosto chiare, a partire dalla casa regnante, i cattolici Asburgo. Per contro, gli equilibri a Bruxelles si rivelano piuttosto «ballerini», con continui spostamenti di potere tra Consiglio e Commissione e, manco a dirlo, tra i principali Stati membri maggiorenti.
A seconda della fase, il barometro segna in rialzo l’influenza di Berlino, Parigi, Roma e Madrid, salvo registrare cali improvvisi a ridosso delle crisi politiche o dei cicli elettorali nei vari Paesi. L’Impero asburgico, anche in ragione delle gerarchie interne, aveva una sua soggettività esterna.
La Ue ce l’ha a sua volta, ma parziale, asimmetrica. Su alcune importanti materie, come la politica commerciale e la concorrenza, Bruxelles dice per esempio la sua. Anche durante la crisi Covid, poi, la Commissione ha reagito con decisione, ed è oggi attesa alla prova del riarmo.
Su numerosi altri fronti, invece, Bruxelles si esprime a intermittenza. Si prenda l’estone Kaja Kallas, la pugnace Alta commissaria Ue. Lei, conta, eccome, ma in una maniera diversa rispetto a un ministro degli Esteri di ieri e di oggi. Benché appaia risoluta di fronte all’assertività di Russia e Cina, Kallas deve fare i conti con gli umori altalenanti dei singoli Stati membri. A questi si aggiunge l’aperta ostilità di chi con Xi Jinping e Vladimir Putin coltiva un rapporto stretto: Victor Orbán in Ungheria, Robert Fico in Slovacchia. Per questa ragione, è quasi impossibile un’analogia con Klemens von Metternich, a lungo a capo della diplomazia imperiale asburgica.
Il cancelliere di Stato dell’Impero e le sue strategie diplomatiche furono una grandissima passione di Henry Kissinger, celebre segretario di Stato americano. Kissinger, non a caso, era lo stesso che domandava sarcasticamente quale fosse il numero di telefono da comporre per poter parlare con la Ue. Un po’ come Putin, che si picca di essere in guerra con la Nato e non certo con Bruxelles - della serie: dimmi quale è il tuo nemico e ti dirò chi sei.
Va detto che Metternich, elevato dagli Asburgo al rango di principe (prima era conte e prima ancora barone), poteva fare e disfare perché il suo potere discendeva direttamente dalla casa regnante. Anche ai suoi tempi, s’intende, c’erano aree dell’Impero che rivendicavano autonomia, ma non avevano una propria diplomazia estera. Per Metternich, il rischio di essere smentito con una nota ufficiale (o con un tweet) era quindi minimo. Non è così per Kallas, ma alla signora non fa certo difetto la grinta. n
* Esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Sonar
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