Sameh Shoukry
(Ansa)
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Che cosa sta succedendo tra Israele ed Egitto

Il governo egiziano sembra internamente diviso su come gestire le relazioni diplomatiche con Israele a causa delle crisi di Rafah. Si tratta di una situazione che va monitorata

Sta realmente traballando il trattato di pace tra Israele ed Egitto? Domenica scorsa, un alto funzionario egiziano aveva riferito all’Associated Press che un' eventuale estensione dell’operazione militare a Rafah da parte dello Stato ebraico avrebbe messo a rischio lo storico accordo siglato nel 1979. Una posizione rispetto a cui Il Cairo ha quasi subito ingranato la retromarcia.

“L'accordo di pace con Israele è da 40 anni la scelta strategica dell'Egitto e rappresenta un pilastro fondamentale nella regione per raggiungere la pace e la stabilità”, ha dichiarato, sempre domenica, il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, aggiungendo che vi sono alcuni “meccanismi prestabiliti” volti ad affrontare eventuali violazioni del trattato stesso.

Eppure, poche ore fa, il Wall Street Journal ha riferito che, secondo dei funzionari del Cairo, l’Egitto starebbe considerando la possibilità di declassare i propri rapporti diplomatici con Israele. Non solo. Nonostante abbia svolto un ruolo nel tentativo di mediare un accordo sugli ostaggi tra Hamas e lo Stato ebraico, pochi giorni fa il governo egiziano ha annunciato di volersi unire al Sudafrica nella sua causa intentata contro Israele per genocidio davanti alla Corte internazionale di giustizia.

Tutto questo evidenzia come i rapporti tra Gerusalemme e Il Cairo stiano diventando sempre più tesi. Una situazione, questa, dettata principalmente dall’irritata preoccupazione dell’Egitto per l’operazione israeliana contro Rafah. Probabilmente, visti i segnali contrastanti arrivati dal Cairo, all'interno dello stesso governo egiziano sta avendo luogo un dibattito sul futuro delle relazioni con lo Stato ebraico.

Ora, non sappiamo come si evolverà la questione. Il punto è che la crescente tensione tra Israele ed Egitto va monitorata attentamente. Ricordiamo che, nel 1994, lo Stato ebraico siglò un trattato di pace anche con la Giordania. Tuttavia, mentre i rapporti tra Gerusalemme e Amman sono stati spesso altalenanti, quelli tra Israele ed Egitto si sono rivelati, dopo il 1979, tendenzialmente più solidi.

È inoltre da rilevare che le fibrillazioni israeliano-egiziane si stanno verificando proprio mentre torna a fare capolino la logica degli Accordi di Abramo del 2020. Nonostante abbiano avviato una distensione con Teheran l’anno scorso, i sauditi appaiono sempre più preoccupati dalla politica regionale e dalle ambizioni nucleari dell’Iran: un fattore, questo, che li sta pian piano riavvicinando agli Stati Uniti e a Israele. Non a caso, sia a Riad sia pezzi consistenti del governo israeliano scommettono su un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca: nel momento in cui tornasse presidente, il candidato repubblicano avrebbe infatti intenzione di ripristinare la politica della “massima pressione” sul regime khomeinista. Una precondizione essenziale per promuovere un riavvicinamento tra israeliani e sauditi, che sono accomunati dal timore verso le mosse nucleari di Teheran.

A maggior ragione quindi i rapporti tra Egitto e Israele devono essere attentamente monitorati. Il rischio è che eccessive fibrillazioni su questo fronte possano avere degli impatti negativi sul riemergere della logica su cui poggiano gli Accordi di Abramo. Una logica che invece deve essere salvaguardata, se si vuole realmente cercare di ristabilizzare il Medio Oriente.

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Stefano Graziosi