Afghanistan, il male necessario
Sirajuddin Haqqani è un terrorista islamico super ricercato. Ma è anche l’unica speranza di una transizione moderata nel Paese mediorientale in mano ai talebani, di cui è ministro dell’Interno. Con pericolosi nemici.
Jalaluddin Haqqani scandiva le parole con voce tonante per farsi sentire in mezzo a un nugolo di proiettili che fischiavano da tutte le parti: «Avete paura?» diceva prendendo in giro noi giornalisti appiattiti a terra in cerca di riparo. «Io no, perchè sono protetto da Allah!».
Nel 1983, durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan, Jalaluddin era già un leggendario capo dei mujaheddin, i partigiani islamici che combattevano contro l’Armata Rossa. Quindici anni dopo sarà ministro del primo emirato talebano e la Nato, durante la lunga missione al crocevia dell’Asia, gli darà la caccia considerandolo uno dei terroristi più pericolosi del paese. Fin dai tempi dell’invasione sovietica, il figlio Sirajuddin, è stato tirato su a Corano e moschetto come dimostrano le foto sbiadite dal tempo di un bambino in tunica afghana con il kalashnikov sulle ginocchia. Oggi il «giovane» Haqqani è ministro dell’Interno di Kabul, con una taglia sulla testa dell’Fbi di 10 milioni di dollari per avere guidato la famigerata «rete» del terrore fondata dal padre, specializzata in devastanti attacchi suicidi. Barbone nero islamico d’ordinanza, turbante nero, vestito di scuro assomiglia incredibilmente al padre, scomparso nel 2018, quando si fa fotografare come una star a fianco della bandiera bianca di guerra dei talebani con le scritte del Corano.
Di recente il New York Times ha pubblicato un’approfondita inchiesta su di lui con un titolo sorprendente: «Sirajuddin Haqqani. Il militante più ricercato dell’Afghanistan è la migliore speranza di cambiamento?». L’amico e protettore di Al Qaida, 45 anni, è in rotta di collisione con la vecchia guardia talebana dell’Ameer-ul-momineen, il «comandante dei fedeli» Haibatullah Akhundzada, la guida suprema dell’emirato, erede di mullah Omar. Un pretone islamico che ha messo al bando le donne con interpretazioni assurde della Sharia provocando la levata di scudi di Haqqani.
«È vero che all’interno del mondo talebano si contrappongono due linee: da una parte Haibatullah e dall’altra il figlio di Haqqani, ma il vero cambiamento potrebbe arrivare dalla nuova amministrazione Trump» spiega a PanoramaAdi Shokour, ex diplomatico di Kabul in esilio a Ginevra. «Il prossimo consigliere per la sicurezza nazionale, Mike Waltz, ha combattuto in Afghanistan. Cercheranno di far rispettare per intero gli accordi di Doha (che hanno portato al potere i talebani, ndr) sul terrorismo, ma anche per il governo di coalizione nazionale non solo talebano».Il ritratto del New York Times di Christina Goldbaum, che l’ha incontrato a lungo, è di un Haqqani conciliante sui diritti femminili, aperto al mondo e fra le righe pronto a tendere la mano agli americani. «Vent’anni di lotta jihadista ci hanno portato alla vittoria» dichiara. «Ora abbiamo aperto un nuovo capitolo di impegno positivo con il mondo e chiuso quello della violenza e della guerra».
Sirajuddin aveva preso ben presto il posto del padre organizzando una falange di aspiranti kamikaze, che hanno compiuto gli attacchi più sanguinosi e clamorosi nei 20 anni di presenza dalla Nato. Per finanziarsi la rete Haqqani, designata come gruppo terroristico dagli Usa nel 2012, aveva tentacoli nel mercato della droga, degli ostaggi e delle estorsioni in mezzo mondo arabo. E un rapporto sempre stretto con Al Qaida. Haqqani senior aveva combattuto con Osama bin Laden nella provincia di Khowst contro i sovietici negli anni Ottanta. Dopo la Caporetto afghana della Nato e il ritorno al potere dei talebani Haqqani si installa a Kabul ed il leader talebano Haibatullah a Kandahar, la «capitale» pasthun, come aveva fatto il mullah Omar. La sua cerchia è la vecchia guardia a cominciare da mullah Abdul Ghani Baradar, che era stato ministro della Difesa nel primo emirato. I «giovani» ribelli sono rappresentati da Haqqani e da Muhammad Yaqoob, il figlio del fondatore Omar. Zaki Kohistani, ex addetto militare all’ambasciata afghana a Roma prima del ritorno al potere dei talebani e tenente colonnello dei corpi speciali, non ha dubbi sullo scontro interno. «Haqqani sta assumendo il ruolo del “buono” contro il cattivo Haibatullah, ma in realtà sono tutti e due della stessa pasta» commenta l’ufficiale. «Nessuno ha riconosciuto l’Emirato, neanche Qatar e Turchia, i Paesi più vicini. Al contrario, hanno appena dichiarato che questo regime non è accettabile. Haqqani forse sta mettendo le mani avanti per preparare i suoi e la popolazione a un cambio o a una caduta del governo». In realtà i talebani sembrano saldi al potere e Haqqani, da quando è arrivato a Kabul, ha cercato di riciclarsi come «statista pragmatico» scrive il Times «diplomatico affidabile e una voce di relativa moderazione in un governo immerso nell’estremismo religioso».
Il primo terreno di scontro riguarda le restrizioni sempre più pesanti nei confronti delle donne, promulgate da Haibatullah. Diversi rappresentanti talebani come Haqqani non sono assolutamente d’accordo. L’anno scorso il ministro dell’Interno ha dichiarato in un discorso pubblico che la leadership dei talebani stava «monopolizzando il potere» e «danneggiando la reputazione» del governo. Pur negando sempre divisioni interne la fronda è evidente. Non solo: se il leader supremo dei talebani ha dichiarato guerra agli ideali occidentali, Haqqani si offre come «ponte» col resto del mondo. Personalmente o attraverso emissari ha allacciato legami con Paesi islamici, Russia, Cina e punta anche a recuperare il rapporto con gli Usa. Da giugno l’Onu ha sospeso il divieto a viaggiare per Haqqani e lui si è fatto subito immortalare mentre stringe la mano a Sheikh Mohamed bin Zayed Al Nahyan, che guida gli Emirati arabi uniti, davanti al suo palazzo ad Abu Dhabi. Nei contatti riservati con gli occidentali Haqqani ha usato la leva del «controllo» del terrorismo. Ayman al Zawahiri, il successore di Bin Laden alla guida di Al Qaida, è stato incenerito da un drone a Kabul in una villetta dependance del ministero dell’Interno. L’organizzazione terroristica ha arruolato nuovi adepti e mantiene le sue basi in Afghanistan, ma Haqqani garantisce che non ci sono pericoli di nuovi attacchi in Occidente come l’11 settembre.
Haibatullah ha reagito alla fronda riassegnando battaglioni che rispondevano ai talebani dissidenti e formando una guardia personale. «Avrebbe pure intimato ad Haqqani e al figlio di mullah Omar di restare fuori dalla gestione militare del Paese» osserva Shokour. E Kohistani rivela: «Abbiamo informazioni dall’interno che pezzi grossi dei talebani stiano acquistando case all’estero per un’eventuale via di fuga». In ottobre è stata nominata la nuova ambasciatrice italiana per l’Afghanistan, Sabrina Ugolini, che per ora opera da Doha. Il 7 novembre ha incontrato Muhammad Suhail Shaheen, il capo dell’ufficio politico talebano nel Qatar, una specie di ambasciata, per discutere di «sanità, assistenza umanitaria, agricoltura». Una settimana dopo, altro incontro di Shaheen con Rossella Miccio, presidente di Emergency, presente in Afghanistan da decenni.
Sul campo la resistenza armata ha aumentato gli attacchi. Nel terzo trimestre dell’anno se ne registrano 124, il grosso a Kabul ed Herat. Ben 94 sono stati rivendicati dal Fronte nazionale (Nrf) di Ahmad Massoud, 19 dal Fronte della libertà dell’ex generale Mohammad Yasin Zia e solo cinque sarebbero dell’Isis Khorasan. «La resistenza ha contatti diretti con l’entourage di Trump come Mike Waltz e anche il nuovo segretario indicato per il Pentagono. Ci aspettiamo che siano tagliati i tre miliardi di dollari arrivati finora in Afghanistan mascherati da assistenza umanitaria» ribadisce l’ex ufficiale dei corpi speciali legato a Massoud. Un’ampia fetta della diaspora punta a un accordo, rivela Shokour: «Ci sono gruppi organizzati come quello guidato dall’ex ministro degli Esteri, Hanif Atmar, che vogliono far uscire l’Afghanistan dal buco nero riprendendo in mano il negoziato per un governo di coalizione».