carro armato russia
(Getty Images)
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La guerra contro le fake news dall'Ucraina in mano sempre agli stessi (di sinistra)

Nella Task Force contro le fake news dall'Ucraina ci sono i soliti atlantisti, di sinistra, che a volte sbagliano

Si dichiarano indipendenti, lontani da politica e istituzioni, verificano le notizie, controllano le fonti ed emettono il verdetto che nel gergo da frequentatori post millenial del web si traduce in “bufala” oppure “panzana pazzesca”. Sono i “siti di fact checking” che a poche settimane dalla fine dell’emergenza da Covid, dopo essersi occupati per quasi due anni dell’infodemia sul virus, già si ritrovano a doversi districare in un flusso d’informazioni e falsità parimenti disorientante: quello creato dalla guerra in Ucraina.

È a loro che si rivolge la task force volta a monitorare le fake news sulla guerra ideata da EDMO, l’Osservatorio Europeo sui Digital Media nato nel 2020 grazie a 11 milioni di dollari messi sul tavolo dall’Unione Europea. Tra i 14 membri internazionali, ci sono due italiani come Gianni Riotta e il vicedirettore di Pagella Politica Tommaso Canetta che devono fare i conti con premesse che non sembrano brillare per specchiata equidistanza. Riotta, responsabile del laboratorio della Luiss sui big data, è reduce da un controverso articolo su Repubblica in cui aveva stilato un’ipotetica “lista di proscrizione” dei “putiniani” d’Italia, mentre i fact checker di Pagella Politica ad un programma radiofonico spiegavano che “non si può parlare di genocidio nel Donbass “perché 14mila morti non sono i 4 milioni di cui parla Putin”, forse ignorando che la definizione di genocidio non è quantitativa ma qualitativa. Non solo, a “evidenza” di quanto sostenuto citavano BBC e Washington Post come se il fatto che una notizia provenga da una testata angloamericana sia di per sé una prova.

Al netto di eventuali scivoloni e approssimazioni di sorta, quello che più colpisce è che la rete d’influenze in cui la task force si inserisce, sembra tutto fuorché neutrale e apolitica, a partire dal curriculum di Canetta, ex collaboratore di Mondodem, “laboratorio di idee” vicino al PD e a Lia Quartapelle. Vale la pena ricordare che gli strumenti del mestiere di fact checker, Canetta li aveva affilati misurandosi proprio con uno dei principali cavalli di battaglia della sinistra progressista che a quanto pare aveva tratto in inganno pure lui. Parliamo della vecchia storia messa in giro da Tito Boeri secondo cui gli immigrati ci pagherebbero le pensioni, forse una delle bufale meglio confezionate.Dall’occhio rigoroso di un fact checker, ci si sarebbe aspettati che la dichiarazione dell’allora Presidente dell’INPS, basata su numeri del tutto virtuali e ragionamenti puramente astratti, avrebbe ottenuto per lo meno un “ni” o un “ci sei quasi”, o magari un “pinocchio andante”. Non certo un trionfante “vero”. Invece, forse perché alle prime armi o perché un po’ distratto dall’ideologia, Canetta dimentica che la sostenibilità della presenza degli immigrati è determinata dai fabbisogni del mercato del lavoro ed è in relazione a questo che derivano eventuali effetti positivi sul sistema previdenziale, non certo il contrario come invece teorizzava Boeri.

TRA I FINANZIATORI ANCHE FACEBOOK SECONDO CUI E’ GIUSTO ELOGIARE IL BATTAGLIONE FILONAZISTA AZOV

Anche per i principali finanziatori di Pagella Politica, tra cui Meta, la società che possiede Facebook oltre a Instagram e Whatsapp, districarsi tra informazione e disinformazione è un non facile gioco di equilibri con i risultati che conosciamo. Quelli ad esempio di aver censurato per oltre un anno qualsiasi post sollevasse la possibilità che il virus Covid sia stato creato dall’uomo (salvo poi fare marcia indietro “alla luce delle indagini in corso”) o di aver bloccato eventuali post che mettevano in dubbio la notizia che i russi avessero attaccato la centrale nucleare di Zaporizhzhia prima ancora che la dinamica dei fatti fosse chiarita. Basta infatti guardare ad una cartina geografica per notare come l’amena località sia pericolosamente vicina alla parte filorussa dell’Ucraina per nutrire qualche perplessità rispetto a quanto raccontato per giorni a reti unificate, e magari non liquidare frettolosamente quanto aveva riportato l’agenzia Tass ossia che l’impianto fosse già in mano ai russi. Ipotesi che porterebbe a concludere che gli scontri sarebbero stati un tentativo degli ucraini di riprendersi la centrale a rischio di provocare un’esplosione.

Più politiche che ispirate a principi di imparziale analisi dei fatti sembrerebbero anche altre scelte portate avanti in questi giorni da Meta: mentre da un lato promette di fare il possibile per ridurre la visibilità delle notizie dei siti filogovernativi russi, dall’altro, in deroga alla propria policy su individui e organizzazioni considerate pericolose, dichiara di non oscurare i post che elogino il battaglione Azov, un'unità militare neonazista ucraina precedentemente bandita dalla piattaforma. "Per il momento, stiamo facendo una ristretta eccezione in merito alla celebrazione del Reggimento di Azov limitatamente al contesto della difesa dell’Ucraina o nel suo ruolo come parte della Guardia Nazionale Ucraina. Ma continuiamo a vietare tutti i discorsi d'odio, i simboli d'odio, l’incitazione alla violenza, il sostegno o la rappresentazione generica del Reggimento Azov, e qualsiasi altro contenuto che viola i nostri Standard della community", spiega a Panorama un portavoce Meta. Scelta che sembra trovare riscontro nella linea di molte sigle della galassia che afferisce a EDMO e al partner italiano IDMO (Italian Digital Media Observaotry) come RAI, TIM, Gruppo GEDI La Repubblica, Corriere della Sera, Fondazione Enel, Reporters Sans Frontières, e chiaramente sempre Pagella Politica e il lab di Riotta. Nonostante persino Wikipedia definisca il battaglione Azov un gruppo armato neonazista e per l’OCSE sia autore di “crimini di guerra e tortura”, nei servizi giornalistici di molte di queste testate, è ormai prassi comune considerarlo alla stregua di una fonte attendibile e affidabile.

Non del tutto imparziale sembra anche l’ambiente in cui si inserisce un altro grande finanziatore di Pagella Politica come l’International Fact Checking Network che nel 2020 gli avrebbe garantito 100 mila dollari nell’ambito di attività di verifica delle notizie sul Coronavirus tra le altre cose. Braccio commerciale del Poynter Institute, nonostante dichiari ai propri utenti di garantire assoluta indipendenza, l’IFCN vanta tra i propri finanziatori una costellazione di fondazioni e organizzazioni che figurano tra i principali supporter del partito democratico americano e di molte campagne di advocacy di stampo liberal: da Craig Newmark Philanthropies alla Bill & Melinda Gates Foundation, fino all’immancabile Open Society Foundation di George Soros e alla Omidyar Network, fondazione del miliardario Pierre Omidyar che ha collaborato a numerosi progetti attraverso la Tides Foundation, uno dei più grandi donatori di politici di sinistra negli Usa.

TASK FORCE A SENSO UNICO

Se la verità è la prima vittima della guerra, ci si aspetterebbe che una task force chiamata a sorvegliare sulla disinformazione scatenata dal conflitto, fosse pronta a monitorare la propaganda proveniente da entrambe le parti in causa. Dando un’occhiata ai curriculum dei partecipanti invece, è difficile non sospettare che la task force sia sbilanciata a ovest e abbia un solo obiettivo: disinnescare la propaganda russa. Del resto, uno dei membri, tale Globsec, lo dice chiaramente. Il think thank che vanta nel proprio board ex politici polacchi e sloveni, si appella direttamente alle big tech Facebook, Google, YouTube e Twitter chiedendo a gran voce che facciano “il possibile per intercettare tutte le false informazioni che circolano nel web e per prevenire la diffusione della guerra di propaganda russa”.

Solidi politici atlantisti di sinistra si ritrovano anche dietro al team di EudisinfoLab che vanta tra i propri dirigenti un ex segretario al commercio sotto Bill Clinton e l’esperta di disinformazione Camille Francois che era stata chiamata dal Senato USA per analizzare come la Russia avesse usato i social per manipolare il pubblico americano durante le elezioni del 2016 poi vinte da Trump nel contesto di quel Russiagate che si è rivelato la più grande fake news ignorata dalla maggior parte dei media. Non potrebbe essere diversamente del resto, visto che in questo groviglio di sigle, tra i membri di IDMO, figura anche l’Alliance of Democracies Foundation, un’organizzazione no profit fondata nel 2017 da niente popodimeno che Anders Fogh Rasmussen, segretario della Nato fino al 2014.

Chiariamo. Che una tale compagine di voci sia atlantista e di sinistra, è un’evenienza del tutto legittima ma in un conflitto che si configura come un chiaro scontro “Nato - Russia”, la presenza di posizioni così smaccatamente sbilanciate non è forse la premessa migliore per un’operazione di fact checking che dichiara di fare dell’imparzialità e dell’equidistanza una bandiera.



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Francesca Ronchin