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Scuola: genitori contro docenti. Il diario di un conflitto

Nei casi più gravi diventano vittime di violenza. Sintomo di una crisi profonda dove è in crisi il "patto educativo"

C’è la storia della madre che vendica il figlio di 8 anni aggredendo quella cattiva della maestra. C’è lo studente che placca il padre intento a darle di santa ragione al prof che ha osato rifiutargli la promozione. C’è il caso di Lodi, poche settimane fa, con la madre che avrebbe fatto incursione nella stanza della professoressa e vicepreside (sua figlia era stata sospesa), per poi rincorrerla, prenderla per i capelli, lanciarle una serie di oggetti inclusa una sedia, e infine rifilarle un pugno. E meno male che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, all’inaugurazione dell’anno scolastico che ora stiamo salutando, si era raccomandato: «Il genitore bullo non è meno distruttivo dello studente bullo». Invece la lista di questi brutti episodi si allunga sempre di più.

Potremmo raccontarne a decine, a centinaia accaduti in Italia nel tempo, ma in fondo si assomigliano tutti. Nella stagione 2017-2018 qualcuno ha calcolato che ogni quattro giorni si è consumato un caso di violenza a opera di genitori o studenti, e per l’anno in corso il numero di denunce non sarebbe da meno. Tanto che il 5 maggio è stato presentata in commissione Cultura della Camera una proposta di legge (primo firmatario il leghista Rossano Sasso) in cui si prevede che vengano «fortemente inasprite le pene per chiunque usi violenze fisiche e verbali nei confronti degli insegnanti durante l’esercizio delle proprie funzioni».

Quanti sono questi casi? Di statistiche ufficiali non ne esistono - i numeri risiedono nelle cronache delle aggressioni fisiche - ma il fatto è che la violenza è solo la componente più visibile di questa crisi dell’alleanza tra scuola e famiglia. Il grosso non si legge sui giornali ma si consuma nel chiuso dei colloqui individuali, quando si alza la voce contro professori e maestri, oppure riversando rabbia, frustrazioni e proteste sul preside di turno.

«In Italia ci sono oltre 8 milioni di studenti e circa 800 mila docenti: 30 o 40 episodi violenti l’anno sono una percentuale irrisoria, ma è ciò che esprimono a preoccupare» riflette Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola (Anp), la maggiore associazione di rappresentanza dei circa 8 mila dirigenti scolastici italiani. «Oggi la famiglia non attribuisce autorevolezza alla scuola e difende i figli dai suoi giudizi negativi, cioè dalla minaccia alla loro presunta serenità. Decenni fa se un bambino andava male gli si chiedeva conto del suo comportamento, i genitori di oggi - più ansiosi e iperprotettivi - chiedono conto al corpo docente».

E così fioccano lamentele, reclami, ingerenze nei metodi di insegnamento. Niente che finisca in tribunale, beninteso. È un conflitto a bassa intensità, capillare, con piccoli episodi in cui incappare è facilissimo. «Isola deliberatamente mio figlio», la lamentela di un genitore alla preside di una scuola elementare di Milano, zona 3, dopo che l’insegnante lo aveva cambiato di posto. «Per colpa vostra non abbiamo più una vita, in classe non spiegate niente mentre noi dedichiamo ai compiti ogni momento libero» l’accusa di un altro. Il professore di italiano di un liceo scientifico emiliano sospira al telefono ricordando quando si è sentito dire: «Il professore di matematica che c’era lo scorso anno era più capace di lei». «Eh sì che lavoro da vent’anni» commenta sconsolato.

Quantificare il fenomeno è davvero impossibile, anche se il portale degli studenti Skuola.net ci ha provato. In una ricerca del 2018 con un campione di 7 mila ragazzi di medie e superiori, è risultato che per l’8 per cento «uno o più genitori hanno insultato un professore». «Io di violenze non ne ho mai viste ma c’è un sottofondo di critiche e accuse continue a docenti e dirigenti, come la goccia che scava ogni giorno» conferma Raffaele Mantegazza, professore di Pedagogia all’università Milano Bicocca. «Quest’anno ho incontrato 5 mila ragazzi, so cosa accade. Ci sono i cosiddetti “genitori spazzaneve”, che si intromettono nella vita dei figli - spesso sono figli unici - per sgombrare la strada dai conflitti e risolverli al posto loro. Persone che si lamentano del metodo di studio del professore di inglese anche se fanno i farmacisti o i ragionieri. Ma come? Lasciamo che nostro figlio si formi per ore guardando stupidaggini su internet e poi ce la prendiamo con gli insegnanti?».

«Quando i figli si lamentano di qualcosa che accade in classe, come un rimprovero o una nota» racconta Elena Centemero, preside dei 1.450 studenti dell’Istituto comprensivo di Villasanta, vicino a Monza (due scuole d’infanzia, due primarie e una media), «i padri li spalleggiano. Non li riprendono. Non li accompagnano. E danno addosso al corpo docente, sostenendo che ce l’hanno con loro. Il genitore vuole conquistare il figlio, magari perché nella maggior parte dei casi i coniugi sono separati. Ma è una trappola che crea adulti incapaci di affrontare le difficoltà, le situazioni, la vita. Ci sono anche genitori in gamba, ma per lo più sono “figli con figli”, molto immaturi. Nei casi di comportamenti più gravi? Non si può più lasciar correre, l’Italia non può essere il Paese del buonismo. Ben venga l’inasprimento delle pene».

«Una volta c’era un altro rispetto per l’istituzione scolastica, c’era più disciplina» commenta Anna Oliverio Ferraris, psicologa dell’età evolutiva alla Sapienza di Roma e autrice di un libro che affrontava questo problema già nel 2014, Conta su di me. Relazioni per crescere (Giunti). Oggi capita che i genitori riversino sui figli e dunque sulla scuola frustrazioni e nevrosi, per questo sarebbe necessario istituire la figura dello psicologo scolastico». Il tema della psiche, delle nevrosi, dello stress (e delle reazioni anche più disperate, come si è visto nel caso del preside di Venezia morto suicida), è molto presente in questo scenario. Vittorio Lodolo D’Oria, esperto in malattie professionali dei docenti e autore di Insegnanti, salute negate e verità nascoste - 100 storie di burnout in cattedra (Edises), se ne occupa da 27 anni. «È dimostrato che l’80 per cento delle diagnosi che determinano l’inidoneità all’insegnamento per motivi di salute sono di tipo psichiatrico. Di cui un 90 per cento abbondante di tipo ansioso depressivo e 8 per cento a base psicotica o disturbo di personalità. Vanno di pari passo alla situazione mondiale. I francesi nel 2005 hanno dimostrato che gli insegnanti sono la categoria di lavoratori a maggior rischio di suicidio. Nel 2009 l’hanno dimostrato in Inghilterra. Nel 2015 in Germania. L’Italia questi dati non li ha ancora aggregati nonostante le richieste».

Ma al di là dei casi estremi, c’è la quotidianità, e i genitori... «Con un’aggressione verbale il docente arriva a subire la cosiddetta “sindrome post-traumatica da stress”. Inizia ad avere paura, è teso, sta male, si destabilizza». E se si sente abbandonato anche dal suo stesso preside, capita che decida di mollare tutto. Come ha fatto un’insegnante di diritto (ha chiesto di restare anonima), che pressata dalle «intemperanze» dei genitori degli alunni e sanzionata dalla dirigente scolastica, ha preferito licenziarsi e rinunciare alla supplenza annuale. «Parlavo in classe dell’illegalità e degli adolescenti condizionabili per l’uso delle droghe. Un’alunna si è lamentata col genitore perché ci ha letto un’accusa personale e anziché chiarirsi con me è andata dalla dirigente. La quale mi ha mandato una lettera di richiamo senza neanche sentire la mia versione. Non sa quanto mi sono sentita sola. La verità è che purtroppo oggi gli insegnanti non contano più: la scuola è in mano ai genitori».

E allora l’abbiamo raccolta, la testimonianza di uno dei genitori che «hanno in mano la scuola». E. D., milanese, 45 anni e un’unica bambina, racconta come ha convinto la maestra di italiano a cambiare idea su sua figlia nel giro di un colloquio. «B. non voleva più andare a scuola, era ossessionata da questa professoressa che l’aveva presa di mira. Per me quelli non hanno passione, non hanno verve pedagogica. Stanno lì a reprimere chi gli sta antipatico, a sfogare complessi e frustrazioni della vita privata. Invece andrebbero scelti i migliori laureati. Andrebbero pagati 6-7 mila euro al mese. Sono loro che accolgono i nostri figli fuori dalla famiglia, che li preparano ad affacciarsi nella società. Nelle loro mani ci sono gli italiani del futuro, oh! Così le dissi con una certa forza: “Lei ha un compito sacro, il suo lavoro è una missione, non un modo per avere un posto fisso con due mesi e mezzo di vacanza l’anno! Farò verificare mia figlia da alcuni specialisti nei prossimi 24 mesi, se dovessi riscontrare la benché minima forma di inibizione mentale, un qualunque problema derivante dal suo operato, le metto addosso un avvocato che la perseguirà legalmente. Non denuncio la scuola, o il ministero. La causa la faccio a lei!”. La maestra abbassò lo sguardo, da colpevole. Le volte successive mi disse: “Sua figlia va benissimo, è brava, partecipa...”. Sono sicuro di averle fatto provare una piccola scossa nella coscienza». Non pensa invece di averla intimorita? «No, no, ha capito».

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