Franco Presta
(Ansa)
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Franco Presta, boss della ‘ndrangheta cosentina, che parlava del 41-bis con Cospito

Ecco chi è il criminale che incitava Cospito nella sua battaglia contro il 41-bis

Da giorni al centro del dibattito politico c’è la questione di Alfredo Cospito, l’anarchico in sciopero della fame da più di 100 giorni contro il regime del 41-bis, il “carcere duro”. E le famose dichiarazioni di donzelli alla camera dei colloqui dello stesso Cospito a proposito del 41 bis con un boss della criminalità organizzata.

Non un boss qualsiasi, non un uomo qualunque; stiamo parlando di Fanco Presta, malavitoso con un curriculum poco invidiabile come racconta Arcangelo Badolati, il più autorevole studioso della mala cosentina, da un trentennio fecondo autore di ricerche che hanno spiegato come le cosche cosentine si siano trasformate da gruppi sciolti nel braccio cosentino della ‘ndrangheta calabrese.

Dottor Badolati, è sintomatico che uno ‘ndranghetista di peso come Franco Presta abbia scambiato battute con Cospito?

«Sintomatica è la pericolosità di questo ex latitante 63enne, rimbalzato agli onori della cronaca come un killer spietato di una delle cosche più violente della 'ndrangheta cosentina: per tali motivi era stato inserito nell'elenco dei 100 ricercati più pericolosi d'Italia, fino a quando, gli agenti della Mobile di Cosenza lo arrestarono il 13 aprile del 2012 in un appartamento a Rende, dalle parti dell’Università. Praticamente a casa sua…».

Lei ha ricostruito la storia della ‘ndrangheta cosentina: Presta ne fa parte di diritto?

«Assolutamente. Si tratta di un boss silenzioso, che non ha mai amato la ribalta. Sguardo impressionate, fisico atletico, noi cronisti lo definimmo “Lupo Solitario”: un “uomo di rispetto”, capace di incutere paura per le azioni portate a compimento o per quelle a lui riconducibili. Riuscì ad imporsi per efferatezza e spregiudicatezza una ventina d’anni addietro, esattamente quando le cosche cosentine, fino ad allora piuttosto autonome nel panorama calabrese, fecero il grande salo all’interno della più complessa organizzazione ‘ndranghetistica calabrese».

In che senso, ci perdoni?

«Per una circostanza semplice ed al tempo stesso inquietante per chi abita questa parte del territorio calabrese: è stato lui a portare la ‘ndrangheta nella parte nord della provincia di Cosenza. Ci riferiamo alla circostanza che è stato proprio Presta ad aver permesso che la mafia calabrese approdasse nell’area provinciale. Il boss emergente era riuscito, con numerosi fatti di sangue ed azioni spettacolari, a ridisegnare la geografia della criminalità cosentina con interventi chirurgici ma dal grande impatto mediatico. Sparirono, fisicamente, dalla scena criminale cittadina e dell’hinterland, capi e gregari della vecchia mala cosentina, quella maturata nei quartieri degli anni Settanta».

Lo ha descritto come efferato. Come per ogni boss della ‘ndrangheta che cerca visibilità…

«E’ stata la Procura distrettuale di Catanzaro, indagandolo per quattro omicidi, a tracciare il suo profilo criminale: quattro esecuzioni condotte secondo l’agghiacciante logica d’una sorta di “pulizia etnica” a cui la parte nord della Calabria assistette tra il 1999 e il 2002 all’epoca dell’avvio dei lavori di ammodernamento dell’autostrada del Sole. Presta era considerato interno ad una sorta di “direttorio” della ‘ndrangheta che dettava i tempi della vita di quel territorio. Solo che non eravamo nella Parigi rivoluzionaria, ma alle falde del Pollino, in Calabria».

Parlare di “pulizia etnica” è inquietante!

«Come non definire tale una vera mattanza ai danni di un’intera famiglia! Il 17 gennaio 2011 il figlio di Presta, Domenico, di 22 anni, venne ucciso a colpi di pistola a Spezzano Albanese, comune a nord della provincia di Cosenza: non durante un regolamento di mafia, ma al termine di una lite per un parcheggio. A freddare il giovane un commerciante del luogo, Aldo De Marco. Nel giro di un mese caddero sotto i colpi della vendetta Rosellina Indrieri, 45 anni, la figlia Barbara Indrieri, di 26, uccise in un comune limitrofo, a San Lorenzo del Vallo il 16 febbraio 2011, e anche Gaetano De Marco, fratello di Aldo, marito e padre delle due donne, ucciso il 7 aprile successivo in un agguato lungo l’autostrada, dopo essere scampato alla strage della propria famiglia».

Le cronache parlano di un terribile raid…

«Le due giovani donne vennero letteralmente massacrate, senza pietà, da una gragnola di proiettili dentro la loro abitazione: un gruppo di fuoco, penetrato dopo aver sfondato la porta d’ingresso in stile “commandos”, no lasciò loro scampo. Barbara, la più giovane, colpita alle spalle mentre cercava di fuggire dal balcone, venne trovata penzolante dalla ringhiera, appesa a testa in giù: fatti per i quali il boss non è stato però formalmente indagato».

Che Cospito parlasse in carcere con Presta potrebbe un valore simbolico: un messaggio?

«Saranno le indagini a rispondere a questa domanda: per intanto Franco Presta resta uno dei killer più sanguinari della ‘ndrangheta, uno dei primi ad essersi reso protagonista di omicidi efferati. Ce n’è per non stare tranquilli».

***

Arcangelo Badolati, reggino di Palmi, classe 1969, caposervizio della Gazzetta del Sud, è uno tra i più autorevoli studiosi della criminalità calabrese e, in particolare, di quella operante nella provincia di Cosenza. Le sue ricerche sono approdate nel fondamentale “Mamma ‘ndrangheta. La storia delle cosche cosentine dalla fantomatica Garduna alle stragi moderne” (Pellegrini, 2014), in cui spiega il salto di qualità della criminalità cosentina da mala di quartiere a ‘ndrangheta.

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Egidio Lorito