Countdown verso il referendum in Crimea
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Countdown verso il referendum in Crimea

Sul voto per l’annessione alla Russia il diritto all’autodeterminazione si scontra con la Costituzione. La variabile è una soltanto: il governo e il parlamento di Kiev sono legittimi?

per  Lookout News

La domenica che ci siamo lasciati alle spalle è trascorsa da un lato all’insegna della tensione (con manifestazioni pro e contro i russi in numerose città, dove la popolazione è anche venuta alle mani) e, dall’altro, è stata caratterizzata da intense conversazioni telefoniche tra i leader mondiali. Tra queste, una in particolare spiccava per rilevanza: il colloquio tra il presidente russo Vladimir Putin e il cancelliere tedesco Angela Merkel, la più rilevante (e interessata) voce in capitolo sulla crisi in corso nell’Est europeo.

La Merkel, che ben conosce cosa significhi vivere in un Paese diviso, ha voluto sottolineare che il referendum che si terrà il 16 marzo prossimo è “privo di legittimità costituzionale e contrario al diritto internazionale”, affermazione in cui è stata supportata dal premier britannico David Cameron. Su questo presupposto, la conversazione tra Berlino e Mosca non dev’essere progredita poi molto, visto che Putin ha risposto invece che il referendum “rifletterà i legittimi interessi del suo popolo” ed è poi passato dalle parole ai fatti, procedendo nell’occupazione armata dell’aeroporto di Saki, nell’Ovest della Crimea e - secondo fonti ucraine - anche di quello di Dzhankoy, nel Nord della penisola.

Telefonata Merkel-Putin: in cauda venenum

Prima di attaccare la cornetta, Putin ha voluto sottolineare alla Cancelliera anche un altro aspetto, a suo dire assai importante: la componente di estrema destra che soffia sul fuoco della crisi politica del Paese e che ha giocato un ruolo di primo piano nelle proteste di Kiev. Per un presidente russo, giocare con un leader tedesco la carta dei radicali nazionalisti - che velatamente sottintende la presenza di neo-nazisti - è al tempo stesso un colpo basso ma anche un’argomentazione assai delicata. Dev’essere anche per questo che la Merkel definisce in queste ore Vladimir Putin come “fuori dalla realtà”. E può anche darsi che il numero uno del Cremlino stia vivendo davvero rigurgiti da Seconda Guerra Mondiale e che si stia sinceramente convincendo che ricomporre una versione aggiornata dell’Unione Sovietica sia possibile.

Di certo, la notizia diffusa dal vice primo ministro della regione autonoma di Crimea, Rustam Temirgaliyev, circa la costruzione a ritmi elevatissimi di un ponte che congiungerà la cittadina di Kerch (Crimea) a Krasnodar (Russia) per il passaggio di merci e persone, la dice lunga sulle reali intenzioni di Mosca circa la Crimea. Buona parte del traffico ferroviario da e per la Russia passerà dunque per lo Stretto di Kerch non appena possibile, anche per evitare i blocchi predisposti dai Paesi occidentali, che già hanno avuto qualche effetto sulla Crimea: il governo di Kiev ha, infatti, bloccato il sistema elettronico della Tesoreria della regione, congelato i conti della repubblica autonoma e sguinzagliato la polizia di frontiera ai confini della penisola.

Referendum in Crimea: che dice la Costituzione?

Ciò detto, di regola starebbe alla legge suprema nazionale stabilire quanto un referendum sia valido. Dopo che il parlamento autonomo della Crimea ha votato in favore dell'adesione della regione alla Russia come soggetto integrato nella Federazione, il referendum popolare del 16 marzo ne sancirà definitivamente l’annessione. Almeno, questo è nelle intenzioni dei proponenti.

Ma cosa dice la Costituzione dell’Ucraina in merito? Nel Titolo X e XI della Carta costituzionale adottata dall’Ucraina nel 1996, si specificano le competenze della Repubblica Autonoma di Crimea. L’articolo 138 prevede la possibilità di “organizzare e tenere dei referendum locali” per la regione autonoma, ma non fa alcun riferimento a modifiche territoriali. Questo perché l’articolo 73 della Costituzione stabilisce preventivamente che “le modifiche del territorio dell’Ucraina possono essere svolte unicamente attraverso un referendum che coinvolge tutta l’Ucraina”, ovvero un voto dove è chiamato a esprimersi l’elettorato universale e non una sola regione.

Se nel 2004 furono votati alcuni emendamenti alla Costituzione (anche del Titolo X e XI) inerenti allo “svolgimento di elezioni regolari”, essi riguardavano però la durata del mandato parlamentare e presidenziale e quello dei componenti delle assemblee delle autonomie locali. La riforma approvata nel 2004 fu poi dichiarata illegittima dal Giudice Costituzionale che è l’Istituzione preposta a esprimersi sulla conformità e sui requisiti di costituzionalità, in base all’articolo 159 della Carta medesima.

Sulla questione referendaria, ancor più netto è l’articolo 157, dove si prevede che “la Costituzione dell'Ucraina non può essere modificata, se gli emendamenti prevedono l'abolizione o la limitazione dei diritti e delle libertà dell'uomo e del cittadino, o se sono finalizzati alla liquidazione dell’indipendenza o alla violazione dell'integrità territoriale dell'Ucraina”. E il legislatore aggiunge, di seguito, che la Costituzione dell'Ucraina “non è modificabile neanche in condizioni di legge marziale o di stato di emergenza”.

Conclusioni

La fine dello strapotere di Viktor Yanukovich sancito poi dalla Rada (il Parlamento ucraino) in seguito alla fuga del presidente, di fatto ha riportato oggi il Paese alla Costituzione del 2004, ovvero a quella non ancora emendata dalla maggioranza fedele a Yanukovich. Pertanto, se consideriamo legittimo quanto avvenuto a Kiev e nel resto del Paese, di conseguenza dobbiamo affermare che il parlamento e il governo dell’Ucraina hanno ragione di ritenere incostituzionale il referendum. Vale il principioPacta sunt servanda.

Viceversa, se si fosse trattato di un colpo di Stato, ci troveremmo in una condizione “meta-costituzionale” in cui il nuovo governo sarebbe da considerarsi non ancora riconosciuto e, conseguentemente, esso non avrebbe titolarità per impedire un voto referendario popolare. Dovremmo così appellarci al diritto internazionale per trovare una soluzione. E varrebbe allora un altro principio: Sic stantibus rebus. Stando così le cose, la Crimea avrebbe ragione di voler decidere autonomamente il proprio futuro.

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Luciano Tirinnanzi