Il coraggio di Reginald Green
ANSA / ANTONIO NARDELLI
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Il coraggio di Reginald Green

In questo periodo di "beatificazioni" sospette un uomo ci riporta all'equilibrio. Senza urlare, tra il silenzio generale

Certi processi di "beatificazione" coram populo hanno, talvolta, un destino segnato. Prendete il tifoso Ciro Esposito, ucciso in uno scontro tra ultra' prima della partita Roma-Napoli di qualche tempo fa. Intendiamoci bene, il rispetto doveroso verso una giovane vita stroncata forse per un mero destino avverso, non rileva quanto alla necessita' di fare chiarezza su certe stimmate di santita' attribuite con un'approssimazione degna della miglior politica degli annunci.

Manifestazioni, copertine, articoli di stampa a getto continuo e l'immancabile figura materna che assurge a simbolo di coraggio. Quale coraggio? forse lo stesso che potrebbe avere animato le tante madri a cui il destino di cui sopra ha privato dell'amore di un figlio in maniera piu' anonima anche se non meno tragica. Ma il calcio, si sa, sublima le storie improbabili, incorona potenziali diseredati a tycoon della pedata, copre con la scusa del razzismo l'imbecillita' congenita di calciatori di colore non dissimile, anzi uguale a quella di colleghi bianchi.

Il calcio dunque, nel nome del quale una morte tragica quanto episodica diventa motivo di culto e venerazione. Fino a stamattina ne avevamo preso atto con silente rassegnazione. Ma oggi la mamma di Ciro Esposito fa un cattivo uso del suo coraggio e dell'estemporanea notorieta' uscendosene con la frase esemplare di cio' che stiamo scrivendo: "invece di arrestare chi ha ucciso mio figlio arrestano Gennaro".... E Gennaro chi viene da dire, proprio "la carogna"? Di Genny "scent of camorra" parla la signora? Oh ma che squisito e sensibile pensiero. In fondo e' stato arrestato proprio per fatti molto intimi alle tragedie da stadio, quell'humus tra follia e malavita dove originano morti come quelle di suo figlio o dell'ispettore di polizia Raciti, insieme a mali endemici di un mondo vacuo che solo il collante dell'interesse economico e della pax sociale riesce ancora a tenere a galla. Forse un pensiero dal sen fuggito, forse un riflesso pavloviano, forse una malintesa solidarieta' di quartiere. Forse.

Certo e' che ha riportato alla ribalta sensazioni che si erano appena riassorbite dopo la morte di Davide Bifolco e la cappella abusiva eretta in suo onore. E' vero, in questi tempi di relativismo su scala globale i limiti tra sacro e profano non sono piu' evidenti. Tra demonio e santita' il piu' venerato e' sicuramente il primo. E nella logica di certi codici di giustizia il carabiniere che ha sparato a Bifolco in fuga con latitante al seguito andrebbe consegnato "10 minuti" al fratello del morto e i suoi compari. Oppure con quel galantuomo di Genny una qualche indulgenza plenaria, sempre a furor di popolo si dovrebbe imporre.

A fronte di un'istantanea di tale disarmante squallore, giganteggia la figura di un anziano signore americano, Reginald Green, al quale vent'anni fa una pallottola, anch'essa vagante, ha strappato il figlio di sette anni, Nicholas. E non su uno scooter in tre o al seguito di qualche carovana di esagitati. Voleva solo vedere con i suoi occhi Scilla e Cariddi e dare corpo alle sue fantasie di bambino sull'epica di Ulisse. Da quel giorno Mr. Green e' tornato tutti gli anni in Calabria ripetendo, come un mantra, "non e' stata la Calabria". Nessuna animosita', nessuna rivendicazione e non poteva essere diversamente. Grazie Mr. Green per averci ricordato che certe differenze contano.

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