Dottor Bashar, Mister Assad
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Dottor Bashar, Mister Assad

Non doveva essere lui, ma il fratello, a raccogliere l'eredità paterna: accolto agli albori come un riformatore giovane e cosmopolita, il capo di Stato siriano si è trasformato per tutti in un enigma - La deadline di Obama - Ma i sondaggi bocciano la guerra a Damasco

L'accusa di avere utilizzato armi chimiche è «un insulto al buon senso», ha detto il presidente siriano Bashar al-Assad, in un'intervista rilasciata al giornale russo Izvestia. Il suo regime è accusato di avere utilizzato il gas nervino , proibito dalle convenzioni internazionali, lo scorso 21 agosto, e di avere così massacrato centinaia di persone nella capitale, Damasco. E adesso gli Stati Uniti minacciano di rispondere con un'azione militare: «La legge internazionale non può essere violata senza conseguenze», ha detto il Segretario di Stato John Kerry.

 ISPETTORI AL LAVORO
Assad, come prevedibile, si dichiara “innocente”. Dopo avere temporeggiato per quasi una settimana, ha acconsentito a fare visitare le aree colpite da osservatori delle Nazioni Unite, che però hanno avuto solo 90 minuti per raccogliere testimonianze e campioni di tessuto, e si sono anche visti sparare contro (non è accertato se i cecchini fossero filo-governativi). L'attacco chimico c'è stato o no? Gli ispettori Onu devono ancora pronunciarsi, ma gli Stati Uniti hanno già deciso: «armi chimiche sono state usate in Siria» ha detto Kerry. Che poi ha aggiunto: «Il Presidente prenderà una decisione informata su come rispondere a questo uso indiscriminato di armi chimiche»

IL DUBBIO SU ASSAD E ARMI CHIMICHE
Il fatto è che l'America deve fare qualcosa. Anche se non ha molta voglia di intervenire. Finora l'amministrazione Usa aveva lasciato intendere che avrebbe lasciato correre in Siria, purché il regime non avesse utilizzato armamenti non convenzionali. Proprio un anno fa Barack Obama aveva avvertito che l’utilizzo di armi chimiche costituiva, per l’amministrazione americana, una linea rossa.
Allora perché ricorrere alle armi chimiche? E proprio adesso, mentre pare che le truppe governative siano riuscite a guadagnare terreno rispetto ai ribelli...

Gli scettici fanno notare che qualcosa, dal punto di vista meramente razionale, non quadra: «Per quale ragione Assad avrebbe dovuto usare le armi chimiche, sapendo da tempo che Obama non le avrebbe tollerate?», ha scritto per esempio Marcello Foa del Giornale. «È come se un conducente lanciasse l’auto a 200 km all'ora in una zona in cui il limite è 80, pur essendo stato informato della presenza di un autovelox e, dietro l’angolo, di un posto di blocco. Non ha senso».

Eppure, dal punto di vista del regime siriano, un senso l'utilizzo del gas nervino potrebbe avercelo. Le spiegazioni sono due. Forse Assad ha commesso un errore di valutazione, convinto che Obama non avrebbe preso provvedimenti concreti. Oppure ha voluto provocare gli Usa. Una cosa che, per quanto strano possa sembrare, rientra nel modo di pensare di Assad. Che, come riferiscono suoi ex collaboratori passati dalla parte dell'opposizione, è convinto che la sua forza consista proprio nella sua capacità di essere sopravvissuto, in più occasioni, agli attacchi dell'Occidente.
Questo potrebbe essere il ragionamento di Assad: se gli americani e i loro alleati (principalmente: Regno Unito, Francia e Turchia) dovessero lanciare un'operazione militare contenuta, dati i rischi e costi, e se il regime siriano dovesse sopravvivere (ipotesi non del tutto campata in aria, anche se come molti altri tiranni anche Assad tende a sopravvalutare le sue forze)... insomma, se ci fosse un'azione dell'Occidente ma il regime restasse in piedi, ne uscirebbe rafforzato.

In fondo, è questa la storia di Bashar al-Assad: un dittatore giovane, salito al potere ad appena 34 anni, che inizialmente era considerato un leader relativamente debole, all'interno del complesso regime siriano; ma che si è rafforzato, nel corso degli anni, proprio grazie alla sua capacità (o fortuna, direbbero i maligni) di resistere agli attacchi dell'Occidente. Che almeno per due volte ha cercato di eliminarlo, ma, per il momento ha sempre fallito.

L'UOMO CHE NON VOLEVA FARSI RE
E pensare che Bashar non avrebbe neppure dovuto essere il presidente della Siria. Secondo figlio maschio dell'ex presidente Hafiz al-Assad, il demiurgo dell'attuale regime siriano, per lui la famiglia aveva programmato una vita tranquilla, laurea in medicina e studi all'estero. Divenne l'erede di Hafiz solo per caso, quando suo fratello maggiore Basil, che peraltro era molto più popolare di lui, morì in un incidente. Quando salì al potere poco più che trentenne, dopo la morte del padre, nell'estate del 2000, i primi anni li trascorse sotto l'ala protettrice dei vecchi notabili della dittatura siriana: «Hafiz ha creato il regime, ma è stato il regime a creare Bashar», raccontava un diplomatico a Damasco.
In un primo momento, alcune cancellerie occidentali si erano illuse che il giovane presidente avrebbe riformato il regime, aprendolo al mondo esterno. E, in effetti, Bashar qualche riforma la fece, durante la cosiddetta “primavera di Damasco”, breve stagione di apertura. All'indomani dell'Undici Settembre, poi, collaborò con l'amministrazione di George W. Bush nella repressione di al-Qaeda, nemica di entrambi.
Poi, però, la guerra in Iraq cambiò le cose. Assad cominciò a sostenere i ribelli, mentre nel contempo continuava ad ammassare armi chimiche e finanziare le milizie che attaccavano Israele, come Hamas e Hezbollah. Risultato? La Siria finì nella lista di “Stati Canaglia” degli Stati Uniti e il Congresso americano passò nel 2002 il Syria Accountability Act, in cui si intimava alla Siria di interrompere il sostegno ai terroristi e abbandonare il programma di armamenti non convenzionali, pena ritorsioni.

UOMO DALLE SETTE VITE
L'isolamento di quel periodo ebbe due effetti su Assad. Per prima cosa, sentendosi “accerchiato”, il giovane presidente abbandonò ogni tiepida velleità riformatrice. E, in secondo luogo, si sentì rafforzato. Perché alle minacce dell'America non seguirono i fatti. Anzi, messi in difficoltà in Iraq, gli Usa furono costretti ad ammorbidire la loro posizione sulla Siria, senza che Assad facesse nulla: fu la stessa Condoleezza Rice ad aprire al regime. Dal punto di vista di Bashar, una vittoria.
La Siria conobbe un secondo periodo di isolamento internazionale intorno al 2005, dopo l'assassinio di Rafiq Hariri, l'ex primo ministro libanese, molto amico della Francia, vittima di un attentato a Beirut. Le prime indagini delle Nazioni Uniti puntavano il dito contro Damasco. Parigi e Washington presero la questione molto sul serio e fecero per un po' la voce grossa... ma anche qui la cosa cadde nel nulla.
Non solo, l'anno successivo la vittoria di Hezbollah, milizia filo-siriana, contro Israele, diede nuovo prestigio al regime. E, sempre in quell'anno, gli Stati Uniti subirono perdite gravissime in Iraq... cosa che li portò, nuovamente, a fare i conti con il fatto che, senza la Siria il pantano iracheno non poteva essere risolto. Risultato? Ancora una volta Bashar ne è uscito rafforzato.
Ormai era una figura sdoganata in Europa e persino ammirata nel mondo arabo. Nel 2008 ha incontrato Sarkozy a Parigi, nel 2009 ha invitato a cena Brad Pitt e Angolina Jolie, che stavano visitando i profughi iracheni in Siria, e sempre nel 2009 è la “personalità dell'anno”, secondo un sondaggio di Cnn Arabic. Nel marzo del 2010 è nominato Cavaliere di Gran Croce dal presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano.
Poi, le proteste in Siria, esplose nella città di Daraa nel marzo del 2011, hanno cambiato tutto. Fin dall'inizio, Bashar ha scelto di reprimerle nel sangue. E, nel giro di poco tempo, è riuscito non solo a fare tornare la Siria uno “Stato canaglia” per le democrazie occidentali, ma anche ad alienarsi alleati come la Turchia e il Qatar.

Assad è convinto di potere superare anche questa crisi, di potere risorgere una terza volta dalle sue ceneri. Questa volta, però, i suoi nemici sembrano molto più agguerriti, e il suo regime è esausto da due anni e mezzo di guerra civile. Probabilmente sta sopravvalutando le sue forze. Ma i tiranni, si sa, non brillano per modestia.

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Anna Momigliano