Sequestrato il leader libico Zeidan; ritorsione contro gli Usa?
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Sequestrato il leader libico Zeidan; ritorsione contro gli Usa?

Dietro al clamoroso atto vi sarebbe una ritorsione per la complicità del primo ministro nel blitz dei Navy Seals USA che cinque giorni fa hanno rapito Al Liby

per LookOut News

Il premier libico Ali Zeidan è stato rapito nella capitale Tripoli poche ore fa, da un gruppo di uomini armati che lo hanno prelevato con la forza prima dell'alba dall’Hotel Corinthia. Anche se un comunicato del governo afferma ancora che il premier è stato prelevato “da un luogo sconosciuto per ragioni sconosciute”, Un testimone riferisce però che il luogo sarebbe proprio il Corinthia e aggiunge che nessuno è rimasto ucciso nel blitz. 

Dubbi sul tipo di sequestro ve ne sono molti: alcune fonti, infatti, imputavano inizialmente il sequestro di Zeidan a un gruppo di ribelli qaedisti o terroristi stranieri, che cercano di destabilizzare la Libia. Non sembra essere precisamente questa la realtà. 

Altre fonti attribuiscono il rapimento al sedicente gruppo “Camera dei rivoluzionari di Libia” ma nessun elemento porta a ritenere che il sequestro sia opera di “uomini del governo che rispondono al ministro dell’interno”, con ciò ipotizzando un golpe in atto nel Paese ad opera del titolare di quel dicastero. 

Si tratta, in questo caso, del vecchio equivoco sulla Libia: non esistono truppe leali al governo diverse da quelle arruolate ufficialmente. Chi risponde al ministero dell’Interno e della Difesa sono soltanto quelle milizie che, non senza difficoltà, il governo stesso ha proceduto a inquadrare a partire dalla caduta del colonnello Gheddafi, avvenuta nell’ottobre del 2011.

Altre fonti ancora riferiscono che l’arresto del premier libico Ali Zeidan sarebbe stato compiuto in esecuzione di un mandato della Procura Generale, ma l’ufficio del procuratore di Tripoli ha smentito di aver emesso alcun mandato e non sembra questa la dinamica di un regolare arresto ordinato dalla magistratura.

- Le accuse agli americani

Si tratterebbe allora di una ritorsione diretta contro lo stesso premier per il suo coinvolgimento nell’arresto di pochi giorni fa di Anas Al Liby (vero nome Nazih Abdul Hamed al Ruqai, ritenuto una delle menti dietro gli attentati dell’ambasciata statunitense del 1998 che uccise più di 220 persone in Kenya e Tanzania), avvenuto ad opera dei Navy Seals degli Stati Uniti d’America che con un blitz in territorio libico hanno catturato il presunto terrorista di Al Qaeda.

Salutato come un grande successo dall’Amministrazione Obama (ancora alla ricerca della popolarità perduta), sarebbero state le imprudenti parole del Segretario di Stato americano, John Kerry, a scatenare l’arresto odierno del premier Zeidan: dopo il sequestro di Al Liby, infatti, il titolare degli esteri USA aveva rivendicato il colpo affermando che il governo libico - e dunque il suo premier - erano “al corrente di tutto”. 

Forse John Kerry voleva evitare precedenti polemiche avvenute in analoghe situazioni: come nel caso del blitz che uccise Osama Bin Laden in Pakistan, quando il governo americano lasciò all’oscuro di tutto l’intelligence pakistana e il presidente Zardari usò parole di fuoco contro gli americani, che contribuirono a incrinare il rapporto tra USA e Pakistan.

Queste parole avrebbero così scatenato la reazione di alcune fazioni interne all’establishment contro il primo ministro, reo di aver lasciato che un Paese straniero gestisse un rapimento in casa propria. Pur dovendo mantenere molta prudenza sulle ragioni del gesto clamoroso, ogni minuto che passa appare sempre più evidente la connessione tra il rapimento di Anas Al Liby e il sequestro del premier libico, Ali Zeidan.

- Le milizie in Libia

La Libia, nel vuoto di regole e di potere lasciato in eredità dalla caduta del colonnello Gheddafi, nel procedere a ricostituire l’amministrazione dello Stato, ha progressivamente inglobato gli uomini dei clan che in precedenza avevano combattuto la guerra civile ciascuno per la propria parte (e che, per tale ragione, erano armate e pericolose), allo scopo di difenderne le nascenti nuove istituzioni del Paese.

Il governo aveva puntato all’assorbimento delle truppe ex combattenti piuttosto che procedere alla smobilitazione generale delle forze ribelli, proprio per evitare che la Libia conoscesse una seconda guerra civile o un’ingovernabilità prolungata. 

Il punto è che, in ogni caso, queste milizie corrispondono ancora ai clan radicati nel Paese o a organizzazioni islamiste e non basta ricevere uno stipendio per far dimenticare loro le proprie origini o per fingere che la Libia non sia composta da almeno tre anime - che, tentando una semplificazione estrema, corrispondono territorialmente a Cirenaica, Tripolitania e Fezzan - da sempre invise a governi forti e centralizzati. 

Poteri endemici - regionalisti, jihadisti e di stampo mafioso - si sono scatenati sin dalle prime ore del rovesciamento del clan Gheddafi e oggi s’intrecciano in un Paese sempre più preda di contrabbandi di armi e uomini, che fanno della Libia una terra di nessuno dove proliferano i signori della guerra e dove comanda la legge del denaro.

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Luciano Tirinnanzi