Nesli
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Musica

Nesli: "Il dolore? Un'opportunità se lo consumi"

Il cantautore di Senigallia torna con un cd/dvd live e con il suo primo romanzo per Mondadori. "Entrambi i progetti parlano molto di me"

Raggiungo Nesli in Mondadori, a Milano. Poche ore dopo, ci sarà il suo primo instore e la prima presentazione al pubblico del nuovo album “Andrà tutto bene - live edition” (esce oggi per Universal Music) e del suo primo libro “Andrà tutto bene” (in uscita il prossimo 8 settembre per Mondadori). È felice, non vede l’ora di rincontrare i fan che fin dal mattino sono appostati in piazza Duomo. Riceve per la prima volta tra le mani il suo libro: “L’avevo sempre visto sul computer; sembra il libro di uno scrittore vero!”, esclama stupito.

Iniziamo con il cd/dvd. Da dove è nata l’idea di pubblicarlo?

È stata una tournée pazzesca. Ho cantato in location prestigiose: per uno che fa questo mestiere quei palchi sono un grande punto di arrivo (ma anche di partenza). Abbiamo deciso di pubblicare questo album anche per il set che c’era: una band al completo, con un suono grande, importante. Mi sono detto: “È il momento per riprendere tutto”. A dir la verità non sono mai stato un grande fan dei dvd classici che ti riportano la serata. Mi piaceva che avessero il sapore del video, un po’ cinematografico. Questo è stato il tour che ci ha permesso di fare tutto questo. Per la band, per il suono, per la location e proprio per come è stato strutturato (addirittura anche per la scelta della scaletta). Per chi mi segue da molto, la scaletta consacra tanti momenti e tante canzoni, per uno che invece mi conosce da poco regala una finestra sul mio mondo musicale.

Dici spesso che “Andrà tutto bene” è un mantra molto importante per te. Ma da cosa nasce? È un autoconvincimento?

È nato da una serie di episodi un po’ negativi del tour “Andrà tutto male” (scherza, ndr). Io sono un “darkettone ottimista”, penso tanto ma alla fine il risultato è sempre propositivo e costruttivo. Questo mantra mi ha aiutato perché io avevo un background musicale molto dark e pessimista. A un certo punto mi sono detto: “Basta! Quella cosa lì l’ho consumata”. Applicato su di me ha funzionato, è un convincimento. È anche una scelta rivoluzionaria, una follia. 


Nelle tue canzoni parli molto di dolore. Che valore ha per te? Quando diventa un’opportunità per ripartire?

Inizio rispondendoti alla seconda domanda. Il dolore diventa un’opportunità quando lo consumi, quando lo vivi tutto. Non sono di quelli che, se accade qualcosa che non era preventivato, allora non vivono le situazioni. Mi piace consumarle, viverle tutte, fino in fondo, esaurirle. La mia scelta è sempre stata quella. Ogni capitolo, ogni pagina, sono tutte collegabili alle canzoni che ho fatto. Il dolore è sempre stato per me un processo creativo: se sei pienamente felice non credo che fai musica. È un motore forte per il processo creativo perché forse ti inchioda a pensare. Io sono sempre stato uno molto tormentato e quando ho capito che tutto quel processo di dolore avrebbe potuto aiutare il mio processo creativo, ho sempre avuto il terrore di essere felice. E quando mi trovo ad essere troppo felice, suona un campanello in me e mi dice: “Non va bene, poi non scrivo”. È un vortice maledetto che però mi appartiene. Non posso separarlo da me.

E questo vortice ti permette di goderti i momenti più piacevoli?

Sì, in particolare i momenti della creazione e della soddisfazione che mi dà, una volta creato qualcosa. Essere qui a parlare con te di questa cosa è il risultato di quel processo. E quindi sì, hai detto bene, hai la possibilità di essere felice perché vieni dall’esatto opposto. Mi dà un perfetto equilibrio. 

La scelta di scrivere il tuo primo libro rientra in questo processo di consumo del dolore? Quando hai deciso di iniziare questo progetto?

Sì, anche se per me è più istintivo e immediato consumarlo con le canzoni. Scrivere un libro è difficile, è un processo lungo che ha pochi momenti di getto e di divertimento. Il resto è elaborazione e bisogna avere un minimo di nozioni di narrativa, un minimo di ordine, ecc. Tutte cose che io non avevo e che ancora non ho. Il libro è nato grazie a tanti momenti di getto e di istinto (come quando scrivo le canzoni) ma poi c’è stato un processo abbastanza lungo di ricerca di ordine. In questo devo ringraziare Valentina Camerini che mi ha aiutato ed è diventata una cara amica, perché con lei si è consumato un vero e proprio processo di analisi. Mi ha aiutato a fare ordine nel tanto materiale che avevo. Ti dirò: più che scriverlo, mi ha aiutato rileggerlo. Ed è stato un trauma. È stranissimo rileggersi così. 


Stai continuando a scrivere canzoni, magari per altri cantanti?

Sto scrivendo. Scrivo sempre tanto. In realtà il deterrente è sempre quello di cercare di non scrivere troppo. Anche perché se scrivi tanto hai anche l’esigenza di sentire realizzati prima o poi tutti quei brani. La mia esigenza di andare in studio ora è prematura: è appena uscito questo disco. Comunque ho pronti tanti nuovi pezzi, in particolare piano e voce. 

Sei pieno di tatuaggi. Quando hai iniziato a farlo? Che valore hanno per te? 

Vedere che tanti miei fan si tatuavano le mie frasi, mi ha dato una stranissima sensazione. Io non avevo neanche una goccia di inchiostro addosso. Ma più che da lì - come spiego nel libro - tutto è nato perché volevo un cambiamento fortissimo, un cambiamento rivoluzionario. I miei tatuatori sono diventati molto miei amici. Con loro è nata questa cosa bella: hanno interpretato me e i miei pensieri e questo ha reso possibile l’idea di tela umana che affascinava me e affascinava molto anche loro. È stato un processo (lunghissimo e fighissimo) di scambio, perché sono artisti: lo rifarei altre mille volte. 

Hai paura del “per sempre” dell’inchiostro sulla tua pelle? 

No, perché è anche “mai”. Venendo dall’opposto, il “per sempre” è anche “mai”. Io dicevo “non mi tatuerò mai”. E “mai” ha lo stesso valore del “per sempre”, anche perché non avevo nemmeno una goccia di inchiostro e ora è come se me lo avessero colato addosso. 

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Giovanni Ferrari