MacBook, come si comporta in viaggio
Marco Morello
Tecnologia

MacBook, come si comporta in viaggio

La nostra prova del nuovo sottilissimo notebook di casa Apple. A Tokyo, a 10 mila chilometri di distanza dall'Italia (volo di andata incluso)

Il Boeing 777 diretto a Tokyo brontola e oscilla prima di alzarsi verso le nuvole, lasciandosi alle spalle l’ordinario caos di Fiumicino. Una mezzora scarsa per salire in quota, poi il messaggio di benvenuto gracchia il lasciapassare tecnologico con la sua logora formula standard: «Da questo momento potete utilizzare i vostri dispositivi elettronici».

Il dispositivo elettronico in questione sonnecchia nella tasca centrale di uno zaino piccolo, reclamando un ingombro minimo in mezzo a qualche cavo, un libro, una merendina stra-ipercalorica che tiene alla larga lo spettro di un pranzo di bordo immangiabile. Una mossa piena d’abitudine ed è già acceso sul tavolino dell’aereo. Inconsueta, invece, è la reazione di alcuni passeggeri tutto intorno. Come durante i primi giorni d’uso dell’iPhone 6 Plus che calamitava sguardi per strada, anche il MacBook scatena curiosità, ammirazione, probabilissima (e legittimissima) invidia. Spezzando, con il suo grigio siderale, il conformismo di lungo corso dell’argento Apple.

Un ragazzo giapponese sulla ventina, occhiali extra-large e maglietta attillata, posto esterno e cuffie Beats sbilenche dietro la nuca, prende coraggio. Si alza, s’avvicina, farfuglia: «Can I?». Può, certo. Lo prende, lo soppesa, aggiunge annuendo qualcosa d’incomprensibile, si allontana soddisfatto dopo uno stentato inchino. E no che non gli si può dare torto: 900 grammi, uno spessore di 13 millimetri, non sono numeri e misure. Sono la dissoluzione del notebook in qualcosa di etereo, in una tensione verso l’impalpabile. Il MacBook non afferma la sua presenza, ma ribadisce, mostrandosi, la sua quasi assenza. Che incute, va detto, un certo timore nel maneggiarlo, una deferenza generata dalla paura di scalfirlo. Un problema di percezione più che di sostanza, perché il suo corpo unico, senza aperture a eccezione di un paio di feritoie sui lati, è stato pensato per sostenere ragionevoli strapazzi.

Il pranzo è decente, il vassoio semivuoto, le luci si spengono. Al buio viene fuori meglio la doppia grande dote del portatilissimo della mela morsicata: lo schermo retina da 12 pollici è di una brillantezza e una nitidezza spettacolari. Chi scrive usa un MacBook Air da 11,6 pollici. Non sembra di averne a disposizione qualche zolla in più, ma un’intera prateria. Scorrere tra documenti e siti web precaricati a terra è un piacere. Vedere un paio di puntate della seconda stagione di Broadchurch, una goduria assoluta. In confronto il monitor dell’aereo, così minuscolo, fioco e appannato, è un insulto, un pugno di polvere lanciato contro gli occhi.

Marco Morello

A destinazione, il dubbio: la rete senza fili dell’hotel è di una lentezza esasperante. Prima che un allegato pesante sia stato scaricato al cento per cento c’è il tempo di un caffè stomachevole e un the verde per rimpiazzarlo. Fortuna che nel primo cassetto riposa attorcigliato un cavo di rete. Sfortuna che il MacBook non lo supporti. E invece sì: adattatore da Usb-C a Usb tradizionale, altro adattatore che trasforma la porta usb in una porta lan, tu che pensi non funzionerà mai e ti ritrovi a supplicare che funzioni. Sorpresa, la lumaca diventa antilope: 200 mail vengono giù all’istante, la navigazione si mette a saettare da una pagina all’altra come fosse un’auto di Fast & Furious dopo la cura. Vero, serve la batteria carica. Verissimo, la visione di Tim Cook e soci è un mondo libero dai cavi, ma in caso di necessità il notebook risponde presente. A patto di dotarsi degli adattatori giusti e costosi, è l’effetto collaterale per il portafogli.

Apple

Risolto il problema connessione, i giorni corrono via tranquilli. La tastiera con i tastoni grandi a prova di ipovedenti e il meccanismo a farfalla è presto un’abitudine per le dita: all’inizio fa un certo effetto vedere le lettere comparire sullo schermo dopo una pressione minima, con i pulsanti che svettano appena dal piano del computer, ma poi il cervello se ne dimentica e la scrittura procede spedita. Di taglia generosa è anche il trackpad con meccanismo Force Touch, di cui già avevamo parlato qui: funziona bene, anche se per ora non è così consueto ritrovarsi a effettuare una doppia pressione per accedere a funzioni extra. Sarà il tempo a dirci se riuscirà ad affermarsi.

Il MacBook è un oggetto di design che è un tassello del racconto di chi lo sceglie, un elemento del suo stile. Appariscente nella sua discrezione, vestito di una naturale eleganza

Il MacBook non è adatto a montaggi video complessi o a giochi ad alta definizione, ma per qualche fotoritocco, con più pagine web aperte in contemporanea, per presentazioni e altra ordinaria amministrazione tra lavoro e svago non va in affanno. O meglio ci va, se siete perversi e aprite assieme sette video di YouTube, ma si ricade nel dolo, non nella colpa. Soffre forse la batteria, la cui durata effettiva con un uso intenso è ben lontana dalle 9-10 ore dichiarate da Cupertino e si ferma nei paraggi delle sei e spiccioli. Un tempo comunque ragionevole alla luce di un display dalla risoluzione superba, che esalta ogni dettaglio.

Il computer costa 1.499 euro nella versione più basica possibile, che possono sconfinare oltre i 1.800 aggiustando verso l’alto lo spazio di archiviazione e le performance del processore. Si paga tanto, davvero tanto, ma forse occorre ragionare su cosa si compra. Il MacBook è un oggetto di design che è un tassello del racconto di chi lo sceglie, un elemento del suo stile. Appariscente nella sua discrezione, vestito di una naturale eleganza, capace, in parallelo, di fare il suo lavoro con onestà e precisione (l’ecosistema è il solito, rodato, targato Apple) se non lo si stressa con pretese irragionevoli.

Ha ragione chi dice che è un esperimento, un laboratorio di futuro a cui Cupertino potrà e dovrà dare una registrata con i modelli a venire. Ma già oggi, se si è consapevoli dei suoi limiti nemmeno troppo eccessivi, si può investire per godersi i suoi pregi. Osando, perché no, con il colore oro, ancora più status symbol del pur nuovo ma prudente, abbottonato grigio siderale. È sull’arte di distinguersi che l’industria del lusso ha costruito il suo impero. E Apple, vedi anche alla voce Watch Edition, ambisce legittimamente a sedersi a quella tavola e prendersi la sua fetta.

I più letti

avatar-icon

Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

Read More