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Sergio Caputo: Un sabato italiano è un folgorante ritratto degli anni Ottanta

Sergio Caputo: Un sabato italiano è un folgorante ritratto degli anni Ottanta

L’album più amato del cantautore romano, pubblicato nell’aprile del 1983, festeggia i 40 anni con un cofanetto e un tour nei teatri. Perché è ancora oggi attualissimo

«Cosa resterà degli anni Ottanta», si domandava retoricamente Raf in una delle sue canzoni più ispirate. Un decennio che è ancora oggi assai controverso, soprattutto dal punto di vista musicale, tra feroci detrattori ed entusiasti seguaci. Tacciati (forse con eccessiva superficialità) di volgarità, edonismo e disimpegno, gli anni Ottanta stanno conoscendo da qualche anno un vero e proprio boom, come dimostra l’immutato seguito live di gruppi come Duran Duran, Pet Shop Boys, New Order, Simple Minds e Simply Red e il successo di canzoni di artisti contemporanei che si ispirano apertamente alle sonorità di quegli anni (si pensi a Blinding Lights di The Weeknd, la canzone più ascoltata di sempre sulle piattaforme streaming).

Su internet non si contano i siti dedicati ai cantanti, ai telefilm, ai programmi televisivi e persino agli spot di quel decennio, così innovativo e ricco di creatività. Emblematico di quel periodo è l’album Un sabato italiano, folgorante esordio di Sergio Caputo pubblicato quarant’anni fa, nel lontano aprile del 1983, eppure la freschezza musicale e la brillante ironia dei testi rendono quei dieci brani ancora attualissimi. Caputo, distinguendosi dagli altri suoi colleghi coevi, è sempre stato infatuato dalle sonorità swing, jazz-pop e latinoamericane, dando così vita a un sound personale e al tempo riconoscibile, fin dalle sue prime, piccole esibizioni al Folk Studio e al Murales. Dopo 19 album e migliaia di concerti in giro per il mondo, Caputo, che oggi vive in Francia dopo molti anni in Usa, celebrerà dal vivo il compleanno del suo album più celebre con il tour Un sabato italiano 40 show, che prenderà il via l’11 aprile da Genova (Teatro Govi), per poi fare tappa il 12 aprile a Milano(Teatro Lirico Giorgio Gaber), il 26 aprile a Roma (Auditorium Parco della Musica), il 28 aprile a Napoli (Teatro Acacia) e via via nel resto della penisola, accompagnato per l’occasione da una big band. La Sony Music (che ha acquistato il catalogo più recente dell’artista) pubblicherà per l’anniversario un cofanetto di Un sabato italiano, con il remake fatto in occasione del trentennale con la big band più alcuni inediti e l’album in vinile.

Indimenticabile la copertina del disco, con un Sergio Caputo sbarazzino, che sembra molto più giovane dei suoi 29 anni di allora, in posa dinanzi ad un Gran Caffè di Piazza Cavour a Roma, con le mani in tasca, una maglietta bianca dei Frankie Goes To Hollywood e con sopra una camicia azzurra aperta, rimboccata nei pantaloni scuri. L’estroso chansonnier romano ha raccontato gli aneddoti, i luoghi, gli amori e i personaggi che hanno fatto da sfondo alla creazione dell’album, pubblicato negli stessi mesi in cui al cinema uscivano Una poltrona per due, Flashdance, Sapore di mare e Vacanze di Natale, nel libro Un sabato italiano memories. Il volume, con la prefazione di Carlo Massarini che per primo lo ha lanciato nel suo programma Mr Fantasy, è un divertente tuffo nella Roma degli anni Ottanta, dove Caputo lavorava come art director di una grossa agenzia pubblicitaria. Dalla sua professione il cantautore ha mutuato la capacità di parlare per immagini, riuscendo a cogliere i lati contraddittori e meno evidenti di un periodo dominato da yuppies e paninari. Il risultato sono testi surreali, talvolta criptici, altri più scanzonati, ricchi di ardite metafore e di riferimenti letterari, senza perdere mai, però, la loro soave leggerezza. Ma qual è il segreto della freschezza immutata di Un sabato italiano, le cui canzoni vengono ancora oggi trasmesse dalle radio “yacht rock” e apprezzate dalle nuove generazioni, che non erano nemmeno nate nel lontano 1983?

Una prima ragione potrebbe essere la retromania che da alcuni anni ha contagiato un po’ tutti, soprattutto in un periodo come quello attuale, nel quale si guarda al futuro più con timore che con speranza. I tanto disprezzati anni Ottanta, soprattutto da parte di una critica militante che rimpiangeva l’impegno politico degli anni di piombo, in realtà sono stati un decennio di grande ottimismo e di slancio economico. L’Italia aveva voglia di divertirsi, di sognare in grande e di stare insieme, senza prendersi troppo sul serio. «La musica, in quel decennio, bastava a se stessa, non aveva bisogno di talent show o di grandi promozioni. Negli anni Ottanta sono usciti gli album più belli di Sade e di Joe Jackson, e gli stessi dischi dei Duran Duran e Spandau Ballet erano infinitamente superiori al pop che oggi va di moda», ci ha detto Caputo in un’intervista di qualche anno fa. Positività e sano divertimento sono gli ingredienti principali che emergono dalle dieci canzoni di Un sabato italiano, che racconta le storie autobiografiche di un trentenne single con un buon lavoro, tra memorabili bevute notturne con l’amico e produttore Riccardo ’Rino’ Rinetti, amori veri e presunti, riflessioni semiserie e una punta di malinconia. Oltre all’effetto nostalgia, i motivi del successo di Un sabato italiano sono rinvenibili soprattutto nelle dieci canzoni, ciascuna delle quali è un vero e proprio cortometraggio accattivante e policromo, con frasi che sono entrate immediatamente nell’immaginario collettivo, da ascoltare mentre si sorseggia uno dei cocktail consigliati nelle note di copertina del disco. Prendiamo, ad esempio, lo swing irresistibile di Citrosodina, che sarà in seguito trasformata Bimba se sapessi per aggirare possibili problemi legali con la casa farmaceutica del medicinale. Per questo motivo uno dei suoi incipit più memorabili, «citrosodina granulare», diventerà l’improbabile «idrofobina vegetale», bevuta «per dimenticare il mal di mare viscerale che questo mondo mi dà».

Come non ricordare, poi la title track Un sabato italiano, dove una serata casalinga e noiosa diventa improvvisamente un’avventura nella «Roma felliniana» vissuta come «equilibristi in bilico sul fine settimana», in cui la «malinconia latente» è mitigata dagli «abissi imperscrutabili» delle donne degli amici. Un altro piccolo capolavoro è Mercy bocù, una canzone con atmosfere anni Cinquanta/Sessanta che oscilla tra la malinconia per la fine di una storia d’amore con una donna con la passione per la moda («c’è un manichino che somiglia a te/sfoggia un tailleurino giallo senape») e la voglia di libertà e di divertimento che ne segue come reazione uguale e contraria, ordinando in un whisky bar «una Guinness per la prima manche» di una lunga nottata alcolica. Io e Rino è un irresistibile ragtime sulle gesta da vitelloni felliniani di due amici «vittime di un complotto finanziato dalla notte oscura/con la banda dei cuori infranti che ci fa premura».

Il lato più cantautorale di Caputo emerge compiutamente nella straordinaria cavalcata dolceamara di Cimici e bromuro, un icastico affresco delle lunghe ore trascorse al reparto neuro di un ospedale militare, dove la fantasia per quello che l’aspetta al di fuori da quelle anguste mura lo aiuta a combattere la noia e il calore. Mettimi giù è un midtempo autobiografico, dal sapore jazz-funk, costruito sul significato polivalente del titolo: «Mettimi giù due righe/ Fammi il quadro della situazione»; «Mettimi giù due accordi, dai/ Sono indietro di una canzone», «Mettimi giù uno schizzo/ Di come è fatto il tuo paradiso». Uno dei topos della poetica del Caputo anni Ottanta è l’escapismo, il desiderio di essere altrove, come emerge nelle liriche «La febbre dell’oro rende acida la città/ Per la prossima estate noi saremo tutti fuori, fuori dalla realtà». Il languido sax di Antonio Marangolo ci introduce all’interno dell’ironico disincanto di E le bionde sono tinte, dove «la vita è come un party di alta moda/ che ti vende all’orecchio ogni sorta di volgarità». Se Un Sabato Italiano rappresenta il lato edonistico e giocoso del fine settimana, una versione nostrana de La febbre del sabato sera, Weekend ha quasi il sapore dolceamaro de Il sabato del villaggio, in cui la sua fiamma «era fuori per il week-end/Era fuori per fatti suoi/A confondersi dietro ai non saprei».

L’orecchio del musicista raffinato viene fuori nella giocosa Night, dove «L’orchestrina si diverte a massacrare uno standard della dolce Bessie Smith» e «Il cantante non la smette di storpiare le parole di quel brano di Yves Montand»: d’altra parte non è tutto oro ciò che luccica nei locali notturni, anche perché «nell’etica del night si diventa didascalici, ma tu non lo sai». Grande finale con Spicchio di luna, una magnifica piano ballad notturna ed evocativa, di cui è memorabile l’inciso, da cantare a squarciagola: «Ne approfitto per fare un po’ di musica/ Nell’ipotesi che mi ascolterai/ Tra juke-box, marciapiedi e varietà/ Spicchio di luna, questa notte dove sei?». Dopo il grande successo degli album Un sabato italiano e Italiani mambo, Caputo si è orientato su sonorità più ricercate come il jazz e il blues, collaborando con musicisti del calibro di Dizzy Gillespie, Lester Bowie, Tony Scott, Richard Galliano e il nostro Enrico Rava. Collaborazioni che lo hanno arricchito musicalmente, ma che non gli hanno fatto perdere la sua intelligente leggerezza, né la sua capacità “profetica” nei testi. Ora, però, è il momento per Caputo di festeggiare il quarantennale del suo album più amato, in attesa di regalarci nuove canzoni, sempre all’insegna dell’ironia, della melodia e della qualità.

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