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La Vitamina D non è amica delle ossa

La Vitamina D non è   amica delle ossa

Avevamo la convinzione che, assunta sotto forma di integratori e supplementi, fosse fondamentale per proteggere dalle fratture, soprattutto dopo una certa età. Ora un ampio studio americano ne smonta il mito: assumerla ogni giorno non serve (quasi) a niente. Tranne a fare spendere inutilmente soldi allo Stato e ai cittadini.


In medicina funziona in questo modo: si scopre che una certa terapia sembra essere efficace, la si approva, e milioni di persone per anni ne fanno uso. Intanto, gli studi vanno avanti (la scienza non sta mai ferma, è fatta così) finché nuove evidenze dimostrano che quella cura in fondo non serve a granché. È successo per tanti farmaci, o per interventi chirurgici, adesso il ripensamento riguarda l’uso della vitamina D nel proteggere le ossa e allontanare il rischio di fratture. Del resto, il razionale scientifico – come si dice – c’era tutto: il nostro organismo ne ha bisogno affinché lo stomaco possa assorbire il calcio, il nutrimento delle ossa. Quale migliore idea dunque che farne scorta sotto forma di integratori?

Invece no. Un ampio studio condotto negli Stati Uniti su circa 26 mila persone (uomini e donne, età media 67 anni) pubblicato sul New England Journal of Medicine indica che la sua somministrazione non previene i guai. Qualche dettaglio in più: i ricercatori hanno osservato 1.991 fratture (in 1.551 tra i volontari) nel giro di circa cinque anni. Ma i supplementi di vitamina D3, rispetto al placebo, non hanno inciso sul totale degli incidenti: 769 nei 12.927 che la prendevano, e 782 in 12.944 nel gruppo placebo.

Scrive uno degli autori dello studio sulla rivista Nejm: «Duemila unità al giorno di vitamina D non incidono né sulla densità né sulla struttura ossea, viste con scansioni Ct. Ciò sembra indicare che la densità delle ossa è un “marker” surrogato delle fratture, e non ha un effetto diretto su queste». Dubbi sull’efficacia della vitamina D li esprimeva già, qualche anno fa, Silvio Garattini: «Se non si hanno benefici, perché la si prescrive? Certamente per la mancanza di adeguate informazioni. Il medico è bombardato dalla pubblicità, ma non riceve dati indipendenti, risultato? Il Ssn ha speso, nel 2017, 280 milioni di euro, una cifra enorme con cui avremmo potuto costruire, con i risparmi di un anno e per un solo farmaco, un grande ospedale moderno».

E dunque, che facciamo, buttiamo via la nostra «salva-ossa»? È meno drastico Luca Pasina, capo del Laboratorio di Farmacologia clinica e Appropriatezza prescrittiva all’Istituto Mario Negri di Milano. «Gli integratori di vitamina D sono ampiamente raccomandati per la salute delle ossa nella popolazione generale, ma i dati sulla prevenzione di osteoporosi e fratture sono inconsistenti e a volte discordanti. Studi clinici, revisioni e meta-analisi dell’ultimo decennio, pubblicate sulle più importanti riviste di medicina (Lancet, BMJ, JAMA e Cochrane), concludono che il suo uso è associato a una modesta riduzione del pericolo di frattura, e solo in particolari sottogruppi di soggetti a elevato rischio».

I benefici sono stati osservati più che altro negli anziani ospiti di case di riposo, mentre per quelli che sono autonomi e vivono a casa, l’efficacia dei supplementi appare trascurabile. Resta valida solamente nelle popolazioni più fragili, con minore esposizione solare e con fattori di rischio per le fratture. Delle nuove evidenze scientifiche si dovrebbe iniziare a tenere conto, sia in termini di salute che di spese inutili. Secondo i dati del rapporto Osmed in Italia (risale a poche settimane fa), la vitamina D è tra i prodotti farmaceutici che hanno avuto il maggior incremento di utilizzo negli ultimi 15 anni, con un notevole impatto sui costi farmaceutici nazionali.

«La spesa convenzionata» precisa Pasina «è cresciuta dai 24 milioni di euro del 2006 a circa 247 milioni nel 2021, nonostante il fatto che l’Agenzia del farmaco, nel 2019, avesse suggerito di limitare la prescrizione ingiustificata di vitamina D. Attualmente in Italia il colecalciferolo è al secondo posto fra i principi attivi a maggior impatto di spesa, mentre in Francia si trova all’87°, in Svezia all’86°, in Germania al 77°. E in media in Europa si attesta al 23° posto».

Ricapitolando: se non siamo anziani con fragilità ossea o un accertato deficit di vitamina D, lasciamo perdere: supplementi e integratori non sono meglio di un placebo. A questo scopo funziona assai di più l’esercizio fisico: è come se, muovendosi con regolarità, il nostro corpo dicesse alle ossa: «Guardate che ho ancora bisogno di voi, non andate in pensione…». Attività fisica a parte, «l’esposizione solare è il modo più naturale ed efficace per un’adeguata produzione di vitamina D» ricorda Pasina. Istruzioni per l’uso del sole: esporre viso, mani e braccia ai suoi raggi – specie d’estate – per 15-20 minuti tre volte la settimana basta per assicurare livelli ottimali di vitamina D. Procurarsela a tavola, invece, non è così semplice: la maggior parte degli alimenti ne contiene scarse quantità.

Infine, parlando agli anziani: per evitare di cadere e farsi male conviene ridurre il consumo di farmaci che causano vertigini (come quelli usati per dormire), illuminare bene i locali, limitare l’uso di tappeti e di cera sui pavimenti e così via. Cautele e buon senso con efficacia dimostrata, e a costo zero.

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