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Quel male oscuro fra i «teens» d’Inghilterra

Quel male oscuro fra i «teens» d’Inghilterra

Se l’Italia trascura gli adolescenti in crisi, è ancora peggio nel Regno Unito, dove 250 mila ragazzi con depressione, disturbi alimentari e a rischio suicidio si ritrovano senza sostegno sanitario.


Rosanna Brewer ha trascorso le notti degli ultimi tre anni della sua vita dormendo sul pavimento della camera dei suoi due figli, di 15 e 11 anni, entrambi autistici con altri problemi di salute mentale, per evitare che si facessero del male. In mancanza di supporti da parte dello Stato ha dovuto toglierli dalla scuola pubblica e, sebbene non sia benestante, ha già speso migliaia di sterline in visite mediche private.

Se il Servizio sanitario nazionale italiano trascura gli adolescenti con problemi psichiatrici, quello britannico fa ancora peggio. Un settore che è da decenni la spina nel fianco dei servizi pubblici sanitari – basti pensare allo scandalo che ha coinvolto una struttura in Essex dove sono state registrate duemila morti sospette tra il 2000 e il 2020 – e si sta rivelando del tutto incapace di far fronte alle richieste di aiuto da parte degli adolescenti, incrementate del 30 per cento dopo la pandemia. I ragazzi che soffrono di depressione, disordini alimentari, con tendenze autolesionistiche e suicide, vengono semplicemente lasciati a sé stessi.

Una recente indagine effettuata dalla rivista inglese The House ha rivelato che a 250 mila tra bambini e adolescenti con problemi psichiatrici viene negato il necessario sostegno da parte del Servizio sanitario. In alcune parti del Paese i tempi di attesa per ottenere una visita specialistica arrivano fino a tre anni e il 60 per cento degli utenti per i quali il medico di base ha richiesto la visita psichiatrica non viene mai visitato. A esacerbare un quadro già drammatico, la notizia che la maggioranza delle strutture preposte in Inghilterra hanno innalzato la soglia di valutazione dei pazienti adolescenti «a rischio», in risposta al costante aumento delle richieste d’intervento moltiplicate dal Covid.

«Quando un membro del mio staff ha salvato un 17enne che voleva togliersi la vita in una delle unità di supporto» dice la manager di una struttura che accoglie giovani in difficoltà «abbiamo richiesto un intervento psichiatrico immediato. Ci è stato risposto, in pratica, che non era abbastanza malato. Avevamo un ragazzo minorenne, senza famiglia con un passato di episodi autolesionistici che aveva appena tentato di uccidersi, eppure non rientrava nei loro canoni d’intervento». L’ex commissario per l’Infanzia Anne Longfield ha raccontato di aver ascoltato centinaia di storie analoghe. «Anche se un adolescente tenta il suicidio, non viene automaticamente supportato dal Servizio sanitario» spiega «perché esiste una prima verifica di che cosa s’intende per tentativo di suicidio. Per ragazzi in simili condizioni, la consapevolezza di non essere creduti può diventare devastante». «Ho un figlio di sette anni che ha cercato di lanciarsi dalla finestra di casa e di uccidersi con coltelli da cucina» ha detto una madre disperata alla Commissione parlamentare per le Famiglie e l’Infanzia. «Eppure mi hanno detto che non esisteva alcuna forma di sostegno per lui. Il nostro medico, dopo due richieste di supporto al Servizio per adolescenti con problemi psichiatrici andate respinte, ci ha suggerito di rivolgerci a una struttura privata perché i servizi pubblici non accettano un bambino se non ha tentato di uccidersi almeno due volte».

Rifiutati da tutti, senza famiglia o reti sociali di supporto o troppo poveri per permettersi una visita medica privata, gli adolescenti più fragili alla fine si ritrovano a trascorrere la maggioranza del tempo parcheggiati nei Pronto soccorso e nelle Unità di crisi, senza venir curati. In base ai dati ottenuti dal ministro ombra per la salute mentale del Labour Rosena Allin-Khan, ragazzi e persino bambini di quattro anni con problemi di depressione, psicosi e disordini alimentari, ma anche tentativi di suicidio, hanno stazionato nei Pronto soccorso nazionali per una media di 900 ore tra il 2021 e il 2022. Il numero di ore di attesa che questi giovani hanno passato nelle corsie dei servizi d’emergenza è scandalosamente alto, ha dichiarato la direttrice dell’organizzazione YoungMinds, Deidre Kehoe: «È inspiegabile che si debba attendere un periodo così lungo per un trattamento considerato urgente. Questi luoghi inoltre non sono certo adatti per pazienti che stanno attraversando alcuni dei momenti più stressanti della loro esistenza. La notizia recente da parte del Servizio sanitario che degli specialisti in salute mentale saranno presenti anche nelle ambulanze è la dimostrazione che le persone con questi disturbi necessitano di un supporto specialistico e non generico».

Un sostegno che spesso non viene garantito, come ha raccontato al Guardian uno psichiatra della sanità pubblica, tutelato dall’anonimato, che lavora nello staff dei servizi d’emergenza. «Moltissimi ragazzi che vengono da noi non ricevono l’aiuto di cui hanno disperatamente bisogno, talvolta attendono mesi prima di avere accesso alle strutture idonee. E nei casi di disagio mentale, più passa il tempo più la cura diventa difficile. Stiamo tradendo la nostra generazione più giovane». Gli stessi operatori si sentono frustrati. I servizi di psichiatria risultano quelli maggiormente colpiti dalla carenza di specialisti e infermieri e tutto ciò che possono fare per i loro giovani pazienti è aumentare il numero delle prescrizioni di antidepressivi laddove sarebbe necessaria una terapia fatta soprattutto di ascolto. Il governo intanto risponde alle richieste pressanti delle famiglie con un ostinato silenzio, in totale mancanza di strategie. Come se, nella crisi globale, la salute dei più fragili fosse, in fondo, sacrificabile.

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