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Paxlovid, l’antivirale che c’è, anzi no

Paxlovid, l’antivirale che c’è, anzi no

Il Paxlovid abbatte la carica virale del Covid-19. Ma (troppo) pochi possono riceverlo, a causa di regole stringenti che andrebbero allargate.


Funziona, riduce la carica virale nei contagiati, tiene lontano dall’ospedale, ma non tutti possono beneficiarne. E benché la sua somministrazione a casa sia aumentata nei pazienti Covid (secondo dati Aifa, è salita di circa il 42 per cento a luglio, mentre 78 mila malati sono stati a oggi trattati con i nuovi antivirali) il Paxlovid, principio attivo ritonavir, resta una cura per pochi. Il motivo? Non c’entra la «ritrosia» dei medici nel prescriverlo (come lasciava intendere un caustico commento del virologo Roberto Burioni su Repubblica) bensì una serie di regole che, di fatto, ne limitano l’accesso, verosimilmente perché il farmaco è piuttosto costoso. E il rischio è che tante dosi (600 mila quelle acquistate dall’Italia) rimangano inutilizzate.

Giusto per ricordare i requisiti di chi può riceverlo: pazienti non ancora gravi ma a rischio di diventarlo, o considerati fragili perché con almeno un’altra patologia in corso; la somministrazione deve avvenire entro 5 giorni dalla diagnosi (certificata da tampone di farmacia). «Io ho circa mille pazienti, e su sette casi potenziali alla fine quelli trattati con Paxlovid sono stati solo quattro» dice Silvestro Scotti, segretario generale Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale). «Anche perché spesso i cronici prendono farmaci per i quali l’antivirale è controindicato, quindi bisogna passare ad altre opzioni. Inoltre, prima di prescriverlo devo vedere gli esami del sangue, il valore della creatinina per i reni, per esempio. Se non ho quei dati non posso darlo».

Oggi, per aiutare i medici a individuare quali pazienti Covid rischiano di più, c’è un algoritmo, messo a punto dalla Fimmg insieme a Cittadinanza Attiva, scaricabile gratuitamente. Anche perché non è sempre facile capire chi, non ancora grave, potrebbe invece finire nei guai. A decidere i criteri stringenti per il Paxlovid è stata la Commissione scientifica, con l’esigenza di bilanciare criteri economici e assistenziali. «Certo, le regole vanno rispettate, ma sarebbe meglio liberalizzarne un po’ di più l’uso» continua Scotti. «Un 60enne “sano” perché non dovrebbe poterlo ricevere? Piuttosto che sprecarlo lo estenderei in certi casi anche ai giovani, così da limitare il contagio nel nucleo familiare se c’è una persona con fattori di rischio; e soprattutto lo allargherei a tutto il personale ospedaliero, dove gli operatori si ammalano e non possiamo permetterci carenze. Infine bisognerebbe dare più fiducia ai medici, concedere loro maggiore libertà prescrittiva. E poi, mi scusi, ma mi permetto una piccola polemica: possibile che non ci sia un medico di famiglia nei comitati scientifici e nell’ente regolatorio? In fondo, a curare i malati siamo noi».

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